Voto di fiducia plebiscitario al Senato La legge sulla corruzione è operazione di facciata Non ripristina il falso in bilancio né introduce il reato di autoriciclaggio. Sconti agli imputati di concussione come Berlusconi, Penati (e Coop) e P4. Niente intercettazioni per voto di scambio e traffico di influenze A due anni dalla prima presentazione in parlamento e dopo mesi di estenuanti trattative e vari rifacimenti da parte del ministro della Giustizia Paola Severino, il disegno di legge (ddl) cosiddetto anticorruzione è stato approvato in terza lettura il 17 ottobre al Senato. Sul provvedimento il governo Monti aveva chiesto per sicurezza il voto di fiducia (il 39° della serie), che è stata ottenuta in maniera quasi plebiscitaria: 228 sì, 33 no e 2 astenuti. Hanno votato contro solo IDV e Lega, ma quest'ultima ha poi votato a favore del provvedimento, che è passato quindi con 256 voti a favore e solo 7 contrari e 4 astenuti. La cosiddetta legge anticorruzione era stata presentata dal governo Berlusconi a firma dell'ex Guardasigilli Alfano come provvedimento di facciata in risposta all'indignazione suscitata dagli innumerevoli casi di corruzione politica. Ripescata dal governo Monti, anche per ottemperare alle richieste della Corte europea e attenuare il discredito internazionale che la corruzione attira sull'Italia, la legge è rimasta bloccata per mesi, sotto i veti del PDL che voleva approfittare dell'occasione per inserirci anche la legge bavaglio sulle intercettazioni e la responsabilità civile dei magistrati; nonché per i suoi continui tentativi di far passare emendamenti pro-Berlusconi atti a far saltare i suoi processi come quello in corso a Milano sul caso Ruby. Il risultato è che non solo la legge ha mantenuto il suo carattere originario di provvedimento di pura facciata, ma per molti aspetti costituisce addirittura un peggioramento rispetto alla normativa attuale, tanto che lo stesso governo Monti, subissato dalle critiche per le vistose lacune del ddl, ha cercato di pararle facendo balenare l'ipotesi di eventuali provvedimenti ad hoc per mettervi riparo. Il fatto è che Monti aveva bisogno di far approvare la legge così com'era per spenderla al tavolo del vertice di Bruxelles, anche se in quella sede ha dovuto mettere le mani avanti dicendo che nella legge "ci sono aspetti nei quali il governo avrebbe voluto andare un po' più in là". Non avendo però il coraggio di denunciare i veti, le manovre e i colpi di mano del partito del neoduce, atti che si è limitato a riassumere ipocritamente con "l'inerzia comprensibile ma non scusabile di alcune parti politiche", ha tagliato corto a tutte le critiche sentenziando che "non mi risulta che governi anche di colore opposto a quello che ci ha preceduto abbiano realizzato provvedimenti più esemplari di questo". Poche e risibili le novità, molte e gravi le mancanze Pochissime sono le novità introdotte dal provvedimento per la lotta alla corruzione: esse si limitano essenzialmente al fatto che i condannati per reati gravi come corruzione e mafia non potranno più fare appalti con l'amministrazione pubblica (pa), come se non dovesse già essere così da sempre, l'istituzione di un'Authority anticorruzione che sostituisce la Civit (Commissione per la trasparenza delle pa) e che saranno rese pubbliche le notizie su procedimenti amministrativi, costi di opere e servizi, ruoli, incarichi e retribuzioni. Anche il nuovo reato di corruzione tra privati è tutto fumo negli occhi, tanto che in una bozza di parere ancora non ufficiale del Consiglio superiore della magistratura viene criticato in quanto limitato "alle sole figure apicali delle società commerciali", punibile solo "se vi è un danno per la società" e "procedibile solo a querela della persona offesa, pur afferendo a condotte spesso dannose per l'intera collettività". A fronte di ciò sono invece molte e gravi le cose che mancano in questa legge. Non c'è per esempio la reintroduzione del reato di falso in bilancio, sostanzialmente abolito da Berlusconi nel 2002, che è indispensabile per una vera lotta alla corruzione, in quanto è proprio con la falsificazione dei bilanci che le società si precostituiscono delle riserve di denaro in nero per poter corrompere politici e amministratori pubblici. E non c'è il reato di autoriciclaggio, che permetterebbe di colpire i funzionari e i politici corrotti nel momento in cui vanno a reinvestire questo denaro. Un reato, che come ha fatto notare l'ex pm di "mani pulite" e attualmente consigliere di Cassazione, Piercamillo Davigo, esiste perfino in Vaticano. Non c'è la non punibilità del corrotto o del concusso o del complice in traffico di influenze che decida di collaborare denunciando il reato: se denuncia va in prigione anche lui, pur con una riduzione di pena, il che costituisce un evidente incentivo a stare zitti creando una sorta di solidarietà criminale tra i coinvolti. La pena per il traffico di influenze (per esempio due amministratori che si mettono d'accordo per scambiarsi favori illeciti) e per il voto di scambio (voti in cambio di favori da parte dell'eletto) è al massimo di 3 anni, per cui non possono essere richieste le intercettazioni. Quindi sono reati che non si scopriranno mai, tranne che uno degli interessati confessi, nel qual caso, come abbiamo già detto, andrebbe in galera anche lui. Inoltre per il traffico di influenze e il voto di scambio adesso vale solo la dazione in denaro, essendo escluso qualsiasi altro tipo di utilità, altrimenti il reato non sussiste. Se l'assessore della giunta Formigoni, Zambetti, non avesse pagato in denaro per i voti comprati dalla 'ndrangheta, non sarebbe nemmeno perseguibile. Piergiorgio Morosini, Gip a Palermo, ha dichiarato al riguardo: "Quel reato così com'è non va, viene contestato raramente, perché nel rapporto tra il potenziale eletto e i clan, non è il passaggio di denaro che conta ma quello che il candidato promette per il futuro". L'assurdità di questa norma è che c'è l'obbligo di dazione in denaro, ovviamente in nero, ma non c'è il falso in bilancio, che è il sistema basilare per costituire riserve di fondi neri utilizzabili per corrompere. I condannati continueranno a candidarsi Non c'è neanche la non candidabilità dei condannati con sentenza definitiva (non parliamo poi dei corrotti condannati in primo e secondo grado o "solo" inquisiti, che potranno continuare a entrare tranquillamente in parlamento e nelle altre assemblee elettive). Su questo punto cruciale il governo rimanda ogni decisione a un ddl a firma Severino che prevede che non potranno partecipare alle elezioni condannati in via definitiva a una pena oltre i due anni per i reati contro la pa e a tre negli altri casi. Peccato però che statisticamente l'87% dei corrotti ne patteggi meno di due. Inoltre il ddl concede i domiciliari per le pene fino a 4 anni. Quindi in ogni caso la stragrande maggioranza dei condannati non farà nemmeno un giorno di galera. Secondo Davigo "Il 90 % delle condanne, anche quelle per concussione, tra rito abbreviato e attenuanti generiche vanno pesantemente sotto i due anni. E poi basta che uno patteggi per evitare la condanna e quindi l'incandidabilità". Sul reato di concussione, poi, il governo ha fatto un vero e proprio patto scellerato soprattutto con i berlusconiani, che però interessa anche il PD e tutti i partiti invischiati nella corruzione. La concussione (un pubblico ufficiale che ricatta con minacce o con promesse un soggetto inducendolo a violare la legge a proprio vantaggio) è stata scissa in due reati; la concussione "per costrizione", che in pratica non esiste nell'ambito politico, perché presuppone l'esercizio della violenza, e la concussione "per induzione", che è il caso di gran lunga più frequente, quando il pubblico ufficiale fa valere la sua autorità sul concusso facendogli capire che se non collabora gliene potrà derivare un danno, o viceversa un utile se collabora: è il caso per esempio di Berlusconi quando telefonò alla Questura di Milano riuscendo a far rilasciare Ruby. Ebbene, mentre nel caso di concussione "per costrizione" la pena rimane immutata a 12 anni nei massimi e inasprita solo nei minimi, per cui anche la durata della prescrizione rimane invariata a 15 anni, nel caso di concussione "per induzione" la pena è ridotta da 4-12 anni a 3-8 anni, per cui la prescrizione scende da 15 a 10 anni. Sembrano tanti, ma va considerato che la prescrizione parte da quando è stato commesso il reato, non da quando viene scoperto o parte il procedimento. E a volte tra i due eventi trascorrono anche 4-5 anni, per cui alla fine i tempi di prescrizione effettivi si riducono ulteriormente della metà. Per i magistrati il reato preponderante è quello per induzione, e secondo le loro stime circa la metà dei processi in corso andrebbe in prescrizione, compresi guarda caso quello del PD Penati (e relative Coop) per le tangenti sull'ex area Falck, quello di Berlusconi per il caso Ruby, quello di Ottaviano del Turco per lo scandalo alla Regione Abruzzo, quelli di Mastella implicato con la moglie in due inchieste in Campania, quello del senatore del PD Tedesco per lo scandalo della sanità in Puglia, quello di Alfonso Papa per la vicenda P4, e così via. Va da sé che se scatta la prescrizione non c'è la condanna e quindi non c'è neanche l'incandidabilità. Modifiche rimandate alle calende greche Forti critiche al provvedimento sono venute dall'Associazione nazionale magistrati, il cui segretario Mario Carbone chiede modifiche riguardanti in particolare il falso in bilancio, l'autoriciclaggio, il voto di scambio e i tempi di prescrizione: "Con la famosa legge ex Cirielli - sottolinea sconsolato il magistrato - c'era stato un dimezzamento dei termini di prescrizione che è contraddittorio per reati il cui accertamento è particolarmente complesso, e diventa per noi magistrati che ci occupiamo di questi reati una corsa contro il tempo spesso persa in partenza". Il leader dell'IDV, Di Pietro, ha giudicato la legge "un passo indietro", una legge "anticorruzione di nome ma pro-corruzione di fatto" che "rappresenta un salto indietro di 80 anni, perché torna al codice Rocco". Codice che invece la Severino ha difeso sostenendo sfacciatamente che "rappresenta ancora oggi un faro di civiltà giuridica". Dichiarando altrettanto sfacciatamente che "nessuno potrà dire che il provvedimento è oggetto di inciuci", il ministro della Giustizia si è difesa sostenendo che esso andava approvato così com'è perché "ce lo chiede l'Europa" e che eventuali modifiche e integrazioni sul falso in bilancio, il voto di scambio e la prescrizione andranno fatte in un provvedimento successivo a parte: "La riforma dei reati societari (falso in bilancio, ndr) ci deve essere - ha detto Severino - ma non nel provvedimento sulla corruzione, perché lo (sic) affollerebbe". E la capogruppo del PD, Finocchiaro, ha giustificato a sua volta così il vergognoso inciucio a cui ha partecipato col PDL e il governo: "Voteremo sì non perché siamo ciechi di fronte alle manchevolezze di questa legge, ma perché ci sembra comunque uno scatto rispetto a un decennio di politiche segnate dalla compiacenza e dalla sottovalutazione". Seguita a ruota dal suo segretario, Bersani, che con la solita flemma ha archiviato così la sconcia vicenda: "È un passo avanti, vediamo se ci sono cose da aggiustare. Il compito non è finito". Parole dalle quali si evince chiaramente sottotraccia che la linea del PD è quella di andare all'approvazione definitiva del ddl alla Camera così com'è, nascondendosi dietro i provvedimenti ulteriori, ma del tutto vaghi e comunque rimandati alle calende greche, annunciati dalla Severino. Anche perché il partito del neoduce Berlusconi ha già fatto sapere che non tollererà che venga rimesso mano al ddl, ed eventualmente solo per riaprire il discorso su intercettazioni e responsabilità civile dei giudici. 24 ottobre 2012 |