Vergognoso cordoglio per la morte di Cossiga Destra e "sinistra" del regime piangono il capo dei gladiatori Napolitano: "Grande uomo di Stato". Persino gli ex "brigatisti rossi" gli rendono omaggio Nel 1990 Scuderi, Pasca e Martenghi furono indagati per l'articolo de "Il bolscevico" "Fare piena luce sui rapporti Cossiga-P2" Avremmo fatto volentieri a meno di intervenire sulla morte di Francesco Cossiga avvenuta il 17 agosto. Ci spinge a farlo il vergognoso e quasi unanime coro di condoglianze e di esaltazione del capo dei gladiatori e picconatore piduista, neofascista e presidenzialista, nonché anticomunista e golpista storico. Scontate quelle della destra del regime come quelle del neoduce Berlusconi che piange: "un amico carissimo, affettuoso, generoso. Mi mancheranno il suo affetto, la sua intelligenza, la sua ironia, il suo sostegno". O dell'ambizioso gerarca Fini secondo cui Cossiga "ha interpretato con vigore e coerenza i principi della Costituzione, fornendo anche un prezioso contributo alla salvaguardia della democrazia". Meno scontate e perciò più gravi le condoglianze della "sinistra" del regime, a cominciare da quelle del rinnegato capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha voluto essere il primo a precipitarsi al Policlinico Gemelli a rendere "omaggio a un grande uomo di Stato". A seguire quelle del segretario PD Pierluigi Bersani secondo cui "se ne vanno una persona singolare e straordinaria e una parte della nostra storia". Dello stesso avviso l'ex leader del "centro-sinistra", Romano Prodi, per il quale "l'Italia perde uno dei protagonisti della storia repubblicana", un politico che "ha saputo ricoprire ogni incarico - aggiunge - con forte personalità e, soprattutto, con grande rispetto delle istituzioni". Massimo D'Alema sostiene che Cossiga è stato "un grande protagonista della vita democratica del nostro paese" e colui che "più di altri intuì la crisi del sistema e spinse per il cambiamento". Per Epifani, invece, Cossiga "è sempre stato attento alla condizione dei lavoratori". Lasciano alquanto allibiti, anche se non sorprendono, i commenti del segretario del PdCI, Oliviero Diliberto secondo cui con Cossiga muore "un avversario duro, ma leale", e quello del segretario del PRC, Paolo Ferrero: "Si è spento un avversario a viso aperto che ci ha combattuti e ha vinto". Incredibile l'editoriale del 20 agosto a firma della redazione del settimanale "Gli Altri" diretto dal trotzkista e vendoliano nonché filo berlusconiano Piero Sansonetti, in cui si legge: "Eppure non possiamo dire di non aver subito il suo fascino, la suggestione della sua ricchezza intellettuale. Lo avevamo tanto odiato, ma oggi sentiamo la sua mancanza, da subito, in modo un po' struggente. Ci sembra che sia venuto a mancare il personaggio più originale, più anticonformista, più imprevedibile, più scanzonato del Potere della Prima Repubblica. E questo ci addolora". (Sic!) Sansonetti recentemente è stato premiato con la direzione del quotidiano "Calabria Ora". Persino gli ex "brigatisti rossi" Prospero Gallinari, Valerio Morucci e Adriana Faranda, tutti coinvolti nel rapimento e nell'uccisione di Aldo Moro, gli hanno reso omaggio. Gallinari, per il quale Cossiga si era prodigato a lungo per la scarcerazione, ha dichiarato all'Ansa che: "lui era un mio nemico ma debbo riconoscere che è stato tra i pochi politici se non l'unico del 'Palazzo' ad essersi posto il problema di trovare una spiegazione politica, non complottistica o dietrologica, a quello che è accaduto in Italia negli anni Settanta. Lui ha preso atto e ha cercato di capire le ragioni dello scontro che ha attraversato tutta la società italiana. Non giustificava, né avrebbe potuto giustificare, la lotta armata, ma cercava di spiegarla e di spiegarsi. Per lui ho rispetto. Il rispetto che si deve ad un ex nemico, ma anche all'unico che si pose il problema di capire. Di avere il coraggio di capire". Sulla stessa falsa riga Morucci secondo cui Cossiga: "È stato l'unico che ci ha riconosciuto la dignità di nemici politici affrancandoci dal ruolo di criminali a cui la politica ci aveva condannati per necessità". La Faranda ha scritto una lettera a "Il Fatto Quotidiano" in cui si legge: "Insistere oggi a inchiodare Francesco Cossiga a simbolo del male, sia ripercorrere la stessa logica che ci ha portati nel baratro... Dico senza imbarazzo che mi ha addolorata la sua morte, e che ho sempre provato rispetto per lui. Sia pure se le nostre strade, opposte e parallele, mi apparvero separate alla fine da un ultimo filo spinato, levato come uno schiaffo sull'ultima curva, coi suoi 'consigli' su come contrastare l'onda... Mi ferì l'insostenibile 'naturalezza' con cui la porse. L'immagine che ne ebbi fu che, mentre io ero riuscita a saltare giù da un treno di guerra ancora in corsa, sia pure con imperdonabile ritardo, lui si mostrava ancora insediato al suo locomotore. Per questo credo che le invettive postume, gli insulti e gli esorcismi non siano utili a nessuno. Forse molto meglio sarebbe scendere tutti giù da quel treno". Di fronte a questo tentativo trasversale di beatificazione è bene ricordare chi era veramente Francesco Cossiga. Gli antichi legami con la destra golpista Per lungo tempo Cossiga era conosciuto come un uomo della sinistra democristiana, e solo successivamente, grazie anche ai tentativi di certi magistrati di far luce sulla strage di Peteano, sono emersi i suoi antichi legami con la destra economica e politica, coi golpisti, la massoneria e la P2, e il ruolo chiave da lui svolto nei più oscuri "misteri della Repubblica" come la "Gladio", il "piano Solo", il caso Moro e la strage di Ustica. Nato a Sassari nel 1928 da una famiglia borghese, Cossiga milita all'inizio nella corrente della sinistra dossettiana. Poi si sposta all'estrema destra della DC divenendo suo padrino il golpista Mario Segni. È Cossiga che nell'aprile del 1962 si pone a capo dello schieramento che vuole portare Segni al Quirinale. Per ricompensa Segni lo nomina suo "consigliere" per gli affari speciali e i servizi segreti. Un incarico assai delicato che Cossiga metterà a frutto stringendo solidi e duraturi legami con golpisti del calibro di Edgardo Sogno, Allavena, Miceli, Pacciardi. Tra gli amici di Cossiga di quel periodo c'è anche De Lorenzo che nell'estate del '64, assieme a Segni, ordì col "piano Solo" un vero e proprio tentativo di golpe volto a instaurare una repubblica presidenziale fascista. E guarda caso nel '66 fu proprio Cossiga (chiamato da Moro, divenuto nel frattempo suo padrino politico, a ricoprire il ruolo di sottosegretario alla Difesa) a divenire il capo di "Gladio", quella struttura illegale e clandestina che dietro finalità difensive e patriottiche nascondeva attività e obiettivi anticomunisti, eversivi e golpisti. Fra alti e bassi si arriva al 1974, quando Moro, presidente del Consiglio, nomina Cossiga ministro senza portafoglio per la riforma burocratica. E ancora una volta egli torna ad interessarsi dei servizi segreti, applicandosi quasi esclusivamente alla loro "riforma". Lavoro che continuerà ad un livello superiore come ministro dell'Interno nel '76, nominato da Moro, e che porterà nel 1977, tra mille polemiche, alla "riforma" dei servizi segreti sotto il governo di "solidarietà nazionale" di Andreotti. Ferocia liberticida e il caso Moro È il periodo in cui esplode il potente movimento studentesco e giovanile del '77, e Cossiga inizia a far sfoggio del suo furore repressivo e liberticida. Vara provvedimenti speciali da stato d'assedio, tanto che l'Italia assume le caratteristiche di una grande caserma: le piazze e le università vengono presidiate da ingenti forze di polizia, ovunque posti di blocco, perquisizioni, fermi e cariche contro i manifestanti. Si addestrano corpi speciali all'insaputa del parlamento. Cossiga, che i giovani scrivono con la "K" e la doppia esse nazista, arriva persino a vietare per un mese e mezzo qualunque manifestazione nella capitale, fuorché quella del 1° Maggio e quella del 12 giugno, anniversario della vittoria del referendum sul divorzio. È proprio a conclusione di questa manifestazione che alcuni agenti in borghese uccidono Giorgiana Masi. Pochi mesi prima a Bologna era stato freddato da un ufficiale dei carabinieri lo studente universitario Francesco Lorusso. Contemporaneamente difende in tutti i modi i poliziotti e agenti dei servizi segreti finiti sotto inchiesta. Non sarà certo un caso che alla fine del 2008 Cossiga suggerirà provocatoriamente al ministro dell'Interno Maroni di infiltrare il movimento studentesco contro la "riforma" Gelmini per screditarlo e reprimerlo. Benché tutte le misure di polizia venissero giustificate con la necessità di "fronteggiare e vincere" il terrorismo quest'ultimo continua indisturbato la sua azione, tanto da riuscire a mettere a segno il suo colpo più clamoroso: il rapimento da parte delle cosiddette "BR" il 16 marzo 1978 di Aldo Moro e la sua successiva esecuzione. Alla luce di quanto è poi emerso, inquietante appare il ruolo di Cossiga nella gestione di tutte le fasi del sequestro a cominciare dalla creazione di un "comitato di crisi" composto da piduisti. Fra questi anche Franco Ferracuti, criminologo legato alla Cia e ai neofascisti, già suo psicologo e confidente e forse colui che presentò Cossiga a Gelli. Subito dopo il ritrovamento del cadavere di Moro, il 9 maggio 1978 Cossiga si dimette, ma l'anno successivo ('79) rientra nuovamente in gioco. Come capo del governo mette a frutto tutta la sua esperienza di ministro di polizia imponendo al Paese la più reazionaria e liberticida legge in materia di ordine pubblico che la Repubblica conosca. Il 15 dicembre del '79 fa approvare dalle Camere la cosiddetta legge Cossiga che fra l'altro introduce il fermo di polizia, prolunga la carcerazione preventiva e vieta la libertà provvisoria anche per reati non di terrorismo ma con finalità di terrorismo o di eversione del- l'"ordine democratico" che possono includere anche reati di vilipendio, d'opinione e propaganda rivoluzionaria. Dà inoltre la facoltà alla polizia di perquisire interi edifici senza l'autorizzazione scritta. Il 4 aprile '80 Cossiga succede a se stesso con un nuovo governo che dopo sei anni fa rientrare nel gioco governativo il PSI. Un avvenimento che prepara il terreno al pentapartito e alla presidenza Craxi del 1983. Il Cossiga-bis si conclude nel settembre '80, all'indomani della strage fascista alla Stazione di Bologna, nella quale è pesante il coinvolgimento dei servizi segreti e della P2. Precedentemente si registra il clamoroso coinvolgimento di Cossiga nel caso Donat Cattin. Il fatto è estremamente grave: l'allora presidente del Consiglio viene accusato di aver favorito la fuga del figlio dell'allora vicesegretario DC ricercato per l'omicidio del giudice Alessandrini. Il 27 giugno, davanti alle Camere riunite, evita per un soffio la messa in stato d'accusa. Quella stessa notte cade il DC-9 di Ustica. Il precursore della repubblica presidenziale Solo tre anni dopo quel drammatico 1980, Cossiga viene eletto presidente del Senato, con i voti dell'ex PCI che sembra averne dimenticato il passato antidemocratico e le connivenze coi golpisti. Evidentemente ciò è il frutto dello sporco baratto con la presidenza della Camera all'arcirevisionista Nilde Iotti. Nella veste di presidente del Senato Cossiga favorisce Craxi e il suo governo nella discussione sulla scala mobile, nonché l'avvio del dibattito sulle "riforme" costituzionali. Il passato di Cossiga non preoccupa l'ex PCI neppure quando si tratta di eleggerlo alla più alta carica dello Stato, il 24 giugno 1985. Elezione che oggi sappiamo essere il frutto di un accordo segreto fra l'allora segretario democristiano Ciriaco De Mita e l'allora segretario del PCI Alessandro Natta. E tanto per non sbagliarsi, tra i primi messaggi di congratulazioni al neoeletto, quel giorno, c'è quello di Licio Gelli. Per tutta la prima parte del suo settennato, Cossiga rimane nell'ombra presentandosi al Paese come l'uomo al di sopra delle parti. Poi, esplode il caso "Gladio" e Cossiga comincia a venire allo scoperto, a levarsi i "sassolini dalle scarpe": spara a zero sul Consiglio superiore della magistratura (CSM) e sui magistrati a lui scomodi, difende i giudici massoni, esalta e legittima provocatoriamente la "Gladio", impone al governo il suo giudizio minacciando l'"autosospensione", rende omaggio pubblicamente a golpisti come Sogno, Pacciardi, Miceli, Allavena e D'Ambrosio, inveisce contro i giornalisti ed editori italiani ed esteri per censurare le critiche e impedire le inchieste sul suo operato. Come se non bastasse appoggia e sostiene l'interventismo italiano nel Golfo Persico arrivando a chiedere la testa dei giuristi che avevano osato metterne in discussione la costituzionalità, pone insistentemente la questione di "chi comanda in caso di guerra" e auspica un "nuovo modello di difesa" basato sulla formazione di un esercito professionale. Non ha perso il "vizio" di circondarsi di piduisti e frequentare ambienti della massoneria e dell'"Opus Dei", visto che chiama a ricoprire il ruolo di suo consigliere particolare Umberto Francesco D'Amato, ex capo del famigerato Ufficio Affari Riservati accusato di aver intrattenuto rapporti col neofascista Delle Chiaie e sceglie come consigliere militare un massone di una loggia coperta. Senza contare che in un'intervista televisiva, da lui poi censurata, definisce "patrioti" sia i "gladiatori" che i piduisti. Cossiga da "massimo garante" della Costituzione a suon di picconate è diventato il suo massimo demolitore e ha imposto al Paese una trasformazione strisciante del ruolo e dei poteri del capo dello Stato fino a farli coincidere con quelli propri di una repubblica presidenziale. Egli di fatto ha inaugurato la repubblica presidenziale, così come era stata disegnata nel "piano di rinascita democratica" e nello "schema R" di Gelli e la P2 e come si andava realizzando tassello dopo tassello per opera di Craxi allora e di Berlusconi oggi. L'ultima picconata di Cossiga è quella di annunciare le proprie dimissioni da presidente della Repubblica il 25 Aprile 1992 con un discorso di 45 minuti a rete unificate e in diretta su tutte le sei reti Rai e dell'allora Fininvest al di fuori di ogni prassi istituzionale e costituzionale. A seguito dello sfascio della DC e del fallimento del partito da lui creato, l'UDR, per raccattarne i cocci, negli ultimi vent'anni il ruolo di Cossiga diventa marginale anche se rientra in gioco sempre nei momenti cruciali. Come quando, nel 1998, il suo voto di senatore a vita diventa decisivo per varare il governo D'Alema già presidente della Bicamerale golpista. O nel 2007, quando è stato determinate per salvare dalla crisi il governo Prodi con il suo sì al decreto sicurezza, sul quale l'esecutivo aveva posto il voto di fiducia. Nel 2008 infine voterà la fiducia al governo Berlusconi IV, così come aveva fatto la prima volta nel 1994. Di fatto egli non ha mai smesso di lavorare per il regime capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista, piduista e interventista e per impedire l'avvento del socialismo in Italia. Il tentativo di reprimere il PMLI e "Il Bolscevico" La "sinistra" borghese lo presentò a suo tempo come uno "fuori di testa", malato di megalomania e di narcisismo contribuendo così a coprirne la reale natura e obiettivi. Contro chi lo smascherò tempestivamente e verticalmente per quello che era, come fecero il PMLI e "Il Bolscevico", si scatenò invece la repressione. Il 18 ottobre 1990, veniva aperto un procedimento penale a carico dei compagni Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, Mino Pasca, allora Direttore politico de "Il Bolscevico", e Monica Martenghi, Direttrice responsabile dell'Organo del Partito, nonché del titolare della Litografia che stampa il giornale. L'accusa è di aver offeso "l'onore e il prestigio del presidente della Repubblica" (art. 278 c.p.), in relazione all'articolo "Far piena luce sui rapporti Cossiga-P2" apparso su "Il Bolscevico" n. 37 del 19 ottobre 1990. Nel novembre 1991 si viene a conoscenza che la Digos di Firenze, per conto del pubblico ministero Emma Boncompagni, sta svolgendo altre indagini, presumibilmente a carico degli stessi compagni, a proposito dell'editoriale intitolato "Attenti a Cossiga" pubblicato sul n. 13 del 29 marzo 1991 de "Il Bolscevico". È dunque evidente che il capo dei gladiatori vuol chiuderci la bocca. Non ci riesce, anche perché nel frattempo lo scandalo Gladio si allarga e anche altre forze politiche di minoranza parlamentare cominciano a chiedere l'"impeachment" di Cossiga. E di quei procedimenti giudiziari non se ne saprà più nulla, forse perché il ministro di grazia e giustizia non dette l'autorizzazione a procedere come prevede l'art. 313 del codice penale. 1 settembre 2010 |