Addio al comunismo, anche a parole Cossutta lancia il "partito della sinistra" L'ex agente dell'allora cricca revisionista di Mosca emarginato dal suo partito, attacca Diliberto e Rizzo e propone al PdCI e al PRC di costituire assieme ad altri un partito non più comunista a sinistra dei DS L'autosmascheramento del "grande vecchio del comunismo italiano", come ama definirlo la borghesia, alias Armando Cossutta, risale all'inverno scorso quando, lasciando di stucco la maggioranza dei membri e dei dirigenti del PdCI, aveva dichiarato che "Il comunismo non c'è più" e di essere disposto "a rinunciare alla falce e martello" pur di fare con i Verdi e altri la lista Arcobaleno, per meglio sostenere la candidatura elettorale del democristiano Prodi. Ne era derivato uno scontro interno dal quale Cossutta era uscito malconcio: messo all'angolo dal gruppo dirigente del PdCI, eliminati i suoi fedelissimi dalle liste elettorali, al vecchio capofila dei falsi comunisti non era rimasto che dimettersi polemicamente dalla carica di presidente, e accettare di candidarsi nella lista unitaria con i Verdi al Senato, continuando al contempo a ribadire la sua linea sempre più apertamente anticomunista. Ora è chiaro che questo imbroglione politico e falso comunista, aveva già nel cassetto il suo nuovo progetto politico, ed ha approfittato della ribalta del suo ottantesimo compleanno per venire completamente allo scoperto: proporre il superamento del PRC e del PdCI, di cui peraltro è stato il fondatore, per dar vita insieme ad altri ad un nuovo e unico soggetto politico, il "partito della sinistra". "Credo che sia l'ora di lavorare per una grande sinistra - dichiara in un'intervista rilasciata al La Stampa il 27 agosto scorso - una forza di cui l'Italia ha bisogno. Manca oggi una Sinistra di massa, popolare, plurale". Il messaggio per il presidente della Camera, l'imbroglione trotzkista Bertinotti, è forte e chiaro. Cossutta insomma sostiene apertamente che due partiti alla sinistra di DS, che per giunta elettoralmente si fanno le scarpe tra loro, non hanno più senso, tanto più dopo la conversione governativa del PRC. "Ho lasciato Rifondazione (riferendosi a quando nel '98 dette vita al PdCI, ndr) quando era proiettata verso il 10 per cento, pronta a diventare il riferimento per un nuovo, vero partito della sinistra. Ma il voto contro Prodi bloccò la prospettiva di un processo politico che - grazie al binomio autonomia e unità - poteva portare il PRC oltre le secche dell'autosufficienza". Ora però, continua Cossutta, "pare che il PRC abbia di fatto riconosciuto l'errore e che voglia indicare il suo superamento in una forza più ampia, quella della 'Sinistra europea'". Per l'imbroglione revisionista questa strada può essere percorsa insieme perché "serve una grande sinistra che sappia unire e non dividere che sappia estendere gli ideali di eguaglianza, libertà, laicità". E soprattutto che rinunci a definirsi "comunista" anche se, formalmente, dice solo che è "prematuro parlarne". Come la pensa Cossutta sull'argomento, lo dice però fuori dai denti quando parla del PdCI e dell'attuale gruppo dirigente capeggiato da Diliberto e Rizzo. Rispondendo alla considerazione del giornalista che il PdCI "pur di conquistare voti ai danni di Rifondazione, sembra diventato il sacerdote della purezza comunista", Cossutta afferma che "c'è stato uno stravolgimento della linea originaria" del partito, che "è emersa clamorosamente una nuova maggioranza permeata di una demagogia sempre più estremista, spesso molto rozza". Il risultato è che, a suo dire "il partito è emarginato", mentre è stata una "occasione sprecata" il rifiuto della Lista Arcobaleno con la "pretesa di imporre il simbolo del PdCI agli altri". Ripetendo le tesi del rinnegato Occhetto quando liquidò il PCI, anche Cossutta riconosce a quindici anni di distanza che il comunismo non può essere più difeso neppure a parole, come continuano a fare demagogicamente, e a puri fini elettorali, gli imbroglioni Diliberto e Rizzo. Meno male che nella sua autobiografia, data alle stampa appena due anni fa, Cossutta voleva che lo si ricordasse come un "comunista, senza vergogna e senza abiure". La sua ignobile parabola anticomunista è la prova palese che le bandiere rosse e la falce e martello sono state solo il paravento dietro cui ieri ha coperto la sua sporca opera di agente prezzolato al sevizio della centrale revisionista di Mosca e poi per coprire a sinistra la liquidazione del PCI e seminare nuovi inganni tra i sinceri comunisti e i fautori del socialismo. 6 settembre 2006 |