La crisi finanziaria Usa diventa una catastrofe Crac Lehman. Borse a picco Bush salva il colosso assicurativo Aig e accolla allo Stato i fondi-spazzatura delle banche Il governatore di Bankitalia: una delle crisi più gravi della storia Il 19 settembre, al termine di una settimana drammatica per la Borsa di New York e per l'intera economia "globalizzata", il cui evento più emblematico è stato il fallimento della banca d'affari Lehman Brothers, Bush è stato costretto ad annunciare un piano straordinario di salvataggio della finanza americana che non ha precedenti dalla grande crisi del 1929: l'acquisto da parte del Tesoro Usa a spese dei contribuenti di tutti i fondi-spazzatura non liquidabili che gravano nei bilanci delle banche e degli istituti finanziari e che destabilizzano le Borse minacciando di mandare a fondo l'economia americana e trascinare con sé anche l'intero mercato finanziario mondiale. La settimana nera di Wall Street si era aperta con il fallimento il 15 settembre della grande banca d'affari Lehman Brothers, il quarto istituto finanziario americano, con 158 anni di storia alle spalle e 27 mila dipendenti sparsi in tutto il mondo, dopo che i crediti inesigibili accumulati in anni di speculazione apparentemente facile e inesauribile sui mutui subprime e altri titoli-spazzatura di cui erano ormai pieni i suoi portafogli e la conseguente speculazione al ribasso di cui era fatta oggetto negli ultimi mesi l'avevano portata sull'orlo del baratro. Dal novembre scorso, in cui valevano 67 dollari, le sue azioni erano precipitate a soli 3,88 dollari l'11 settembre. Nella sua ultima settimana di vita il crollo era stato del 78% facendola scendere a un valore di 2,5 miliardi, praticamente al valore del Credem italiano alla Borsa di Milano. Un crac da 600 miliardi di dollari, le cui conseguenze il presidente della Federal reserve (Fed), Ben Bernanke, ha dovuto tamponare con un'iniezione di 70 miliardi di dollari nel mercato per prevenire un'ondata di panico generale che avrebbe potuto contagiare tutta la Borsa di New York e i mercati internazionali. Solo per questo le perdite, anche se consistenti (-4,2%), non sono state paragonabili al - 22% del lunedì nero del 1987. Nel commentare il disastro il ministro del Tesoro Henry Paulson (ex n. 1 di Goldman Sachs) aveva dovuto ammettere a denti stretti che "stiamo pagando per gli eccessi degli anni scorsi". Tuttavia per la Lehman il governo non aveva seguito la stessa strada scelta solo una settimana prima con i colossi finanziari dei mutui immobiliari Freddie Mac e Fannie Mae, salvati con la nazionalizzazione che costerà almeno 200 miliardi ai contribuenti americani, perché da sole rappresentavano i tre quarti della capitalizzazione della Borsa di New York. Più o meno lo stesso era stato fatto nel marzo scorso con la Bear Stearns, salvata dal fallimento prestando 30 miliardi di dollari a JP Morgan per rilevare la società in crisi. Invece la Lehman è stata lasciata fallire, come altre 7 banche dall'inizio dell'anno, in base al criterio incoerente e del tutto pragmatico che i mercati avrebbero potuto sopportare il fallimento della Lehman ma non della Bear e di Freddie e Fannie. Era stata proposta dalla Bank of America insieme alla britannica Barclays una soluzione "spezzatino" sul tipo dell'Alitalia, cioè l'acquisto della parte sana dell'istituto e l'accollamento allo Stato della "Bad company" restante, ma non se n'è fatto di nulla. Alla fine, dopo un vertice straordinario di Tesoro, Fed e Sec (l'autorità di controllo sulle borse), è stato deciso di non intervenire e di lasciar fare al mercato. La nazionalizzazion di Aig Lo stesso dilemma si è ripresentato però subito dopo per il colosso delle assicurazioni Aig (American International Group), anch'esso a rischio fallimento, con conseguenze ancora più devastanti del crac Lehman. L'Aig è infatti un istituto immenso, tentacolare, con 116 mila dipendenti sparsi per il mondo e con le polizze e le pensioni di milioni di famiglie americane nel suo portafoglio. Il suo fallimento avrebbe un impatto catastrofico sul sistema capitalistico americano e internazionale. Come Lehman Brothers anche Aig aveva accusato perdite consistenti in Borsa a metà settembre, tanto che sia le banche asiatiche, piene dei suoi titoli, sia la Fed erano intervenute con massicce iniezioni di liquidità per frenare la speculazione che minacciava di affondarlo. Ma senza grandi risultati, tanto che il 17 settembre Bush, con un'altra virata spettacolare rispetto al caso Lehman, ha deciso la nazionalizzazione di fatto di Aig, annunciando di aver stanziato un prestito di 85 miliardi in cambio dell'80% del suo capitale. L'inquilino della Casa Bianca ha cercato di giustificare in qualche modo l'intervento clamorosamente "antiliberista", che fra l'altro ha spiazzato non poco il candidato del suo stesso partito alla successione, Mc Cain, fino al giorno prima convinto sostenitore della linea "antistatalista" tradizionale dei repubblicani fin dai tempi di Reagan, al punto da aver dichiarato: "lasciamo che Aig fallisca". Il fallimento di Aig "avrebbe causato seri disordini finanziari", si è invece giustificato Bush, che però ha aggiunto significativamente: "L'economia affronterà ancora sfide serie". Come ammettere che il salvataggio di Aig era solo un pannicello caldo di fronte all'onda lunga dello tsunami messo in moto dai mutui subprime, e più in generale dalla politica finanziaria "allegra" basata sul basso costo del denaro e sui mutui fondiari facili voluta dall'ex presidente della Fed Greenspan e avallata dall'amministrazione Bush in tutti questi anni. Come ammettere cioè che siamo appena all'inizio di una stagione di crisi e di sconvolgimenti nell'economia capitalistica Usa e mondiale di cui non si intravede per ora la fine. E a confermare ciò da Wall Street e dalle altre principali Borse mondiali continuavano ad arrivare segnali poco rassicuranti. Se New York, malgrado il salvataggio di Aig, perdeva un altro 4%, anche le Borse europee non se la passavano meglio, perdendo mediamente un 2% e bruciando quello stesso giorno 123 miliardi di euro. La Borsa di Mosca, dopo aver perso in un giorno l'11,5%, è stata addirittura chiusa per un'ora. Un'ondata ribassista colpiva le due grandi banche newyorkesi superstiti, Goldman Sachs e Morgan Stanley, dopo che anche Merryl Linch era stata recuperata per i capelli dalla Bank of America che l'aveva acquistata per 50 miliardi di dollari. Notizie sconfortanti anche dal mondo dell'industria, dove colossi come General Motors, Ford e Chrysler chiedono sovvenzioni governative per evitare il crac. Nella City londinese 500 mila persone rischiano di fare la fine dei 200 mila colleghi americani che si sono trovati a spasso da un giorno all'altro. Il Tesoro Usa, in improvvisa crisi di liquidità, era costretto per autofinanziarsi ad emettere nuovi titoli per 40 miliardi. Un intervento da un trilione di dollari Di fronte a questa situazione allarmante, che poteva impazzire e diventare ingovernabile da un momento all'altro, il 19 settembre l'amministrazione Usa ha preso una serie di decisioni senza precedenti: ha promesso di accollare al bilancio nazionale i titoli-spazzatura (detti anche "titoli esoterici") ancora in possesso delle banche americane, creando un ente pubblico che comprerà dalle banche questi titoli a un valore pari al 65% di quello nominale e li terrà finché non saranno smaltiti nel corso degli anni. Inoltre bloccherà per legge e per 10 giorni rinnovabili le vendite di titoli "allo scoperto", cioè il gioco al ribasso in Borsa. Aggiungerà nuovi finanziamenti per sostenere il mercato immobiliare, più 50 miliardi per sostenere il valore dei fondi comuni immobiliari. Stanzierà inoltre 230 miliardi per aiutare le banche a far fronte all'ondata di riscatti dei fondi e altri 69 miliardi aggiuntivi per Fannie e Freddie affinché riaprano il flusso dei mutui-casa alle famiglie. Bush la definisce "una svolta nella storia dell'economia americana". Il fatto che sia in contraddizione con la politica antistatalista sempre sostenuta a spada tratta non lo turba per niente: "Di fronte a situazioni senza precedenti - ha tagliato corto l'Hitler della Casa Bianca - abbiamo varato misure senza precedenti". Il suo ministro Henry Paulson definisce "audace" questo piano che "implica un uso significativo di risorse del contribuente". Quanto costerà infatti ai contribuenti americani questa specie di "irizzazione" delle banche americane? Da quello che si è riusciti a capire (perché il piano è volutamente avaro di dettagli), non meno di 700 miliardi di dollari, quanto è costata finora la guerra in Iraq, più o meno il Pil di una nazione delle dimensioni del Messico; ma c'è chi calcola ben di più, almeno 1.000 miliardi: un trilione di dollari, una cifra sbalorditiva che ammonterebbe al 7% del Pil americano! Comunque da subito quello che è stato già annunciato rappresenta il 5% del Pil e ha fatto salire il debito pubblico alla stratosferica cifra di 11.300 miliardi di dollari. Si tratta di un intervento statale di gran lunga più importante di quello finora insuperato del salvataggio delle 147 casse di risparmio che alla fine degli anni '80 costò oltre 120 miliardi dell'epoca. Il piano attuale rimanda piuttosto alla Reconstruction Finance Corporation creata da Roosevelt nel 1932 per far fronte alla grande depressione. Inoltre alla fine degli '80 il governo prese il controllo delle banche fallite, che oltretutto avevano alle spalle un patrimonio immobiliare vendibile, mentre ora si limita a socializzarne le perdite senza toccare il management e senza una contropartita patrimoniale reale, ma solo carta straccia di difficile collocazione. L'intervento sarà pagato quindi dalle famiglie americane per anni e anni a venire, sotto forma di maggiori tasse e di inflazione, poiché lo Stato stamperà altra cartamoneta per coprire i fondi invendibili. Praticamente il Congresso dovrebbe firmare una cambiale in bianco all'amministrazione, che chiede una discrezionalità assoluta nel trattare l'acquisto dei fondi. Il Congresso teme un altro regalo alle banche, mentre le lobby di Wall Street fanno la fila per ottenere i vantaggi promessi dal governo. La Sec ha proibito la vendita allo scoperto delle azioni di 800 banche e società finanziarie, congelando la più importante forma di speculazione al ribasso. Cosa che fa arricciare il naso ai liberisti puri, perché impedisce che il mercato si "ripulisca" da solo dei titoli più deboli. La crisi sta avendo forti ripercussioni anche sulla campagna per la corsa alla Casa Bianca, con Obama che definisce questa "la più grave crisi finanziaria che l'America abbia vissuto dalla grande depressione del 1930" e appoggia l'intervento di Bush, anche se chiede più aiuti per le famiglie, e con Mc Cain che dismessi in fretta e furia i panni ultraliberisti ora invoca "pulizia" ai vertici degli organismi di controllo che non hanno controllato un bel nulla, e in particolare chiede le dimissioni del presidente della Sec, il repubblicano Cox, che però Bush difende. La crisi è solo all'inizio Il governatore della Banca d'Italia, Draghi, ha cercato di rassicurare i risparmiatori italiani dichiarando che da noi ci sono solo "rischi limitati", ma ha ammesso che questa crisi è "una delle più severe e complesse dei nostri tempi". Anche Berlusconi, in tv, ha cercato di buttare acqua sul fuoco sentenziando che un caso come Lehman in Italia "non può succedere". Gli istituti italiani più esposti con la banca fallita sono risultati finora la Banca Mediolanum di Ennio Doris e la Unipol, che sostengono di avere in portafoglio un quantitativo comunque "non preoccupante" di titoli della banca newyorkese. Ci sono preoccupazioni anche per i fondi pensione: il fondo Cometa, che raccoglie il Tfr di 500 mila metalmeccanici, ha per esempio titoli LB per un valore di 3,5 milioni di euro, anche se l'istituto precisa che esso ammonta solo allo 0,1% del suo patrimonio. Il problema vero è - come ammesso tra i denti dalle stesse autorità monetarie - che nessuno sa quanto estesa in ampiezza e in profondità sia l'infezione dei titoli-spazzatura, nemmeno le stesse banche che li possiedono, magari senza saperlo, mescolati e "impacchettati" con altri prodotti a rischio meno elevato, e solo nei prossimi mesi o anni lo si potrà sapere, man mano che i loro devastanti effetti si faranno sentire come è successo a Wall Street. Lo stesso Draghi, parlando davanti ai banchieri europei dell'Ecofin, ha ammesso che per far fronte allo sconquasso dei mutui subprime alle banche occorreranno ancora 350 miliardi di capitale, dopo che hanno perso a livello globale 500 miliardi di dollari già parzialmente coperti con 350 miliardi di nuovo capitale, e che molte di queste avranno difficoltà a raggiungere l'obiettivo. La crisi è solo all'inizio, insomma, e nessuno oggi è in grado di prevedere quali ne saranno gli sviluppi. Fin da ora però se ne possono individuare almeno due conseguenze certe: la prima è che la lunga fase ultraliberista reaganiana dell'economia capitalista, giudicata euforicamente trionfante e inarrestabile dopo il crollo dell'Unione sovietica revisionista e la cosiddetta "fine della storia", è arrivata invece al capolinea, sepolta dalle macerie provocate da una finanza ingorda e senza regole che ha finito per divorare le stesse basi su cui si reggeva, il credito e l'illusione di una sua moltiplicazione senza limiti. A un punto tale che il paese che più ha incarnato e imposto a tutta l'economia "globalizzata" questa linea iperliberista è ora costretto a scimmiottare misure "stataliste" di stampo rooseveltiano, che però potranno solo rinviare gli effetti più devastanti della crisi. La seconda è che il declino economico (e di conseguenza anche politico e militare) degli Usa, che era già evidente da alcuni anni, viene da questa crisi drammaticamente confermato, a tutto vantaggio dell'ascesa di nuovi soggetti imperialistici, come Cina, Russia, India e Ue che mirano a contenderle mercati, sfere d'influenza, ambizioni egemoniche. È riconfermata in pieno, cioè, l'analisi di Lenin sull'imperialimo e sul suo sviluppo disuguale, e questo ci dice anche che lungi dall'essere entrati in quel periodo di "pax capitalista" globale ed infinita che le classi dominanti borghesi e i loro cantori e pennivendoli promettevano con la "fine del comunismo", sta infuriando come non mai la legge della giungla capitalista e si accumulano i fattori di guerra. E che solo la presa di coscienza e l'intervento delle masse possono riuscire a scongiurarla. 24 settembre 2008 |