Tracollano le Borse, crolla il titolo Unicredit Il crac finanziario Usa si ripercuote rovinosamente in Europa Il capitalismo non può essere "riformato", ma estirpato per far posto al socialismo La tempesta finanziaria che ha travolto Wall Street, costringendo l'amministrazione Usa a varare un gigantesco intervento da quasi un trilione di dollari per arginarla in qualche modo, ha già attraversato l'Atlantico ed è sbarcata ufficialmente in Europa, spazzando via il fragile muro di scongiuri e di parole rassicuranti con cui le autorità monetarie e i governi europei si erano illusi di tenerla fuori dalla porta. Il 29 settembre è stato il lunedì nero delle Borse europee. Dopo una settimana al cardiopalmo, segnata dal fallimento della Washington Mutual, la più grande cassa di risparmio americana, e dalla clamorosa bocciatura in Congresso del piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari ideato da Bush, dal ministro del Tesoro Paulson e dal presidente della Fed Bernanke, tutte le piazze europee hanno aperto con forti perdite, tanto che alla fine della giornata erano andati in fumo 320 miliardi di euro. E questo prima ancora dell'apertura, anch'essa al ribasso, di Wall Street e della notizia della bocciatura del piano di Bush da parte del Congresso americano. Un segnale eloquente che la crisi si è ormai radicata anche in Europa e non è più solo un riflesso di quella Usa. Le porte di ingresso dell'infezione in Europa sono state le banche dei paesi più direttamente legati all'economia americana, come il Regno Unito, l'Irlanda, l'Islanda e l'Olanda. Dopo il crac della banca Northern Rock, che fu la prima un anno fa a sprofondare sotto il peso dei titoli "tossici" legati ai mutui americani subprime, il governo inglese è dovuto ora correre ai ripari per salvare un'altra banca sull'orlo del fallimento, la Bradford & Bingley, con un intervento da 18 miliardi di sterline. Il governo irlandese, con una decisione drastica fortemente criticata da quello britannico e da altri governi europei, ha annunciato che garantirà integralmente i depositi bancari. Sul continente è stata la banca belga-olandese Fortis, 85 mila dipendenti, la prima del Belgio e la seconda dei Paesi Bassi, una tra le prime 20 al mondo, a dover essere salvata con un intervento in extremis. In un anno, da quando è cominciata la crisi dei mutui subprime, il colosso finanziario aveva perso più di due miliardi di euro. Negli ultimi giorni si erano infittite le voci di insolvenza ed era iniziata una corsa al ritiro dei depositi e la sua capitalizzazione era crollata del 35%. Per salvarla e prevenire un effetto a cascata, con un piano da 11 miliardi di euro, sono dovuti intervenire ben tre governi, Olanda Belgio e Lussemburgo, perché Fortis ha un bilancio talmente grosso (il triplo del Pil del Belgio), che un solo governo non ce l'avrebbe fatta. Ecco il risultato delle fusioni e delle acquisizioni su cui i governi della Ue hanno insistito in questi anni per avere delle banche "forti" in grado di competere sui mercati finanziari globalizzati! Più grossa è la banca, più devastante è il crac, più dolorose sono le conseguenze per i risparmiatori e per la collettività che sono chiamati a pagare il conto. Il governo belga sborserà poi altri 7 miliardi per salvare anche la franco-belga Dexia, i cui titoli erano crollati del 28,5% il 29 settembre. Dexia è il n. 1 al mondo per i crediti agli enti pubblici. Tra questi, attraverso la controllata italiana Crediop, ci sono anche diverse regioni e comuni italiani. Anche in Germania crescono i timori di interventi di emergenza dopo i crolli in Borsa di Commerzbank (-24,1%), Deutsche Postbank (-23,88%) e Aereal Bank (-42,53%), tanto che la cancelliera Merkel ha dovuto dichiarare che il governo garantirà tutti i depositi bancari. E comunque il governo Merkel è già stato costretto ad un intervento di salvataggio, quello di un credito da 35 miliardi di euro per la banca Hypo Real Estate, che il 29 settembre aveva avuto un crollo in Borsa di ben il 74%. Previsioni pessimiste e dichiarazioni rassicuranti Tutti segnali che confermavano le previsioni pessimistiche del Fondo monetario internazionale, che commentando il "lunedì nero" europeo avvisava: "Gli europei farebbero bene a prepararsi agli scenari peggiori per quanto riguarda la crisi bancaria". Pessimista anche il finanziere e industriale De Benedetti, secondo il quale la crisi dei mutui colpirà anche l'economia reale e non saranno gli Usa a soffrire di più, ma l'Europa. Per il Tesoro italiano, invece, non c'era da preoccuparsi: "Non siamo l'epicentro per mille e una ragione, siamo i meno colpiti", ripeteva Tremonti. Anche Bankitalia diffondeva messaggi tranquillizzanti: "La liquidità delle banche italiane è adeguata e soddisfacente" e via Nazionale - assicurava Draghi - esercita "un costante monitoraggio delle condizioni dei mercati". Ma intanto il differenziale tra i Btp italiani e gli equivalenti Bund tedeschi, che tradizionalmente misura in proporzione inversa il grado di fiducia nel mercato italiano, tornava a salire, schizzando nella sola giornata del 29 settembre da 66 a 92 punti. Anche i tassi interbancari subivano una brusca accelerazione, con l'Euribor, che fa da riferimento anche per i tassi sui mutui, che saliva al 5,277%. Ma a smentire in pieno le rassicurazioni ufficiali sulla "adeguatezza" della liquidità del sistema creditizio italiano per far fronte alla crisi arrivava soprattutto la doccia fredda Unicredit, la banca italiana più attiva sul mercato internazionale. Il 29 settembre, alla Borsa di Milano, dopo varie sospensioni al ribasso, il titolo della banca di Alessandro Profumo perdeva ben il 15% e il giorno dopo un altro 12,7%. Le pesanti perdite erano dovute soprattutto alla fuga di molti fondi di investimento americani. Il titolo della banca scendeva a 2,59 euro, il valore più basso degli ultimi 10 anni, segnando un netto calo del 30% dal 1° settembre. Ciò nonostante Profumo rassicurava: "Per noi la liquidità non è un problema", smentendo anche le voci di sue prossime dimissioni. Ma intanto, dopo una riunione d'urgenza del Cda della banca, si annunciavano misure d'emergenza per 6,5 miliardi di euro, con la vendita di alcuni asset, una robusta ricapitalizzazione e la decisione di distribuire i dividendi in azioni anziché in contante. Rendendosi conto dei rischi di panico Berlusconi dichiarava in tono al tempo stesso burbanzoso e rassicurante: "Non consentirò attacchi speculativi alle nostre banche e non accetterò che i cittadini perdano neanche un euro dei loro depositi". Draghi e Tremonti si precipitavano ad emettere una nota congiunta per assicurare i risparmiatori che erano pronti a "garantire la stabilità del sistema bancario" e che le tensioni "sono del tutto ingiustificate" e solo di "natura speculativa". Intanto però, in Borsa, oltre ai titoli Unicredit finivano sotto attacco anche i titoli Intesa-Sanpaolo, Banco Popolare, Banca popolare di Milano e Ubi, sospesi più volte per eccessivo ribasso. La piaga nascosta dei derivati A preoccupare è anche l'esposizione di molti comuni grandi e piccoli sui cosiddetti derivati. Si teme soprattutto per i comuni di Milano, Catania e Roma, particolarmente esposti con questi prodotti estremamente rischiosi. Nessuno sa con precisione quanto sia esteso questo bubbone, che prima o poi dovrà scoppiare. Si parla infatti di decine di miliardi di euro a rischio. Secondo l'inchiesta televisiva di Report dell'ottobre 2007, sarebbero 900 i comuni coinvolti, per un'esposizione di 10 miliardi di euro. È difficile valutare il livello di rischio dei derivati. Occorrono conoscenze specifiche e disporre di software molto sofisticati e costosi. Spesso i comuni li sottoscrivono al buio, facendo firmare a loro funzionari una liberatoria per le banche come "esperti" della materia, anche perché ottengono soldi subito e possono scaricare il debito sulle amministrazioni a venire. Vengono proposti dalle banche a piccoli imprenditori, artigiani, commercianti ed enti locali come "assicurazioni" sul debito, in particolare sul rialzo dei tassi sui mutui, ma in realtà sono delle vere e proprie trappole finanziare molto sofisticate e difficili da comprendere, ed hanno effetti devastanti in tempi di crisi come questi. Si può perdere anche 100 volte il capitale impegnato. L'ex ministro Siniscalco li definì "droghe pesanti". Vengono fabbricati nella City londinese, che considera il mercato italiano particolarmente appetibile. E guarda caso, Unicredit è la banca che ha piazzato di più i derivati strutturati tra i piccoli imprenditori e gli enti locali. Il 3 ottobre il parlamento Usa ha approvato il piano di Paulson, salito nel frattempo a 850 miliardi dopo gli emendamenti del Senato, per destinare 150 miliardi di dollari a sostegno del ceto medio, per aumentare le garanzie sui conti correnti ed altri interventi. Ma Wall Street ha reagito con scarso entusiasmo, segno che non crede all'efficacia a lungo termine dell'intervento del Tesoro americano. Solo un po' meglio le piazze europee, dopo giorni e giorni di altalene e di incertezze. Nonostante le trionfali previsioni di Bush sulla riuscita della cura, la situazione si annuncia molto difficile. La disoccupazione morde duramente in America, dove si assiste al crollo verticale del mercato delle auto. E neanche in Europa va meglio, dove proprio in questi giorni la Francia ha annunciato ufficialmente di essere entrata in una fase di recessione. Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha parlato di una "situazione senza precedenti dalla seconda guerra mondiale", spiegando che la banca centrale ha già iniettato 420 milioni di euro nel sistema bancario per fronteggiare la crisi di liquidità. Il FMI ha definito lo shock finanziario dei mercati il più pericoloso dalla grande depressione degli anni '30. Alla vigilia del vertice straordinario convocato per il 4 ottobre a Parigi da Sarkozy, tra i 4 paesi europei del G8 (Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia) per decidere una strategia comune contro la crisi, è circolata la voce di una proposta olandese, recepita dal presidente francese e da Berlusconi, di istituire un fondo di sicurezza europeo di 300 miliardi di euro (quasi un terzo del Pil italiano) per interventi di salvataggio delle banche sull'esempio degli Usa. Ma la Merkel, Gordon Brown e il premier lussemburghese e presidente dell'Eurogruppo Junker si sono opposti fermamente: i governi delle economie più forti della Ue non vogliono evidentemente frugarsi in tasca per sostenere anche quelle dei paesi più deboli. Un vertice tanto solenne quanto inefficace Il G4 di Parigi si è pertanto concluso con un impegno a sostenere le banche in difficoltà e stabilizzare il mercato finanziario, ma ogni governo si muoverà per conto suo in casa propria, alla faccia della conclamata "volontà di unificazione" economica e politica dell'Europa imperialista dei monopoli e dei banchieri. Le sole decisioni "unitarie" riguardano l'impegno di ogni governo a "punire" in qualche modo i manager responsabili dei crac e la richiesta alla Commissione Ue di chiudere un occhio ("dare prova di flessibilità") di fronte alle misure che si rendessero necessarie per salvare le banche in difficoltà. Si chiederà anche flessibilità sull'interpretazione del patto di stabilità, in base al principio che "l'applicazione dovrebbe riflettere le circostanze eccezionali che stiamo attraversando". Sono stati inoltre stanziati 30 miliardi di euro da mettere a disposizione delle piccole e medie imprese per ovviare alle restrizioni del credito. Il vertice ha auspicato infine la convocazione di un G8 allargato ai paesi emergenti più importanti, come Cina, India, Brasile, cioè i 14 che rappresentano l'80% dell'economia mondiale, "per rifondare il sistema finanziario" (Sarkozy). Affermazioni tanto solenni quanto, almeno per adesso, del tutto insufficienti a calmare i mercati europei, visto che anche la settimana dopo il vertice si è aperto all'insegna di perdite sostenute in tutte le principali Borse del vecchio continente, tanto che il 6 ottobre è stato un altro "lunedì nero", ancor peggiore di quello precedente. La crisi sembra dunque essere sbarcata in Europa per restarci a lungo. Berlusconi, che al vertice di Parigi si è pavoneggiato come Mussolini a quello di Monaco del 1938, non si è vergognato di proclamare (proprio lui!) che "dobbiamo riportare l'etica nel mondo della finanza". Ostentando poi il solito ottimismo di facciata col dichiarare che "vale la pena di ricordare che l'Europa non ha mai corso i rischi americani. La nostra economia è fondata sul sistema manifatturiero ed è creata dal lavoro e non dalla finanza". Una linea tattica, quella del neoduce, ancora una volta in totale sintonia con Emma Marcegaglia, che al convegno dei giovani industriali a Capri ha pontificato: "Questa non è la fine del capitalismo. Questa è la crisi di un sistema finanziario basato sulla droga monetaria, costruito sul nulla, slegato dall'economia reale". Come se la presidente di Confindustria avesse scoperto solo ora il marcio del mercato finanziario globale. E come se fosse realisticamente possibile separare con un taglio netto la finanza e l'industria capitalistiche, che formano un unico marcio sistema che non può essere "riformato" in alcun modo, ma solo estirpato per essere soppiantato dal socialismo. 8 ottobre 2008 |