La cricca revisionista e fascista di Pechino riconosce le disuguaglianze sociali esistenti in Cina I 400 più ricchi hanno un patrimonio di 200 milioni di dollari pro-capite. Il 20% dei più poveri si spartiscono solo il 4,7% del reddito Le disuguaglianze sociali esistenti in Cina a causa della restaurazione del capitalismo sono così evidenti che persino la cricca revisionista e fascista di Pechino è costretta a riconoscerle e a promettere di intervenire per ridurle. La riunione plenaria del comitato centrale del partito revisionista e fascista cinese di Hu Jintao che si è chiusa a l'11 ottobre scorso nella capitale ha varato le linee guida del nuovo piano quinquennale e ha tra l'altro sottolineato fra i settori di intervento "l'equità sociale, gli sforzi per riequilibrare la distribuzione dei redditi e il rafforzamento dei tentativi per ridurre la tendenza all'allargamento delle disparità fra regioni e fra i membri della società". L'obiettivo, afferma il comunicato finale del plenum, è quello di creare una "società armoniosa", il concetto reazionario confuciano rispolverato e rilanciato in tutte le occasioni da Hu Jintao per bloccare la lotta di classe e camuffare la dittatura capitalista in Cina. Nel documento approvato dal Politburo del PCC alla vigilia del plenum si affermava che "nei prossimi cinque anni la Cina dovrà dedicare più attenzione alla giustizia sociale e alla soluzione dei problemi più pressanti della popolazione", il nuovo piano quinquennale perciò avrebbe dovuto prevedere "uno sviluppo più equilibrato e armonioso tra economia e società, città e campagna e tra le diverse regioni". Nell'intervento di apertura del plenum, l'8 ottobre, Hu Jintao ripeteva: "sconfiggere gli squilibri che minacciano l'armonia del paese, come il divario crescente tra i ricchi e i meno abbienti, tra le province costiere più sviluppate e quelle rimaste indietro, affrontare l'inquinamento delle grandi città, combattere la corruzione". Ovviamente queste "disgrazie" per il popolo cinese non sono cadute dal cielo ma sono conseguenza della restaurazione del capitalismo in Cina, avviata dopo la morte di Mao dalla cricca di Deng Xiaoping che ha passato l'eredità agli allievi oggi diretti dal presidente e segretario del PCC Hu Jintao e dal premier Wen Jiabao. I dati delle enormi disuguaglianze sociali esistenti in Cina sono forniti dagli stessi enti governativi. Il ministero del Lavoro e della sicurezza sociale in un recente rapporto ha sottolineato che le diseguaglianze sociali "hanno raggiunto un livello da allarme giallo e se non vengono corretto entro cinque anni saremo all'allarme rosso". Le statistiche ufficiali stimano in 26 milioni le persone che vivono nella miseria e che altri 22 milioni di residenti nelle periferie delle grandi città sopravvivono di sussidi governativi, peraltro risibili. Una stima dell'Asian Development Bank fa salire fino a 127 milioni il numero dei cinesi che vive nella miseria più nera mentre il China Labour Bulletin ha calcolato che al giugno 2005 sono saliti a circa 21,9 milioni i lavoratori licenziati dalle imprese statali, in gran parte privatizzate, e che vivono col sussidio di disoccupazione pari a poco più di 15 dollari al mese. Fanno parte del 20% dei cinesi più poveri che si spartiscono solo il 4,7% del reddito del paese mentre, riporta l'ufficiale rapporto Hurun, il 10% dei più ricchi controlla la metà delle risorse del paese. 127 milioni di cinesi sono in miseria mentre i 400 cinesi più ricchi hanno un patrimonio di 200 milioni di dollari pro-capite. Una forbice di reddito che fa della Cina uno dei paesi con le maggiori disuguaglianze del mondo, superiori persino a quelle già alte degli Stati Uniti: l'allievo capitalista ha superato il maestro. La rivista ufficiale della scuola del partito, "Tempi di studio", ha avvertito che l'alleanza fra la classe politica e i capitalisti, oltre a generare corruzione, è essa stessa la fonte principale delle disugaglianze sociali. Un recente documento dell'Accademia delle scienze di Pechino, l'istituto di analisi che affianca il governo, denunciava che il PCC è il partito della corruzione che secondo alcune stime pesa per il 20% del pil. Da documenti dello stesso partito risulta che negli ultimi otto anni sia stato scoperto mediamente un caso di corruzione al mese a livello ministeriale, uno al giorno a livello di dirigenti medio alti e ben quindici al giorno a livello distrettuale. I "buoni propositi" enunciati dal plenum del comitato centrale perciò si smascherano da soli. In ogni caso l'intervento statale non potrebbe che essere limitato dato che i due terzi dell'economia cinese sono in mano a privati come pure il 60% delle esportazioni che è in mano a multinazionali straniere. L'unica misura concreta di cui si parlava a Pechino nei giorni del plenum era quella in discussione in parlamento per alzare la soglia dei redditi totalmente esenti da imposte dagli 80 ai 150 euro, un misero regalo fiscale ai più poveri. Gli 800 milioni di abitanti delle campagne hanno un reddito medio pro-capite di circa un terzo rispetto a quelli delle città e secondo l'ufficio nazionale di statistica il divario continua a crescere; sono almeno 120 milioni i contadini poveri che migrano stagionalmente dalla campagna alle città in cerca di un lavoro precario; i disoccupati ufficiali sono 30 milioni. Sono altri dati di uno squilibrio che genera un numero crescente di conflitti sociali. Hu Jintao invoca la costruzione di una "società armoniosa", le masse popolari si ribellano. Lo stesso ministro della pubblica sicurezza ha reso noto che nel 2004 vi sono state 74 mila proteste di vario genere che hanno coinvolto quasi 4 milioni di persone; dalle rivolte contadine contro i dirigenti di partito corrotti responsabili degli espropri a favore della speculazione edilizia, contro la devastazione e l'inquinamento ambientale causato dall'industrializzazione, agli scioperi degli operai per rivendicare aumenti salariali. 19 ottobre 2005 |