11° "Rapporto sui diritti globali" La crisi economica capitalistica aumenta povertà, disoccupazione, precarietà e divario sociale I ricchi sono più ricchi e i poveri più poveri anche in conseguenza dell'abolizione della scala mobile 3 milioni di precari, un lavoratore su tre, con paga media di 836 euro È un quadro dell'ingiustizia sociale drammatico e che grida vendetta, quello che emerge dall'11° "Rapporto sui diritti globali" relativo al 2013 presentato il 4 giugno nella sede centrale della CGIL a Roma. Un documento di oltre mille pagine piene di dati sulla situazione del lavoro, dell'economia, del welfare, dei diritti delle persone, dell'ambiente e del territorio, delle carceri e della giustizia, a cui hanno collaborato numerose associazioni come Antigone, Arci, Gruppo Abele, Legambiente, Sbilanciamoci, la CGIL, le Comisiones obreras della Catalogna e altri. Il significativo sottotitolo di questa approfondita analisi, "Il mondo al tempo dell'austerity", introduce già al tema conduttore dello studio, che è quello della colossale redistribuzione della ricchezza, dai più poveri ai più ricchi, che le spietate leggi del capitalismo finanziario e le feroci politiche liberiste di austerità imposte dall'Unione europea imperialista stanno provocando nella società. Dal 2008 ad oggi il drenaggio dai redditi da lavoro e da pensione e dai risparmi delle famiglie è stato incessante e crescente, un'enorme massa di denaro che è andata ad ingrassare la speculazione finanziaria, le banche, le grandi imprese e lo Stato, senza alcun ritorno in termini di servizi alla popolazione e investimenti nell'economia reale per sostenere l'occupazione e i salari. Questa situazione ha creato un grave ristagno della produzione e una riduzione proporzionale dell'occupazione, crollata dal 2008 ad oggi di 1 milione e 700 mila unità, principalmente a danno dei giovani tra i 15 e i 24 anni, tra i quali la disoccupazione ha raggiunto il 41,7%, con punte del 50% al Sud. Un effetto collaterale di ciò è l'impoverimento generalizzato delle famiglie, e in particolare dei pensionati e persino dei bambini: nel 2011 i bambini fino a due anni che avevano la possibilità di frequentare un asilo nido erano appena l'11,8%, mentre su un totale di 16,7 milioni di pensionati quasi la metà, 8 milioni, percepiscono meno di mille euro al mese, e tra questi ben 2 milioni non arrivano a 500 euro. Ma il dato ancor più spaventoso è che il poco lavoro che c'è è sempre più precario e sfruttato: ormai l'esercito dei precari ha raggiunto nel 2012 il 32% degli occupati, con un'impennata nell'ultimo anno dovuta anche alla sciagurata controriforma Fornero. Si tratta di 3.315.580 lavoratori, con un salario medio di appena 836 euro mensili, di cui un terzo lavora nello Stato e nella pubblica amministrazione, il più grande sfruttatore di mano d'opera precaria. Gli altri sono distribuiti soprattutto nel commercio, nei servizi alle imprese e nel settore alberghiero e della ristorazione. Il 35% di occupazione precaria è concentrato al Sud, e soprattutto in regioni come la Calabria e la Sardegna. Né questa tendenza negativa è destinata ad invertirsi nei prossimi anni, visto che l'Italia si è impegnata con il micidiale "fiscal compact" europeo a ridurre dal 130 al 60% il debito sul Pil (Prodotto interno lordo), il che comporterà altre stangate da 50 miliardi l'anno per i prossimi 20 anni. E lo ha pure scritto nella Costituzione, con la riscrittura dell'art. 81 che ci obbliga al pareggio di bilancio, approvata all'unanimità dal parlamento nero, di nascosto e senza consultare la popolazione. Un altro fiume di miliardi drenato dai salari, dalle pensioni, dallo Stato sociale, dalla svendita del patrimonio pubblico, che finirà immobilizzato nei forzieri delle banche e dei paradisi fiscali senza liberare risorse per l'economia reale. C'è da meravigliarsi, allora, se in questo assurdo scenario l'unica cosa che prospera e cresce incessantemente è la disuguaglianza sociale? Se il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% della ricchezza totale, mentre il 50% delle famiglie più povere se ne divide appena il 10%? Secondo il rapporto solo cinque tra i paesi dell'Ocse, tra cui gli Usa, presentano un divario sociale tra ricchi e poveri più marcato dell'Italia. Ad averlo decisamente incrementato è stata l'abolizione della scala mobile del 1984, seguita dalla crisi valutaria e dalla manovra da 90 mila miliardi di lire di Amato nel 1992. Da quel momento e per i successivi 20 anni è stato innestato quello che Draghi ha chiamato il "pilota automatico", e tutti i governi che si sono succeduti, indipendentemente se di "centro-destra" o di "centro-sinistra", hanno applicato politiche di rigore di bilancio, liberalizzazioni e precarizzazione dei rapporti di lavoro che hanno precipitato il Paese in queste drammatiche condizioni. Lo stesso rapporto si interroga su quale sia l'obiettivo finale inconfessato di questa che definisce una vera e propria "guerra di classe", e si risponde che è quello di liquidare una volta per tutte il "modello sociale europeo" di welfare, quello che Draghi ha già dichiarato "morto". Le cifre parlano da sole: nel biennio 2010-12 il taglio alle politiche sociali è stato del 90%, scendendo da 435 a 43 milioni di euro. I fondi per la scuola e università hanno subito un taglio di 10 miliardi. Altri 30 miliardi saranno tagliati alla sanità pubblica di qui al 2015. E quale miglior governo di quello delle "larghe intese" Letta-Berlusconi voluto da Napolitano poteva essere creato, aggiungiamo noi, per avere i numeri in parlamento per imporre questo micidiale massacro sociale e reprimere la ribellione dei lavoratori e delle masse popolari che esso inevitabilmente susciterà nel Paese? 19 giugno 2013 |