Nostalgico della Bicamerale che prevedeva l'elezione diretta del capo dello Stato D'Alema: "Non chiedo la dittatura ma una riforma elettorale e una riforma costituzionale" Per il capofila dei rinnegati del comunismo la "crisi della credibilità della politica potrebbe travolgere il Paese, penso alla fine della prima Repubblica" Giocando d'anticipo sull'intervento che Montezemolo avrebbe tenuto pochi giorni dopo all'assemblea della Confindustria, D'Alema ha rilasciato un'intervista al "Corriere della Sera" del 20 maggio in cui risponde alla campagna montante contro i "costi della politica" rilanciando la "riforma" della Costituzione e quella della legge elettorale. Cioè andando incontro proprio alle richieste sempre più pressanti di "governabilità", presidenzialismo, federalismo e liberismo sfrenato dei cosiddetti "poteri forti" che hanno ispirato quella campagna. Solo che vuole rivendicarne l'iniziativa agli stessi partiti della seconda repubblica che sono nel mirino della nuova ondata di "antipolitica", spingendoli a superare indecisioni e veti incrociati per mettere mano essi stessi al rafforzamento del regime neofascista, prima che siano travolti come nella stagione di tangentopoli. E da parte sua egli si propone ancora una volta, come già fece con la Bicamerale golpista, come il più adatto per capacità, esperienza politica e senso delle istituzioni, a fare da mediatore tra i due poli del regime neofascista per riprendere in mano il filo della controriforma costituzionale da dove fu interrotto una decina di anni fa e condurla finalmente in porto in questa legislatura. Non è perciò un caso che per lanciare questa operazione si sia rivolto al principale organo di stampa della grande borghesia industriale e finanziaria, cioè proprio al portavoce di quei "poteri forti" che spingono - come Montezemolo ha fatto ben capire dalla tribuna confindustriale - affinché i partiti si decidano a "riformare" se stessi e il sistema politico, oppure si rassegnino ad essere spazzati via come quelli della prima Repubblica. Il pericolo dell'"antipolitica" e la nostalgia della Bicamerale Il ministro degli Esteri esordisce enumerando i "successi" del governo di cui fa parte, tra cui, manco a dirlo, un posto di rilievo assegna alla sua politica estera, che a suo dire ha "molto rafforzato" il "profilo internazionale" dell'Italia. Gli insuccessi invece, se ce ne sono, sono tutti dovuti a difetti di comunicazione: "La debolezza del governo è una debolezza di messaggio al Paese", dice D'Alema non resistendo al suo vecchio vizio di attribuire il crollo di credibilità dei governi di "centro-sinistra" (di cui si è avuta un'eloquente dimostrazione alle comunali e provinciali del 27 e 28 maggio), alla scarsa abilità mediatica della "sinistra" borghese nel far risaltare i suoi "successi". E anche, a suo dire, "dal prevalere del chiacchiericcio e delle litigiosità autoreferenziali" nella compagine di maggioranza. Ciò gli fornisce comunque l'aggancio per gettare l'allarme sulla situazione che si va deteriorando per l'intera classe politica, avendo anche in mente il recente e clamoroso successo di pubblico del libro "La casta" di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo (editorialisti, guarda caso, del "Corriere della Sera"), che mette alla berlina gli scandalosi privilegi dei politici e gli astronomici costi delle istituzioni, a cominciare da Quirinale e governo. Dice infatti il capofila dei rinnegati del comunismo: "È un problema che riguarda il governo ma anche l'opposizione. È in atto una crisi della credibilità della politica che tornerà a travolgere il Paese con sentimenti come quelli che negli anni '90 segnarono la fine della prima Repubblica". C'è infatti, torna ad insistere D'Alema dopo aver risposto ad altre domande, un "grande problema del nostro Paese, che è quello di dare autorevolezza alla guida politica. Noi paghiamo lo scotto di non aver avuto la forza di fare le riforme". Ed è a questo punto, dopo aver evocato nostalgicamente la sua Bicamerale golpista, che il capofila dei rinnegati lancia la proposta: "Io non chiedo la dittatura (bontà sua, ndr), però o noi troviamo il modo di fare una riforma elettorale che porti con sé anche un rafforzamento dell'esecutivo e il superamento di alcuni meccanismi obsoleti, come il bicameralismo, o rimaniamo nella palude. E di questo tema dovrebbero farsi carico tutte le grandi forze del Paese". Un invito rivolto anche ai leader dell'opposizione, perché anche loro, sottolinea il titolare della Farnesina, "dovrebbero interrogarsi sul futuro di questo Paese e delle sue istituzioni, al di là dei calcoli di convenienza. È del tutto evidente che il nostro sistema politico corre dei rischi molto seri e che bisogna affiancare alla riforma della legge elettorale un pacchetto di riforme costituzionali". D'Alema alfiere della repubblica presidenziale Un altro "patto della crostata", osserva l'intervistatrice ricordandogli l'accordo raggiunto con Berlusconi a cena a casa di Letta, che poi il neoduce stracciò all'ultimo momento facendo fallire la Bicamerale a un passo dalla mèta finale. In quel patto, sospira con orgoglio e nostalgia D'Alema, "c'era l'elezione popolare diretta del capo dello Stato e c'era il doppio turno, che avrebbe limitato il potere di ricatto delle forze minori. Era un accordo importante per l'Italia". Insomma, fosse dipeso da lui, l'Italia sarebbe già da molti anni una repubblica presidenziale a tutti gli effetti, e con una legge elettorale maggioritaria come quella che ha portato trionfalmente all'Eliseo Sarkozy, che la "sinistra" borghese tanto ammira e invidia. Ma si può sempre ripartire da lì, magari sostituendo all'elezione diretta del presidente della Repubblica quella del premier, già tentata dalla Casa del fascio e bocciata dal referendum popolare del giugno 2006. Il partito Democratico, di cui egli è tra i leader più papabili, nasce proprio in questa prospettiva, fa capire il capofila dei rinnegati: che è quella di una repubblica presidenziale (fondata sui pieni poteri al premier o al capo dello Stato poco importa), con un parlamento ridimensionato in consistenza e poteri, un assetto federalista e due partiti borghesi forti che si alternano al potere attraverso un meccanismo elettorale fortemente maggioritario che spazzi via le frange minori, fonti di ingovernabilità. Intanto, in attesa della sperata incoronazione come futuro premier o capo dello Stato, D'Alema si propone come una figura al di sopra delle parti ("quando mi sono presentato alle elezioni - si vanta - mi hanno votato al di là dei partiti e dei loro apparati"), il più adatto a fare da ponte tra la destra e la "sinistra" di regime per fare insieme la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione e la legge elettorale maggioritaria. Come ha chiesto perentoriamente anche la Confindustria attraverso Montezemolo. E come non cessa di chiedere a ogni piè sospinto il rinnegato Napolitano, invitando tutti i partiti a dialogare per arrivare al più presto alla "riforma" delle istituzioni, indispensabile per assicurare la governabilità del regime neofascista di cui è stato eletto garante. 30 maggio 2007 |