Il governo Letta-Berlusconi pone la fiducia sul "decreto del fare" a favore dei padroni
Calpestati i poteri del parlamento

 
Il 26 luglio la Camera ha approvato in prima lettura, con il voto di fiducia e dopo alcuni giorni di ostruzionismo parlamentare condotto dai deputati del Movimento 5 Stelle, il cosiddetto "decreto del fare" varato dal governo un mese e mezzo fa. Il provvedimento è già passato al Senato per la conversione in legge definitiva, che si prevede avverrà rapidamente e comunque prima della chiusura estiva del parlamento, che coincide con la sua scadenza, vista la maggioranza ancor più schiacciante che il governo Letta-Berlusconi delle "larghe intese" detiene a Palazzo Madama. Un'altra dimostrazione lampante che anche questo governo, come già prima di esso hanno fatto sistematicamente quello "tecnico" di Monti e quello di "centro-destra" di Berlusconi, governa solo a colpi di voti di fiducia in totale spregio dei poteri del parlamento e in pieno regime presidenzialista già in vigore di fatto.
Il decreto, che contiene un'ottantina di misure strombazzate dal governo come "misure urgenti per il rilancio economico del paese", in realtà è un provvedimento che "fa", ma per i padroni, lasciando solo le briciole per i lavoratori e le masse popolari, in quanto le già misere risorse stanziate vanno quasi tutte a finanziare le grandi infrastrutture e le imprese e concede solo qualche elemosina per finanziare l'edilizia scolastica e i ridicoli sgravi sulle bollette elettriche di neanche 10 euro all'anno; mentre taglia ulteriormente in maniera lineare le risorse alla pubblica amministrazione e anzi aumenta le accise sulla benzina per 75 milioni per coprire la marcia indietro sull'aumento delle tasse portuali per le imbarcazioni di lusso. Il resto sono tutte "semplificazioni burocratiche" a costo zero che, con la scusa di dare un impulso all'economia, mirano in realtà ad abbassare anche gravemente le norme per la sicurezza sul lavoro e per la tutela dell'ambiente.

Un decreto che "fa"... per i padroni
Come abbiamo già analizzato più ampiamente nel n. 26/2013 de Il Bolscevico, infatti, il provvedimento stanzia solo 3 miliardi da destinare, dice il governo, a grandi, medie e piccole opere "immediatamente cantierabili". Ma di questi 3 miliardi più di due sono riservati alle grandi opere, come metropolitane e autostrade, monopolio esclusivo delle grandi imprese di costruzione, come ha preteso e ottenuto il PDL di Berlusconi insieme al provvedimento elettoralista che riduce i poteri di Equitalia. Mentre ad opere di pubblica e più larga utilità, che potrebbero far lavorare migliaia di piccole imprese e aumentare davvero i posti di lavoro, vanno solo 700 milioni, contando i 300 milioni per l'ammodernamento della rete ferroviaria, i 100 milioni per una serie di microinterventi urgenti in 200 comuni sotto i 5 mila abitanti, e i 300 milioni in tre anni (tanto vantati dal PD) per l'edilizia scolastica: un'elemosina, se si pensa che la metà dei 43 mila edifici scolastici non dispone nemmeno del certificato di agibilità e che occorrerebbero almeno 3 miliardi solo per mettere a norma le scuole in aree a rischio sismico.
E anche una beffa, se si pensa poi che continuano i perversi effetti dei tagli della Gelmini, che anche quest'anno per esempio ha tagliato di 300 milioni il fondo di finanziamento ordinario all'Università. E, beffa nella beffa, un emendamento della maggioranza inserito all'ultimo tuffo proprio nel "decreto del fare", ha stornato 240 milioni dal fondo che secondo la legge Gelmini è destinato agli atenei "più efficienti", verso la Fondazione per il merito, un'istituzione a carattere privato per premiare gli studenti "più meritevoli", creata sempre dalla Gelmini e aperta a imprenditori e industriali.
C'è poi tutta la parte delle "semplificazioni" a costo zero, soprattutto in edilizia, che introducono una pericolosissima deregolamentazione dei controlli e della sicurezza sul lavoro, tra cui la gravissima abolizione dell'obbligatorietà del Duvri (Documento di valutazione dei rischi) per i cantieri dove operano più ditte e gli incidenti sono più probabili: un colpo di mano che cancella con un semplice decreto governativo, convertito poi in legge col voto di fiducia, quindi senza alcuna discussione né del parlamento né delle organizzazioni dei lavoratori, decenni di lotte sindacali per la sicurezza sul lavoro, in un paese in cui muoiono sul lavoro 3-4 persone al giorno.
Lo stesso sporco giochetto, in nome della "semplificazione" per stimolare la "ripresa economica", è stato fatto per scardinare le già deboli norme a tutela dell'ambiente, come per il trattamento delle acque sotterranee, delle terre di scavo, per il sistema dei rifiuti della Campania, e così via. E per di più, altre vere e proprie nefandezze sono state aggiunte "in corso d'opera" al decreto dalla maggioranza nelle commissioni competenti, come la scandalosa "distrazione" con cui, aggiungendo semplicemente la parolina "non", è stato abolito il tetto che era stato introdotto agli emolumenti dei grandi manager pubblici. Una "svista" non correggibile in aula per via della fiducia che ha reso intoccabile il testo.

Calpestati i poteri del parlamento
Ma se questo riguarda il merito del provvedimento, non meno scandalosi sono il metodo e i risvolti politici con cui è avvenuta la sua approvazione. La maggioranza PD-PDL-Scelta civica ha deciso di ricorrere al voto di fiducia, già il secondo dal suo insediamento, dopo che aveva preteso praticamente il ritiro di quasi tutti gli emendamenti di SEL, Lega e M5S, con l'obiettivo di riuscire a sciogliere l'ingorgo di provvedimenti presenti in parlamento prima della chiusura estiva, prevista intorno all'8-9 agosto: "Abbiamo un calendario molto complicato, sei decreti, le leggi europee, il ddl di riforma costituzionale, le leggi sui partiti e quella sull'omofobia", si era giustificato il ministro per i Rapporti col parlamento Franceschini. Ma soprattutto al governo interessava arrivare ad approvare prima delle ferie il ddl costituzionale che stravolge l'articolo 138 della Costituzione e istituisce la Commissione dei 42, per rispettare i 18 mesi che Napolitano, Letta e Berlusconi hanno stabilito per la controriforma presidenzialista, che è il vero mandato politico di questa indecente maggioranza.
Lega e SEL avevano compiacentemente accettato di ritirare i rispettivi emendamenti (e questo la dice lunga sull'"opposizione" di facciata del partito di Vendola), ma il M5S chiedeva di poter discutere in aula almeno 8 dei suoi 800 emendamenti, di cui però 4 giudicati inaccettabili dal governo, tra cui la rinuncia ad aumentare le accise sulla benzina. Rotte le trattative ad un passo dall'accordo, il governo ha deciso quindi di forzare la mano ponendo il voto di fiducia, che ha azzerato tutti gli emendamenti e gli ha permesso di ottenere dall'aula l'approvazione del testo con 427 voti a favore e 167 contrari: "È un segnale molto importante", si è vantato Letta per la facile vittoria a tavolino.
La risposta del M5S è stata la decisione di iniziare un duro ostruzionismo utilizzando tutto il tempo a disposizione per la discussione degli ordini del giorno e le dichiarazioni di voto finali sul provvedimento complessivo, con un braccio di ferro che ritardando l'approvazione del decreto rischiava di far saltare il calendario parlamentare e gli altri provvedimenti in ballo, soprattutto le "riforme costituzionali" che tanto stanno a cuore a Napolitano e alla maggioranza delle "larghe intese". La quale, terrorizzata dalla prospettiva, ricorreva anche alle sedute notturne e minacciava di utilizzare anche il sabato e la domenica, e se necessario di tenere aperto il parlamento anche d'agosto, pur di approvare il "decreto del fare" e il ddl sulle "riforme". Non disdegnando i colpi bassi, per mettere in cattiva luce l'ostruzionismo grillino, come scambiare la causa (la decisione di porre la fiducia), con l'effetto (l'ostruzionismo), uno sporco gioco a cui la stampa di regime si è prestata volentieri, spargendo la tesi governativa che il voto di fiducia del governo era motivato dall'ostruzionismo dell'"opposizione", mentre era vero esattamente il contrario.
Anche la presidente della Camera, la vendoliana Boldrini, ha assecondato lo sporco gioco della maggioranza, prima scagliandosi contro Grillo che aveva definito il parlamento "un letamaio", e poi cercando di ostacolare in tutti i modi l'ostruzionismo dei grillini, arrivando anche lei, come Grasso al Senato, fino ad impedire d'autorità che si potesse anche solo nominare il capo dello Stato, censurando uno di loro non appena ha osato chiamarlo ironicamente "re Giorgio".

Tarullucci e vino per tutti prima delle ferie
Ad ogni modo anche la "battaglia" grillina ha dimostrato di essere nient'altro che un'esibizione propagandistica, e alla fine è tornato a spuntare l'opportunismo parlamentarista che ha caratterizzato fin dall'inizio questo movimento e i suoi due padri padroni Grillo e Casaleggio, che alternano insulti sanguinosi ad altrettante esaltazioni di questa marcia istituzione, dentro la quale stanno imparando rapidamente a sguazzare come gli altri partiti borghesi più navigati e corrotti. Tant'è che dopo un paio di giorni, con la mediazione di SEL, loro che avevano subordinato la cessazione dell'ostruzionismo al rinvio a settembre della discussione sulle "riforme", hanno finito per accettare la solita soluzione di "compromesso", pensando forse anche al rischio di dover saltare le ferie: stop all'ostruzionismo e accettazione della sola discussione del ddl costituzionale in aula prima della chiusura, in cambio del rinvio del voto a settembre, così da non pregiudicare il "cronoprogramma" di 18 mesi già stabilito.
Grazie al repentino cedimento del M5S il governo ha così ottenuto tutto quello che voleva: l'approvazione del "decreto del fare" e i tempi certi per l'approvazione del ddl che spiana la strada alla controriforma presidenzialista della Costituzione. E come ciliegina sulla torta il rinvio quasi certo all'autunno, proprio con la scusa del calendario parzialmente saltato, di un paio di provvedimenti "meno urgenti", guarda caso proprio quelli invisi al neoduce e ai suoi gerarchi e gerarchesse: il disegno di legge contro l'omofobia e quello sul finanziamento illecito ai partiti.

31 luglio 2013