Per questioni procedurali, non di merito Il decreto golpista sul federalismo municipale respinto dal Quirinale Napolitano vuole un accordo bipartisan affinché il federalismo diventi una realtà indiscussa. L'"opposizione" parlamentare pronta a concedere tutto alla Lega purché abbandoni Berlusconi Tremonti: "Quella del federalismo è la più grande e storica riforma strutturale mai avviata nel Paese" Un golpe istituzionale dietro l'altro. È la strada scelta dal neoduce Berlusconi per portare a compimento nel corso dell'attuale legislatura la "grande riforma" piduista e neofascista della Costituzione democratico-borghese del '48, già ridotta a carta straccia. Giovedì 3 febbraio, con un consiglio dei ministri straordinario, il governo ha approvato per decreto, e in fretta e furia, il cosiddetto federalismo municipale bocciato qualche ora prima dall'apposita commissione bicamerale, opponendo alle norme istituzionali il mussoliniano "me ne frego". Forte dell'accondiscendenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con cui condivide fondamentalmente un'unità di intenti, per il neoduce Berlusconi governare a colpi di mano è divenuta prassi quotidiana. Era stato proprio il capo dello Stato, prima del voto in visita a Bergamo, la città dei Mille, a considerare prioritaria l'approvazione del federalismo giudicato "una nuova forma di unità". Abbandonandosi al revisionismo storico, dalla città da cui prese le mosse l'impresa garibaldina, il capo dello Stato ha avuto la faccia tosta di costruire un legame tra il processo unitario risorgimentale e l'attuale deriva secessionista portata avanti con l'approvazione dei decreti attuativi sul federalismo fiscale. Una deriva vitale certo non per le masse popolari, semmai per la competitività globale sia dell'Europa imperialista sia dei monopoli nazionali e dei grandi e medi capitalisti del Nord in virtù della creazione di un mercato unico interno. Per questo motivo, pur di centrare quanto prima la "riforma" federalista dell'Italia, da Bergamo, il nuovo Vittorio Emanuele III giungeva a sollecitare maggioranza e "opposizione" a collaborare in un "clima di corretto confronto in sede istituzionale" invitando la seconda a evitare "contrapposizioni, arroccamenti e prove di forza, da cui può soltanto uscire ostacolato qualsiasi processo di riforma". Stangata epocale per le masse Al di là degli appelli opportunistici del capo dello Stato, l'indomani le manovre di Palazzo non cessavano. In Parlamento si continuava a respirare l'aria del 25 luglio. Contro i voleri del nuovo Vittorio Emanuele III, le prove di forza tra le diverse cosche parlamentari risultavano all'ordine del giorno e infatti il 3 febbraio una si svolgeva proprio sul tema del federalismo. Con 15 voti a testa per maggioranza (PDL, Lega, SVP) e "opposizione" (PD, IDV, Terzo polo), la commissione bicamerale respingeva il federalismo dei comuni voluto dalla Lega Nord. Una "riforma" che, sebbene riscritta fino all'ultimo dal duo Tremonti-Calderoli per pescare consensi tra le "opposizioni" e i neopodestà, portava in dote una stangata epocale con l'introduzione di nuove imposte (tassa di soggiorno e tassa di scopo), un inasprimento di quelle vecchie (vedi l'aumento delle addizionali Irpef, persino retroattivo), misure da un punto di vista sociale vergognosamente inique (vedi la cedolare secca sugli affitti che come dimostra Sunia-Cgil colpisce lavoratori e pensionati e favorisce i ricchi), l'introduzione dell'Imu (Imposta municipale unica) in sostituzione dell'Ici, più onerosa di quest'ultima e che come per l'Ici ne sono esclusi dal pagamento gli enti di culto (con grande vantaggio soprattutto della Chiesa cattolica a danno delle finanze dello Stato) e gli enti "no profit" (la galassia del terzo settore e del privato sociale a cui il regime neofascista sta delegando parti crescenti del welfare). Neanche una parola ovviamente sul fondo di perequazione, continuamente propagandato dal regime neofascista come misura di "coesione nazionale" e di solidarietà tra regioni ricche e povere. Manovre di Palazzo ancora fallimentari Nonostante la bocciatura del parlamento, il governo del neoduce Berlusconi non si faceva scrupolo di approvare in serata il federalismo municipale con un consiglio dei ministri straordinario. Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti ha presenziato il 4 febbraio insieme al ministro leghista Calderoli alla cerimonia di consacrazione del nuovo golpe del governo. L'introduzione del federalismo fiscale comunale, a suo dire "è la più grande e storica riforma strutturale mai avviata in questo Paese. La scelta del decreto è stata fatta per rispettare i termini che sarebbero scaduti". Mentre il ministro leghista Calderoli sottolineava: "Sotto gli aspetti dei contenuti il presidente (Napolitano, ndr) rappresenta un grosso sostenitore di questi cambiamenti e gliene sono grato", aggiungendo che secondo lui non ci sarebbe per il decreto "la necessità del passaggio in parlamento". "Finalmente i comuni avranno le risorse senza andarle a chiedere col cappello in mano. I soldi resteranno sul territorio dove sono stati prodotti", esultava Umberto Bossi per il quale le tanto minacciate elezioni terminavano improvvisamente di essere all'ordine del giorno dato che poche ore prima, con 315 voti, la Camera golpista bocciava le richieste dei pubblici ministeri che indagano sullo scandalo Ruby. Veniva così confermata la solidità, seppure risicata, della maggioranza che sostiene il governo Berlusconi, mostrando al leader della Lega Nord secessionista, razzista e xenofoba che essa ha i numeri per portare a compimento entro l'estate anche i restanti decreti attuativi del federalismo fiscale. Seguivano gli strali delle "opposizioni", convinte con la bocciatura in Bicamerale di avere messo a segno un punto a loro favore negli equilibri parlamentari e invece si ritrovavano sospinte di nuovo nell'angolo dal neoduce Berlusconi. Pierluigi Bersani (PD) parlava di "schiaffo al Parlamento", Gianfranco Fini (FLI) di "situazione senza precedenti", Leoluca Orlando (IDV) di "esproprio eversivo contro il parere del Parlamento", l'UDC di "atto volgare e violento". In realtà non sono riusciti a dimostrare a Bossi, sul tema che è la ragione d'essere del suo partito secessionista, che la maggioranza che sostiene il governo Berlusconi non esiste più, facendo risultare persino patetici i continui inviti di Bersani rivolti nottetempo a Bossi di "abbandonare Berlusconi" e di "fare il federalismo insieme a noi". Tant'è che lo stesso PD, con Walter Vitali, dopo la bocciatura del provvedimento invitava ora a "discutere del federalismo regionale e più avanti si riprenda quello municipale", i cui contenuti avevano del resto già ottenuto il via libera del presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino (PD), che giudicava il testo "migliorabile ma efficace". Nel merito del provvedimento, il 4 febbraio, non ci entrava il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che per mere questioni formali reputava il decreto "irricevibile" e insisteva con il governo "sulla necessità di un pieno coinvolgimento del Parlamento, delle Regioni e degli Enti locali nell'attuazione del federalismo fiscale". Un appello che non ha fatto né caldo né freddo al neoduce Berlusconi che l'ha derubricato a semplice "fatto procedurale". Lo stesso Bossi testimoniava di una telefonata cordiale con il Quirinale. Chiudeva la questione Calderoli dichiarando di poter esaurire la partita del federalismo municipale in un paio di settimane seguendo "scrupolosamente" le indicazioni del presidente della Repubblica: in primo luogo il consiglio dei ministri approverà la trasmissione del testo (quello emendato e votato in bicamerale) al Parlamento e, in seguito, entro una decina di giorni Calderoli farà una relazione a Camera e Senato. Se i gruppi lo chiederanno si passerà al voto del decreto, con Calderoli pronto a porre la fiducia. Se approvato, anche con qualche modifica, il governo lo rimanderà al Colle per la firma, che in questo caso non potrà che essere apposta. Tanto rumore per nulla. Anzi, il Carroccio cominciava da subito a premere sui presidenti delle Camere, Schifani e Fini, che si dichiaravano entrambi pronti, in caso di richiesta formale dei gruppi parlamentari, a riconsiderare la composizione della commissione bicamerale per riportare l'asse governativo in vantaggio assegnando il seggio di Mario Baldassari (ex PDL uscito dalla maggioranza con FLI) a un deputato dei cosiddetti Responsabili, gruppo nato nelle ultime settimane per sostenere il neoduce Berlusconi. Sopravvissuto all'ennesima manovra di Palazzo, serrata la maggioranza sul caso Rubygate e rafforzata l'alleanza con la Lega Nord, il neoduce Berlusconi il 4 febbraio cominciava già a disegnare il futuro del governo valutando un rimpasto di sottosegretari e viceministri, con un'infornata di parlamentari che si uniscono con lui di volta in volta salvando il governo. Tutto ciò dimostra che, come noi marxisti-leninisti non ci stanchiamo di ripetere, per liberarsi una volta per tutte del nuovo Mussolini non si deve fare affidamento sulle manovre di Palazzo di una "opposizione" imbelle e inconcludente in quanto parte integrante del regime neofascista. Noi marxisti-leninisti rinnoviamo l'invito a tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose antifasciste a un nuovo 25 Aprile per liberarci dal nuovo Mussolini. 9 febbraio 2011 |