Nella logica liberista e capitalista "meno Stato e più mercato"
Il decreto sviluppo favorisce soltanto le imprese
Tre fondi per privatizzare il patrimonio pubblico e le partecipazioni statali

Il 15 giugno il Consiglio dei ministri ha approvato due decreti legge, rubricati sotto la voce "misure urgenti per la crescita", che secondo il governo dovrebbero avviare in concreto la famosa "fase due", cioè quella della ripresa economica dopo la stagione del "rigore", promessa dal tecnocrate liberista Monti fin dal giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi. In realtà si tratta solo della continuazione della sua politica di lacrime e sangue e di massacro sociale, perché quella che ha in mente e a cui puntano tali misure è una ripresa capitalista, fondata sul principio liberista "meno Stato e più mercato", e che si propone quindi di far uscire il sistema capitalistico italiano dalla bancarotta tagliando spietatamente la spesa pubblica e svendendo il patrimonio dello Stato e degli Enti locali per finanziare le imprese e saziare gli appetiti della finanza nazionale e internazionale.
Si tratta infatti di due decreti legge, il cosiddetto decreto sviluppo e quello sulle dismissioni del patrimonio pubblico, che sono strettamente legati tra loro, in quanto se il primo è volto nelle intenzioni a stimolare la crescita economica, essenzialmente attraverso sgravi fiscali alle imprese e la promozione di grandi opere, il secondo punta a fare cassa svendendo proprietà e partecipazioni pubbliche, sia per ridurre il debito dello Stato che per reperire le risorse necessarie a finanziare tale crescita. Nello stesso quadro vanno considerati anche i tagli per ben 6 miliardi nella spesa pubblica che il governo sta per approvare a giorni sulla base della cosiddetta Spending review preparata dal commissario Bondi.

Il decreto sviluppo
Secondo il ministro dell'Economia, Passera, il decreto dovrebbe "mettere in movimento" risorse per 70-80 miliardi, di cui 40-45 provenienti dalla creazione di project bond e dalle misure a favore delle pmi (piccole e medie imprese), mentre altri 30-35 arriveranno tramite misure di vario tipo. A fronte di ciò il provvedimento stanzia in realtà solo 250 milioni di risorse (600 a regime). Ciononostante "è un provvedimento organico e robusto", si è vantato Monti in conferenza stampa, aggiungendo compiaciuto che esso garantirà al Paese "sia la crescita che la riduzione della dimensione e del peso dello Stato".
Gli incentivi allo sviluppo riguardano un bonus unico di detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie e la riqualificazione energetica delle costruzioni (ma solo fino al 30 giugno 2013), un credito di imposta alle imprese che assumeranno per almeno tre anni laureati "con lode" in materie scientifiche e in possesso di dottorato (50 milioni l'anno per 4.000 posti), e finanziamenti agevolati per un totale di 470 milioni dal Fondo Kyoto ad aziende che operano nei settori dei biocarburanti, energia solare, protezione del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico e sismico e che assumono giovani a tempo indeterminato.
Oltre 2 miliardi, secondo Passera, saranno recuperati dall'abolizione di 43 vecchie leggi di incentivazione, per andare ad alimentare un fondo rotativo "per la crescita sostenibile". Tra queste anche leggi come la 488 del 1992 sul Sud e le aree depresse, molto usata finora, per cui si toglie al Meridione anche quel poco di sussidio su cui poteva contare da parte dello Stato. Inoltre saranno varati project bond per 45 miliardi per finanziare le infrastrutture, tra cui l'annunciato completamento della Salerno-Reggio Calabria entro il 2013. Essi godranno di un regime fiscale agevolato, con ritenuta equiparata ai titoli di Stato (12,5%) e imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa. Ci sarà anche la possibilità per i Comuni di utilizzare i crediti d'imposta per realizzare infrastrutture e servizi pubblici.
Vi sono poi altri incentivi alle imprese non direttamente di natura economica, come la semplificazione delle procedure per la costituzione di Srl, estendendo a tutti le agevolazioni già previste per i soggetti sotto i 35 anni di età, la possibilità per le aziende soggette all'obbligo di dichiarare fallimento di poter chiedere il concordato preventivo e continuare ad operare, rimborsi più veloci dai processi civili troppo lunghi, ecc.
Ma tra questi ve ne sono anche alcuni che sembrano fatti apposta per "semplificare" gli obblighi delle imprese aggirando le norme a tutela dell'ambiente, come la sospensione per un anno, l'ennesima, del Sistri (l'obbligo di tracciabilità dei rifiuti), con la sospensione anche dei relativi contributi a carico delle aziende. E come la fissazione a 12 miglia dalle coste del limite di trivellazione per la ricerca di idrocarburi, che in apparenza può sembrare un miglioramento rispetto alle 5 miglia a cui era stato ridotto dalla Prestigiacomo, ma che in realtà concede la deroga a tutti i contratti già in essere.

I tagli alla spesa pubblica
"Come anticipo e segnale ai nostri colleghi di governo", Monti e Passera hanno annunciato un taglio immediato del 20% dei dirigenti e del 10 % dei dipendenti dei loro due dicasteri. Il viceministro all'Economia, Grilli, ha annunciato inoltre un accorpamento dei Monopoli di Stato e dell'Agenzia del territorio con le Dogane e l'Agenzia delle entrate, con conseguente dimagrimento del personale. Ma questo è appunto solo un assaggio, un po' di demagogia per preparare ben altri tagli alla spesa pubblica, a cominciare da sanità, scuola, trasporti, servizi sociali e così via: "Dovete aspettarvi cose simili anche nelle prossime settimane", ha annunciato infatti Monti ai giornalisti. E non a caso le cronache riportano di "vivaci discussioni", prima della riunione di Consiglio, tra Passera e i titolari di altri dicasteri nel mirino dei tagli, tra cui Balduzzi (Salute) e Profumo (Istruzione); scontri che hanno richiesto la mediazione di Monti e costretto ad inserire nel testo del documento finale la dicitura "salvo intese".
Si sa infatti che il governo sta per approvare un altro decreto da 6 miliardi di tagli alla spesa pubblica per beni e servizi, selezionati con la spending review di Bondi, di cui circa 2 a carico della spesa sanitaria. Ma anche la scuola e i trasporti pubblici dovranno fare la loro parte per una quota non ancora determinata, dopo aver già subìto i catastrofici tagli del precedente governo. Sono anche emerse indiscrezioni su un piano del governo per legare il pagamento dei ticket ai redditi, suddivisi in 6 fasce a partire da 6 mila euro. Balduzzi ha attribuito tale piano al governo Berlusconi, ma ha confermato comunque che si sta lavorando ad una partecipazione "equa", di "importo modesto e correlata al reddito familiare".
Si sa inoltre che ci sarà un intervento pesante anche sui dipendenti pubblici. Accantonata l'ipotesi di un blocco delle tredicesime, si penserebbe a una riduzione dei buoni pasto, accompagnata da riduzione delle consulenze e da un altro giro di vite sui contratti di precariato. Si pensa anche a un taglio lineare del 5% degli organici (Giarda), che piomberebbe come l'ennesima mazzata su piante organiche ormai già dissanguate dai ripetuti blocchi del turn-over. Per gli statali si pensa poi di rispolverare la legge Brunetta, che prevede due anni di mobilità all'80% dello stipendio (base, senza trattamenti accessori, equivalente di fatto al 50-60%), per poi essere ricollocati in altri comparti, se c'è posto, altrimenti scatta il licenziamento. Con il rischio di creare un altro bacino di qualche centinaio di migliaia di over 60 "esodati" (240 mila, secondo le stime dei sindacati).

Le dismissioni, ovvero la svendita del patrimonio pubblico
Le aveva annunciate con grande enfasi lo stesso Monti il giorno prima da Berlino: "Stiamo preparando un grande piano di dismissioni del patrimonio pubblico. Immobili e partecipazioni". E infatti il decreto dismissioni che accompagna il decreto sviluppo prevede la svendita ai privati sia del patrimonio immobiliare dello Stato e degli Enti locali (regioni, province e comuni), sia delle partecipazioni statali e comunali in aziende nazionali e municipalizzate.
Per fare subito cassa il governo cede alla Cassa depositi e prestiti (Cdp) le sue partecipazioni in Sace, Simest e Fintecna (che gestisce un cospicuo pacchetto immobiliare), da cui prevede di incassare circa 10 miliardi, di cui il 60% subito. Il ricavato andrà in parte al ripianamento del debito dello Stato e in parte a pagare i crediti vantati delle aziende. La Cdp è una società finanziaria, nata come società pubblica per gestire il risparmio postale e recentemente trasformata in Spa (presidente il privatizzatore e federalista di area PD, Franco Bassanini) e a cui partecipano per il 70% il ministero dell'Economia e per il 30% le fondazioni di quasi tutte le più importanti banche italiane. Essa ha partecipazioni azionarie in società quotate come Eni, Terna, Snam, e in una miriade di società non quotate in Borsa.
Forte di una raccolta postale di 220 miliardi, la Cdp è a tutti gli effetti una società privata, con il compito fra l'altro di erogare i finanziamenti a interessi di mercato agli Enti locali per l'erogazione dei servizi e le infrastrutture. Lo strumento ideale, perciò, per fare da intermediaria tra i venditori (lo Stato e le amministrazioni locali) e i compratori (i privati). Grilli ha escluso la vendita anche di quote Eni, Enel e Finmeccanica, ma chi può escluderlo anche per il prossimo futuro? É evidente che intanto la via è stata aperta per la cessione di altri pezzi pregiati del patrimonio mobiliare partecipato dallo Stato.
Lo stesso vale anche per il patrimonio immobiliare pubblico, una torta valutata in 570 miliardi. Il decreto ne avvia la svendita cominciando con un primo pacchetto, per ora non ingentissimo (si parla di altri 10 miliardi), ma di sicuro destinato ad aumentare se questo primo esperimento avrà successo. Allo scopo sono stati costituiti tre fondi speciali, due sempre presso la Cdp e uno presso l'Agenzia del Demanio. Quest'ultimo, gestito da una Sgr (Società di gestione del risparmio), avrà una dotazione di 1,5 miliardi che serviranno ad acquisire e "valorizzare" (cioè cambiare di destinazione d'uso e ristrutturare) circa 350 immobili del federalismo demaniale prima di immetterli sul mercato. A questo scopo la Sgr "affiderà la gestione di portafogli a operatori privati".

Beffata la volontà popolare espressa coi referendum del 2011
Dei due fondi affidati alla Cdp, ciascuno con una dotazione iniziale di 1 miliardo, uno avrà il compito di acquistare, "valorizzare" e quindi vendere altri immobili degli Enti locali non assegnati al federalismo demaniale. E l'altro avrà il compito di acquisire quote di minoranza, ma con potere di governance, nelle utility, ossia nelle municipalizzate per i servizi pubblici locali: acqua, gas, elettricità, trasporti, rifiuti ecc. L'acquisizione, rivolta solo alle aziende "in equilibrio economico-finanziario", è
aperta anche ad altri investitori privati, che potranno acquisire quote fino al 49%, ed è finalizzata all'immissione di tali società sul mercato. Tutto ciò in barba alla volontà popolare espressa col referendum di un anno fa sulla ripubblicizzazione dell'acqua e in difesa dei beni comuni.
È grave, a questo proposito, che l'Associazione dei Comuni (Anci), tramite il suo presidente Graziano Del Rio, sindaco PD di Reggio Emilia, abbia espresso "soddisfazione per la rapida approvazione del decreto sulle dismissioni immobiliari", cosa che è stata non a caso sottolineata dal massacratore Monti per vantare il consenso delle amministrazioni locali ai decreti governativi. Si sfrutta scientemente la cronica mancanza di fondi dei Comuni, causata peraltro dai tagli ai trasferimenti da parte dello stesso governo, per svendere e privatizzare il patrimonio immobiliare e i servizi di pubblica utilità dei Comuni. Né deve trarre in inganno il fatto che la Cdp sia una società a capitale prevalentemente pubblico: come ha notato l'editorialista economico del Corriere della Sera, Massimo Mucchetti, basterà infatti un aumento di capitale aperto a investitori privati, anche stranieri, per privatizzare di fatto gli immobili e le partecipazioni ex pubbliche acquisite dalla società stessa.
 
27 giugno 2012