Lo denuncia Grasso, capo della procura nazionale antimafia Il boss Provenzano protetto da esponenti politici e polizia Bernardo Provenzano, l'imprendibile boss mafioso latitante da più di 40 anni, continua a sfuggire alla cattura perché protetto dal potere politico e dalla polizia. L'ex procuratore di Palermo Pietro Grasso, capo della procura nazionale antimafia, ne è convinto e lo ha dichiarato in un'intervista per il programma di Rai1, "Tv7" dell'ottobre scorso: "Chi copre la latitanza del capo di Cosa Nostra? La coprono - denuncia infatti il nuovo procuratore antimafia - politici, imprenditori, forze di polizia. Dall'indagine sulla sua ricerca sono emerse tutte queste categorie, quindi non è soltanto una copertura da parte di un'organizzazione criminale, ma è una copertura che viene da intere fasce sociali". Nell'intervista Grasso fa anche alcuni esempi per spiegare chi e in che modo fornisce coperture e protezioni alla latitanza del boss di Corleone. "Abbiamo scoperto che un imprenditore riceveva da un sottufficiale della forza di polizia delle informazioni sulle nostre indagini - racconta il procuratore. L'imprenditore era collegato a Cosa Nostra e quindi le indagini nostre venivano conosciute direttamente da Provenzano. Non abbiamo ancora catturato il latitante Provenzano che da tanti anni, appunto, è tale, però diciamo che i successi ottenuti nella ricerca del latitante Provenzano sono assolutamente indiscutibili. Abbiamo arrestato ben 450 suoi favoreggiatori o associati a Cosa Nostra. Sono stati sequestrati centinaia di milioni di euro di beni, sono state scoperte tante persone che facevano da prestanome o intestavano fittiziamente per conto di Povenzano beni di ingente valore. Quindi diciamo che l'organizzazione paga certamente per questa latitanza". A proposito di professionisti coinvolti Grasso cita il salotto del medico Gottadauro, dove la mafia decideva le assegnazioni di posti di primario, in una situazione della sanità pubblica siciliana non a caso finita sotto i riflettori della cronaca nera per i casi di malfunzionamento. Quanto al coinvolgimento dei politici, il procuratore parla del caso dell'ex presidente del Consiglio comunale di Villabate, Francesco Campanella, oggi "collaboratore di giustizia", che forniva i timbri per i falsi documenti con cui Provenzano ha potuto andare in Francia a farsi operare: "Certamente questo dà l'esatta misura di come Cosa Nostra riesca a infiltrarsi nelle istituzioni, addirittura ma non solo locali ma anche nazionali", dice Grasso. Spiegando anche che uomini come Campanella costituiscono l'interfaccia tra la mafia e altre categorie sociali, in quanto egli "ha dei rapporti con la politica, ha una finanziaria, ha dei contatti a Roma con vari Ministeri, insomma è quello che dà veramente la forza dell'organizzazione, la capacità di infiltrarsi e di avere questi collegamenti con l'esterno". Le dichiarazioni di Grasso hanno avuto un effetto dirompente negli ambienti politici. L'avvocato Carlo Taormina, vicepresidente dei deputati di Forza Italia, ha sfidato Grasso a fare nomi e cognomi dei politici fiancheggiatori di Provenzano; il deputato di AN Enzo Fragalà si è detto "stupito" che tra le categorie indicate dal procuratore non compaiano anche "gli appartenenti alla sua corporazione"; il presidente della Commissione antimafia, Centaro, e quello del Copaco, Bianco, hanno annunciato di voler convocare al più presto il procuratore per avere "chiarimenti". Grasso ha replicato che nelle sue dichiarazioni non c'è niente di nuovo, perché "tutti coloro che hanno direttamente o indirettamente aiutato Cosa Nostra e in tal modo favorito la latitanza del suo capo sono noti perché indagati, arrestati, rinviati a giudizio e alcuni già condannati". Tra questi Grasso ricorda alcuni professionisti, tra cui l'imprenditore della sanità Michele Aiello, amico del presidente regionale Totò Cuffaro e esponenti delle "forze dell'ordine", come il maresciallo della Dia Giuseppe Ciuro e il maresciallo dei carabinieri del Ros, Giorgio Riolo, sotto processo per l'inchiesta sulle "talpe" alla procura di Palermo. Del resto, anche se il procuratore antimafia non ne ha fatto cenno, è ancora in corso il processo in cui sono coinvolti l'ex capo del Ros dei carabinieri Mario Mori e il colonnello De Caprio, accusati di favoreggiamento a Cosa nostra per aver ritardato la perquisizione della villa in cui si nascondeva Riina; perquisizione effettuata solo 19 giorni dopo la cattura del boss corleonese per dar tempo ai suoi uomini di far sparire documenti compromettenti sui rapporti tra forze dell'ordine e mafia, con la mediazione dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Secondo il "pentito" Antonino Giuffrè, che ha fatto la rivelazione al suddetto processo il giorno dopo l'esplosiva intervista di Grasso, Bernardo Provenzano sarebbe addirittura un confidente dei carabinieri, e non sarebbe estraneo alla cattura dello stesso Riina. In conclusione le dichiarazioni di Grasso rappresentano un'autorevole conferma di quel che andiamo dicendo da sempre: la mafia non è un corpo "estraneo" alla società borghese, come la classe dominante vuol far credere, ma può esistere e prosperare proprio perché è profondamente compenetrata con il sistema economico capitalistico e con le sue istituzioni a tutti i livelli: dal più basso e locale fino al più alto e nazionale dei ministeri di governo e dei comandi delle stesse "forze dell'ordine" che dovrebbero combatterla. 1 febbraio 2006 |