Destra e "sinistra" del regime neofascista unite contro la violenza delle masse studentesche L'obiettivo è quello di depotenziare la carica anticapitalista e antistituzionale del movimento studentesco e contenerlo nella legalità borghese e nella Costituzione. All'opposto i marxisti-leninisti devono soffiare sul fuoco e non mettere alcun limite alle forme di lotta di massa L'assedio e l'assalto al parlamento da parte di oltre centomila manifestanti il 14 dicembre per chiedere le dimissioni di Berlusconi, con l'aspra battaglia che si è svolta per le vie e le piazze del centro di Roma, hanno fortemente allarmato la classe dominante borghese, che ha intravisto in questa incontenibile esplosione di rabbia giovanile lo spettro del Sessantotto. A far paura è stato soprattutto il salto di qualità che tale fatto storico ha rappresentato per il movimento studentesco, con l'uso della violenza di massa per rispondere all'arroganza e alla violenza di un regime che nega il futuro ai giovani e anziché ascoltarli gli scatena contro la repressione poliziesca. Ed ecco che immediatamente la destra e la "sinistra" del regime neofascista sono entrate in azione per soffocare sul nascere il focolaio che poteva trasformarsi in un incendio incontrollabile, soprattutto in vista dell'annunciata mobilitazione studentesca del 22 dicembre in coincidenza dell'approvazione definitiva dell'infame legge Gelmini al Senato. La destra lo ha fatto con l'armamentario che gli è più congeniale, come quello delle minacce di una repressione poliziesca ancor più massiccia e violenta annunciata dal gerarca nazi-leghista agli Interni, Maroni; e quello dell'invocazione di arresti preventivi e dell'intimidazione delle famiglie degli studenti parlando della presenza di "assassini" tra i manifestanti, come ha fatto l'ex mazziere fascista Gasparri. La "sinistra" borghese lo ha fatto con mezzi più subdoli, cercando di disinnescare la violenza rivoluzionaria montante tra gli studenti, i precari e i ricercatori e di riportare il movimento di lotta nell'alveo del pacifismo, del legalitarismo e del rispetto delle istituzioni. E ha finito per condizionare gli studenti, soprattutto a Roma dove maggiori erano i timori di nuovi scontri, e dove le correnti studentesche più legate o più influenzate dalla "sinistra" borghese hanno prevalso sui gruppi meno istituzionalizzati e più antagonisti al sistema e si sono fatte convincere a dirottare le manifestazioni in aree periferiche lontano dalla "zona rossa" e ad adottare forme di protesta pacifiche e "fantasiose", ma anche innocue e ininfluenti: come le mani alzate e dipinte di bianco in segno di pace (ma anche di resa), i mazzi di fiori offerti alle "forze dell'ordine" e così via, che tanto sono piaciute ai mass-media di regime, che non per nulla le hanno unanimemente esaltate contrapponendole agli scontri di piazza di una settimana prima. Intanto al Senato nero, rimasto secondo gli organizzatori sprezzantemente "isolato" dalle manifestazioni che si svolgevano altrove, si consumava impunemente la farsa dell'approvazione della Gelmini, tra forzature di regolamenti e becere gazzarre della maggioranza e il balbettio dell'imbelle PD, che anche stavolta rinunciava all'ostruzionismo limitandosi all'inutile presentazione di emendamenti già bocciati in partenza. E la gerarca della distruzione della scuola pubblica poteva sfacciatamente annunciare che con l'approvazione della sua legge era finalmente "archiviato il '68". Anche il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, supplendo alla chiusura proterva e fascista di Berlusconi e dei suoi gerarchi alle rivendicazioni del movimento degli studenti, ha fatto la sua parte per disinnescare la rabbia e riavvicinare i giovani alle istituzioni, mostrando la loro facciata "dialogante" con l'invito al Quirinale di una delegazione di studenti e "ascoltando" le loro ragioni e il loro appello a non firmare la legge Gelmini. Salvo poi, passata la bufera, firmare l'infame provvedimento e credere di salvarsi la faccia accompagnandolo con una letterina di "osservazioni" in cui raccomanda che "su tutti gli impegni assunti con l'accoglimento degli ordini del giorno e sugli sviluppi della complessa fase attuativa del provvedimento, il governo ricerchi un costruttivo confronto con tutte le parti interessate". Letterina seguita poi da un altrettanto ipocrita richiamo ad "ascoltare il disagio giovanile" nel messaggio di fine anno al Paese, ma diretto soprattutto a rivolgere a tutti i giovani "la più netta messa in guardia contro ogni cedimento alla tentazione fuorviante e perdente del ricorso alla violenza". Il ruolo da pompiere della "sinistra" borghese Sia la destra che la "sinistra" borghese hanno fatto di tutto per prevenire un nuovo scoppio di violenza rivoluzionaria il 22 dicembre, ma più che la faccia feroce e le minacce della prima hanno contato gli appelli, i ricatti morali e le azioni di vero e proprio pompieraggio della seconda, esercitati sul movimento studentesco per giorni e giorni con ritmo martellante sui suoi organi di stampa ufficiali e ufficiosi. A cominciare da "La Repubblica", che a missione compiuta ha di nuovo pubblicato un intervento di Roberto Saviano in cui, per nulla frenato dalla valanga di critiche ricevute dopo la "lettera ai ragazzi del movimento", e anzi dicendosi "felice di averci visto giusto" nel precedente intervento, lo scrittore si complimenta per l'andamento pacifico e innocuo della manifestazione romana, ribadisce che la violenza è invece "un enorme regalo da fare al governo" e ne conclude che "il movimento è riuscito a trovare gli anticorpi al suo stesso interno; gli anticorpi alla violenza". C'è poi la direttrice de "L'Unità", Concita De Gregorio, che con un editoriale titolato "Grazie, figli", scioglie un inno ai giovani dalle "mani bianche" che, ben lontani per fortuna dalla "zona rossa", hanno dato una "lezione memorabile" ai loro genitori che avevano paura sconfiggendo "con l'unica arma possibile, l'intelligenza e l'ironia (sic), la minaccia grande e reale di chi ha cercato e ancora cercherà di farvi passare per estremisti", ecc. ecc. E conclude in pieno clima pre-natalizio spacciando nell'invito di Napolitano al Quirinale la favola di un'improbabile "alleanza tra nonni e nipoti che salverà l'Italia". C'è il quotidiano della Federazione della sinistra (trotzkista), "Liberazione", che il 21 dicembre, con un articolo di Annamaria Rivera mette in guardia dalla "trappola" che il governo tende ai giovani spingendoli alla spirale repressione-rivolta-repressione per utilizzarla a suo vantaggio, che poi è la stessa tesi di Saviano non condivisa dalla maggioranza del movimento studentesco. Articolo seguito da un intervento di Gianni Ferrara che addirittura esordisce lapidariamente col dichiarare che "il ripudio della violenza è e deve essere assoluto". Per poi, con un salto indietro di almeno due secoli, al pre-marxismo o addirittura all'illuminismo, sviluppare lo sbalorditivo concetto che "la violenza è storicamente l'arma del potere", mentre quella degli oppressi e degli sfruttati è altra, e "si chiama ragione". Ma a superare tutti è stato il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero che ha bollato sprezzantemente gli studenti come dei pagliacci che hanno dato vita a un "carnevale della rivolta". Nell'intervista apparsa su Liberazione il 24 dicembre ha dichiarato: "Occorre evitare due errori. Il primo è mettere al centro dell'azione del movimento la sola rivolta. Ci riporta diritti all'ottocento. Lo stato si chiude nella zona rossa e a te non resta che dar l'assalto al municipio. Per cambiare lo stato delle cose non basta il carnevale della rivolta". Perfino "Il Fatto Quotidiano" si è unito al coro dei pompieri con tutta una serie di iniziative e di interventi per contenere e depotenziare la rabbia studentesca, in particolare uscendo nell'edizione del 22 con la Costituzione come copertina del giornale, preceduta da un editoriale di Marco Travaglio dall'eloquente titolo "Armati sì, ma di Costituzione", e seguita da un editoriale del direttore Padellaro che definisce la Costituzione "unica arma" per gli studenti e che si appella al rinnegato Napolitano, "l'unica istituzione che abbia ascoltato gli studenti", affinché se ne faccia "garante" e "la faccia rispettare". Come nel '68 il PCI, accorgendosi improvvisamente di essere stato scavalcato dal movimento con le sue burocratiche e anacronistiche organizzazioni studentesca (UGI) e giovanile (FGCI), fece di tutto per rientrarvi e mettergli a poco a poco le briglie, analogamente il PD, rimasto completamente sorpreso e spiazzato dal salto di qualità del movimento verso l'uso della lotta di massa nelle piazze, sta cercando di riprenderne il controllo per riportarlo nell'alveo della legalità, delle istituzioni del regime neofascista. Come se il loro rispetto avesse potuto impedire o anche solo ritardare l'approvazione di una legge tanto reazionaria e odiata come la Gelmini. Al contrario: l'esperienza ha dimostrato in maniera lampante che del disagio, della disperazione e della rabbia dei giovani senza futuro si è cominciato a parlare solo a partire dagli scontri di piazza del 14 dicembre, mentre fino ad allora questi problemi non erano neanche presi in considerazione dai politicanti e dai mass-media del regime neofascista, nonostante mesi e mesi di mobilitazioni e di lotte più o meno legali. Segno che la violenza delle masse è l'unico argomento veramente capace di sturare loro le orecchie. Soffiare sul fuoco della lotta di classe Ma non in tutti i casi le manovre di pompieraggio sono andate a segno come a Roma. A Milano, a Genova, e soprattutto a Palermo, dove le masse studentesche hanno tentato di assaltare il palazzo della Regione e perfino la questura, la violenza rivoluzionaria ha rotto in più punti gli argini di ferro e ha evitato le pallottole inzuccherate sparate insieme dalla destra e dalla "sinistra" del regime neofascista. Segno che nel movimento c'è una battaglia tra due concezioni della lotta di massa, una che rifiuta la violenza sempre e comunque, secondo le esortazioni della "sinistra" borghese e dei vari Saviano di turno, e quella che invece considera anche la violenza di massa tra le forme di lotta utili per difendere i propri diritti e interessi contro il governo del nuovo Mussolini, il regime neofascista e il capitalismo che affamano il popolo, distruggono la scuola pubblica e negano il diritto allo studio e il lavoro ai giovani. Noi marxisti-leninisti, al contrario della "sinistra" borghese e dei trotzkisti, dobbiamo appoggiare risolutamente questa seconda concezione e soffiare sul fuoco per farla crescere e affermarsi nel movimento studentesco, affinché non sia messo alcun limite alle forme di lotta di massa, e che la carica anticapitalista e antistituzionale degli studenti possa svilupparsi liberamente con tutta la sua forza. Il solo limite da porre alle forme di lotta è quello che devono sempre essere di massa, e non azioni di piccolo gruppo avventuriste, anarcoidi e vandalistiche, contro le quali occorre invece vigilare e opporsi perché screditano e danneggiano le lotte stesse. Solo così sarà possibile dare vita a un nuovo 25 Aprile, indispensabile per buttare giù con la lotta di piazza il nuovo Mussolini che ha rimesso la camicia nera all'Italia facendo anche piazza pulita di tutte le sue leggi antioperaie, liberiste, fasciste e razziste. Intanto, come hanno chiesto con forza anche gli studenti e i metalmeccanici della Fiom alla Camusso, che cosa occorre ancora perché la CGIL proclami senza ulteriore indugio lo sciopero generale nazionale di 8 ore con manifestazione a Roma? 5 gennaio 2011 |