Sotto la regia del neoduce Berlusconi
(Biografia di Draghi) Destra e "sinistra" del regime esultano per la nomina del grande privatizzatore Draghi a governatore di Bankitalia Un coro "bipartisan" di lodi e complimenti ha salutato il 29 dicembre la nomina di Mario Draghi a nono governatore della Banca d'Italia, in sostituzione del dimissionario Antonio Fazio, costretto ad uscire di scena a causa del suo pesante coinvolgimento nello scandalo Bancopoli. La nomina dell'ex direttore generale del Tesoro e attuale vicepresidente della banca d'affari internazionale Goldman Sachs alla prestigiosa poltrona di Palazzo Koch è avvenuta a tambur battente, secondo le nuove regole appena varate dal parlamento con la legge sul risparmio. In base ad esse la nomina è prerogativa di fatto del governo, previa consultazione del Consiglio superiore di Bankitalia, anche se a sancirla ufficialmente è la firma del capo dello Stato. E così è avvenuto. Prima però il neoduce Berlusconi si era assicurato il consenso dell'"opposizione", ottenendo il via libera di Prodi dopo un colloquio telefonico avvenuto pare il 26 dicembre. Nessun problema da parte del leader dell'Unione sul nome di Draghi, da lui ben conosciuto e apprezzato dai tempi della comune frequentazione del centro di studi economici bolognese Prometeia del DC Andreatta, proseguendo con la mutua collaborazione nella privatizzazione delle società dell'Iri e per finire con l'aver prestato entrambi servizio alla Goldman Sachs: "È uno dei miei", aveva risposto infatti qualche giorno prima Prodi a chi gli chiedeva un parere sull'ipotesi di Draghi a Palazzo Koch. Che bisogno aveva il neoduce di questo beneplacito dell'"opposizione", dal momento che finora se n'era sempre infischiato (e continua a farlo, vedi la legge che abolisce il ricorso in appello dopo l'assoluzione in primo grado), e dal momento che con la nuova legge si è assicurato il pieno e diretto controllo dell'esecutivo sul governatore di Bankitalia? Si dice, ed è assai verosimile, che questa "consultazione" rappresenti la contropartita alla rinuncia all'ostruzionismo da parte del "centro-sinistra" alla legge sul risparmio, contenente anche la depenalizzazione del falso in bilancio molto cara al neoduce. Ma potrebbe essere anche un pegno pagato da Berlusconi al grande capitale finanziario nazionale e internazionale, che non avrebbe gradito conflitti istituzionali tra Palazzo Koch e Palazzo Chigi in caso di un cambio di governo il prossimo aprile. Non per nulla la nomina di Draghi era stata perorata con particolare vigore dal presidente della Fiat e di Confindustria, Montezemolo, guarda caso molto amico del nuovo governatore fin dai tempi in cui erano compagni di scuola al liceo romano dei gesuiti "Massimo". Inoltre la candidatura di Draghi stava benissimo anche a Ciampi, che lo ha avuto alle sue dipendenze come titolare del Tesoro al tempo delle grandi privatizzazioni degli enti pubblici (vedi scheda su Draghi pubblicata a parte), anche se l'inquilino del Quirinale avrebbe preferito Padoa Schioppa, che però non andava bene al neoduce. Soltanto la Lega e AN avanzavano delle riserve sul suo nome. Soprattutto quest'ultima, fin da quando era ancora MSI e insieme al DC Cirino Pomicino denunciò Draghi come uno dei protagonisti, con Andreatta e il ministro del Tesoro Barucci, di una riunione nel '92 sul panfilo della famiglia reale inglese "Britannia", in cui insieme ai vertici dell'alta finanza internazionale "giudaico-anglosassone", tra cui il banchiere Soros, si sarebbe progettato la successiva crisi della lira e la svendita delle aziende pubbliche a compratori esteri. Tuttavia oggi gli eredi di Mussolini hanno messo in naftalina certi pruriti antisemiti, per non turbare il feeling del loro caporione Fini con i sionisti imperialisti israeliani, e quanto ai fascioleghisti ci ha pensato Tremonti a convincerli che il governo aveva tutto sotto controllo. Cosicché, dopo la rinuncia uno dopo l'altro dell'ex commissario europeo Mario Monti e di Giuliano Amato, la candidatura di Draghi è apparsa quasi obbligata ed è stata approvata anche dal Consiglio dei ministri in quattro e quattr'otto e all'unanimità, dopo che era già stata accettata dal Quirinale e dal Consiglio di Bankitalia. Il grande privatizzatore Draghi, uomo di fiducia dell'alta finanza nazionale e internazionale, è stato quindi insediato al vertice dell'istituto di via Nazionale con grande soddisfazione tanto della destra che della "sinistra" del regime neofascista, e perfino dei tre segretari sindacali, Epifani, Pezzotta e Angeletti. E così se il ministro Tremonti ha potuto esultare a nome del governo per "un voto unanime e istantaneo" del Consiglio dei ministri, il leader dell'Unione, il democristiano Prodi, ha esultato altrettanto a nome dell' "opposizione", definendo quella del nuovo governatore "una scelta di alto profilo e di grande credibilità a livello internazionale", tale che egli "saprà restituirci integro il prestigio della Banca d'Italia, dare nuove motivazioni alle strutture interne e riportarne a piena efficacia ruolo e azione". Qualche "riserva" su Draghi è stata espressa solo dalla cosiddetta "sinistra radicale" dell'Unione: pilatesco il giudizio del PdCI, che con Marco Rizzo si è limitato a rimandarlo alla prova dei "fatti". Solo leggermente più "impegnativo" quello del PRC, secondo il cui responsabile Economia e Lavoro, Paolo Ferrero, "Draghi non rappresenta il migliore dei governatori possibili". Evidentemente pesa in questo pur reticente giudizio il suo passato di grande privatizzatore delle più importanti e appetibili aziende pubbliche, che difatti viene ricordato anche su "Liberazione". Ma è significativo che accanto a ciò l'organo di Rifondazione trotzkista si affretti ad affermare che "non vi è nulla di personale contro Mario Draghi. Anzi la sua biografia intellettuale è di tutto rispetto, a cominciare dal suo essere stato uno degli allievi di Federico Caffè, uno degli economisti più innovativi e socialmente sensibili della storia del nostro paese". Sulla stessa falsariga piena di ambiguità e reticenza si inserisce anche il giudizio del foglio trotzkista "il manifesto", che dopo aver tracciato un sintetico profilo del nuovo governatore, così conclude: "Draghi non è uomo di sinistra, anche se certamente non è di destra. O almeno non di questa destra. Credo possa essere definito un liberal nell'accezione Usa". In questo modo anche i trotzkisti del quotidiano di via Tomacelli, come quelli del PRC e del PdCI, invitano a mettere una pietra sopra al passato di privatizzatore ultraliberista di Draghi e lasciano la porta aperta alla felice collaborazione tra il nuovo governatore di Bankitalia e l'eventuale prossimo governo di "centro-sinistra". 18 gennaio 2006 |