La destra venezuelana muove la piazza accusando la "sinistra" borghese di brogli elettorali Gli imperialisti americani non accettano il risultato se non si riconteggiano i voti Con una cerimonia solenne nella sede dell'Assemblea Nazionale (An) di Caracas il 19 aprile, Nicolas Maduro, presidente ad interim del Venezuela dopo la morte di Hugo Chavez, ha giurato sulla Costituzione e si è insediato quale presidente eletto col 50,8% dei voti nella consultazione del 14 aprile. Ha giurato di "costruire una Venezuela libera, felice e socialista", accompagnato dall'ovazione di migliaia di militanti "chavisti" che intonavano slogan a favore del defunto presidente e della rivoluzione bolivariana. E accompagnato da un "cacerolazo", la protesta a suon di pentole percosse, in parte dei quartieri della capitale e dalle note di "Mentira Fresca" la canzone salsa di Willy Colon che il leader dell'opposizione, Henrique Capriles, battuto alle elezioni aveva chiesto di far sentire in tutto il paese in segno di protesta. La destra venezuelana muoveva la piazza accusando la "sinistra" borghese di aver vinto grazie a brogli elettorali; in ciò spalleggiata dall'imperialismo americano che aveva dichiarato di non accettare il risultato delle elezioni in caso di non riconteggio del voto. Proprio il giorno dell'insediamento di Maduro il Consiglio elettorale nazionale annunciava di aver verificato il conteggio del 54% dei voti elettronici e comunicava che Maduro, candidato del Partito socialista unito del Venezuela, aveva ricevuto il 50,8% dei consensi, contro il 49% del suo rivale. E annunciava che avrebbe esaminato anche il rimante 46% dei voti elettronici. Gli oltre 3.000 osservatori internazionali presenti avevano certificato la regolarità delle elezioni del 14 aprile che avevano assegnato una vittoria di misura a Maduro con 7.563.747 preferenze contro i 7.298.491 al rappresentante della destra che vinceva in solo 6 stati su 23. La partecipazione al voto era stata del 78,7% dei quasi 19 milioni di aventi diritto. La coalizione che sosteneva Capriles, la Mesa de la Unidad Democratica (Mud) non accettava i risultati, non riconosceva l'autorità del Consiglio nazionale elettorale e chiedeva il riconteggio dei voti. Capriles invitava la Forza armata nazionale bolivariana a invalidare i risultati e a disconoscere la legittimità delle istituzioni, auspicava in altre parole un golpe contro Maduro. Richiesta respinta dai militari. Scatenava quindi le bande dei suoi sostenitori contro i militanti e le sedi dei partiti che sostenevano Maduro e che provocavano 7 morti e 71 feriti. Un gruppo dell'opposizione caprilista occupava la sede del Consiglio nazionale elettorale nella capitale ma era cacciato dalla pronta reazione dei militanti bolivariani appoggiati dalla popolazione. Negli stati del Tachira e del Zulia gruppi armati incendiavano le sedi del Partito socialista unito del Venezuela, minacciavano i militanti, bruciavano i quadri di Chavez e Bolivar. Nei quartieri di Caracas, dove Capriles aveva vinto con oltre 8 punti su Maduro si svolgevano cazerolazos contro il governo mentre i medici cubani della Mision Barrio Adentro denunciavano aggressioni e vandalismi ai centri medici di quartiere. Capriles si rivolgeva ai governi internazionali gridando alla frode e trovava ascolto in quello americano di Obama e in quello spagnolo del destro Rajoy; la gran parte delle rappresentanze diplomatiche del mondo riconoscevano l'esito del voto e si felicitavano col nuovo presidente. 24 aprile 2013 |