Grave cedimento del governo a Ratzinger, Ruini e alla CEI I Dico non riconoscono le coppie di fatto Salvata la famiglia borghese e cattolica fondata sul matrimonio L'8 febbraio il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge (ddl) sui "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi", in acronimo DICO. Sono più di vent'anni che era attesa una tale legge. Un parto tanto sofferto quanto, alla luce dei fatti, mostruoso. Non ci si faccia abbagliare dalle reazioni contrarie del papa e della Conferenza episcopale italiana (CEI), che ha addirittura annunciato un documento ufficiale che "sia impegnativo per coloro che accolgono il magistero della Chiesa", ossia vincolante per tutti, anche per i parlamentari. Oppure dalle alzate di scudo dei fedeli scudieri clericali del "centro-destra" e presenti largamente anche nel "centro-sinistra". Questo disegno di legge è frutto del grave cedimento del governo del democristiano Prodi alle pretese violente e perentorie del papa nero Ratzinger e della CEI con a capo Ruini che hanno ulteriormente incrementato l'inaccettabile ingerenza del Vaticano negli affari interni dello Stato italiano e che oggi non si dichiarano appagate solo perché pretendono di più, sapendo di poterlo ottenere. Il compromesso al ribasso messo a punto dalle ministre alla politica della famiglia Rosy Bindi (Margherita) e ai diritti e alle pari opportunità Barbara Pollastrini (DS), con la supervisione del ministro dell'Interno Giuliano Amato e sotto dettatura del clericale segretario della Margherita, Francesco Rutelli, risulta quanto di più arretrato, antidemocratico, discriminatorio e clericale si poteva produrre e lo espone a un ulteriore massacro in sede parlamentare. La stessa parlamentare della Margherita nonché esponente dei cosiddetti Teodem, Paola Brunetti, ha affermato: "devo ammettere che da parte della Bindi c'è stato uno sforzo enorme per evitare che i 'Dico' potessero essere considerati un matrimonio di serie B". E da parte sua l'ex "Servire il popolo" Pollastrini si è detta "Sempre pronta ad ascoltare il papa e i cardinali", ma "colpita dall'attacco ripetuto della Chiesa ad un disegno di legge saggio ed equilibrato". Questo disegno di legge in realtà è il più arretrato fra tutte le legislazioni esistenti sulla materia in Europa e in molti paesi del mondo. Molto più arretrato degli stessi moderati Pacs, i "Patti civili di solidarietà", in vigore in Francia. Più arretrato dello stesso programma elettorale dell'Unione che, pur non prevedendo i Pacs, almeno parlava di "unioni civili", definizione completamente evaporata dal ddl governativo. Questa legge nella sua ispirazione di fondo, nel suo linguaggio, nel suo contenuto non è concepita come un allargamento di diritti democratico borghesi, ma come un recinto invalicabile al riconoscimento di tali diritti, come una riconferma della supremazia sociale e nel diritto del matrimonio e quindi della famiglia borghese e cattolica. Ci vuole un bel coraggio a presentarlo come "un primo passo positivo", come va cianciando la "sinistra radicale" (PRC e PdCI) sperando di salvarsi la faccia e avallando di fatto una simile mostruosità. Coppie di fatto Il disegno di legge, che si compone di 14 articoli, non solo non riconosce il diritto al matrimonio ai gay come già è ammesso in tanti paesi europei e non solo, ma non riconosce nemmeno le coppie di fatto o unioni civili. Al contrario, proprio per allontanare qualsiasi riferimento a un riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, i diritti che vengono attribuiti a singoli individui non si limitano a coloro che sono uniti da vincoli affettivi e sessuali ma vengono estesi a tutti gli individui che convivono anche solo per assistenza o solidarietà, come potrebbe essere il rapporto fra zii e nipoti (art.1). Una formulazione che, guarda caso, sembra rispondere esattamente alle pretese della CEI, così come erano state espresse nel famigerato editoriale del quotidiano cattolico "Avvenire", il 6 febbraio scorso, "Il perché del nostro leale 'non possumus'". Solo in questo ambito, ossia escludendo la definizione di coppia, si fa riferimento alla convivenza fra individui dello stesso sesso e in un modo del tutto discriminatorio nei confronti dei gay. L'articolo 1 esordisce infatti con queste parole: "Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso", dove quel termine "anche" sta a sottolineare che i gay sono una categoria a se stante e non individui che al di là del proprio sesso e del proprio orientamento sessuale, in quanto maggiorenni e capaci, sono già inclusi nel diritto. Per allontanare ulteriormente ogni spettro di assimilazione della convivenza al matrimonio, l'articolo 1 prevede inoltre che l'iscrizione della convivenza all'ufficio anagrafe venga resa contestualmente, ossia attraverso due documenti separati, da entrambi i conviventi e non congiuntamente e, paradossalmente, è previsto anche il caso di dichiarazione di un solo convivente che "dà comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all'altro convivente". Assistenza, previdenza e successione Anche per quanto riguarda tutti gli altri diritti in materia sociale e assistenziale, previdenziale e ereditaria risultano quanto mai riduttivi e discriminatori rispetto al matrimonio. L'esercizio del diritto ad assistere per malattia o ricovero il proprio convivente (art. 4) è demandato alla disciplina stabilita dalle strutture ospedaliere e di assistenza pubbliche e private. Per poter prendere decisioni in caso di malattia improvvisa, per la donazione di organi o le modalità funerarie occorre essere stati designati dal proprio convivente come proprio rappresentante attraverso un atto scritto e autografo oppure con un processo verbale alla presenza di tre testimoni (art. 5). Gli stranieri extracomunitari e apolidi potranno richiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per convivenza (art. 6), ma non viene loro riconosciuto tale diritto automaticamente come nel caso di matrimonio. La partecipazione all'assegnazione di alloggi di edilizia popolare (art. 7) viene completamente delegata agli enti locali che potranno stabilire a propria discrezione le norme per regolarne l'accesso, dando luogo a inevitabili disparità di trattamento in base alla regione o al comune in cui si risiede. Ancor più restrittive le norme sul diritto di successione nel contratto di locazione dove si stabilisce che il convivente può subentrare nel contratto solo se la convivenza dura da almeno tre anni (art. 8). La stessa durata della convivenza è necessaria ai lavoratori che vogliono veder riconosciuto il diritto al ricongiungimento familiare che comunque sarà disciplinato dalla legge e dai contratti collettivi di lavoro (art. 9) Il capitolo che riguarda il trattamento previdenziale e pensionistico (art. 10) aggiunge al danno la beffa. Esso prevede infatti che tutta la materia sia rimandata alla futura "riforma" pensionistica prevedendo al momento solo norme restrittive quali la necessità di stabilire una durata minima di convivenza (sono circolate cifre fra i 5 e i 15 anni) per aver diritto al trattamento pensionistico ai superstiti e l'obbligo di commisurare tale prestazione alla durata della convivenza e non solo alle condizioni economiche e patrimoniali del convivente superstite com'è in caso di matrimonio. In più, in base all'art. 13, comma 2, la retroattività della convivenza, ammessa nel caso se ne possa fornire prova, è negata per quanto riguarda i trattamenti previdenziali e pensionistici. Per quanto riguarda i diritti successori, essi vengono vincolati a una durata della convivenza addirittura di 9 anni e comunque non sono affatto equivalenti a quelli di un coniuge. Il convivente ha diritto a un terzo dell'eredità se concorre un solo figlio (il coniuge in caso analogo ha diritto alla metà); un quarto se concorrono due o più figli (un terzo in caso di coniuge); metà in caso di concorso con ascendenti legittimi (genitori o nonni) o con fratelli e sorelle (il coniuge due terzi); tutta l'eredità solo in mancanza di figli, di ascendenti (genitori o nonni), di fratelli e sorelle e, in assenza di altri parenti entro il terzo grado (categoria quest'ultima che non viene affatto contemplata nel caso del coniuge). Non è secondario poi che la legge non equipara lo stato giuridico dei figli delle coppie di fatto a quello dei figli nati nel matrimonio. Stesso discorso per le adozioni che restano prerogativa delle coppie eterosessuali e coniugate. Salva la famiglia borghese e cattolica È evidente che tutta la legge è costruita proprio per discriminare nettamente le coppie di fatto, sia etero che gay, dalle coppie coniugate. Per ribadire che solo la famiglia borghese e cattolica, quella cioè fondata sul matrimonio indissolubile e prolifico è l'unico soggetto riconosciuto, titolare di diritti soggettivi distinti e sovraordinati rispetto a quelli dei singoli componenti. Il contrasto fra questa legge sulle convivenze e i diritti riconosciuti sempre più alla famiglia borghese tradizionale, grazie anche a una politica economica, sociale e fiscale improntata sempre più al familismo cattolico e mussoliniano, come dimostra peraltro l'ultima legge finanziaria, evidenzia quanto la famiglia borghese e cattolica risulti tutt'altro che ferita, ma piuttosto vivificata e rafforzata dal governo e dalla sua politica. Nonostante essa sia una famiglia fondata sull'interesse economico, sull'ereditarietà della proprietà privata capitalistica, sulla subalternità, la disparità e l'oppressione della donna, su una concezione della riproduzione, della sessualità e della vita oscurantista, dogmatica e medievale. Una famiglia borghese e cattolica che come dimostrano i fatti è già fortemente in crisi perché non risponde più alle esigenze, alle aspettative e alla realtà delle masse popolari, femminili e giovanili anche cattoliche. Una famiglia che nonostante tutto però la classe dominante borghese e il papa continuano a sostenere e a difendere a spada tratta pena veder crollare la cellula di base della società capitalistica e l'egemonia ideologica, culturale e morale della Chiesa cattolica in Italia, che è la sua roccaforte, e quindi nel mondo intero. Respingere i DICO, abrogare il concordato Per tutto questo i DICO sono da respingere e combattere perché non fanno fare un passo avanti alla lotta contro questo tipo di famiglia e nemmeno allargano effettivamente i diritti democratico borghesi. I marxisti-leninisti tornano a chiedere il riconoscimento, da parte delle istituzioni dello Stato e amministrative, delle unioni civili e di fatto, comprese quelle tra omosessuali di ambo i sessi. Tutti i nuclei familiari, comunque costituiti, devono essere considerati alla pari, con gli stessi diritti e gli stessi trattamenti sociali, economici e fiscali. Più in generale crediamo che occorra porre un deciso fermo all'ingerenza del papa, del Vaticano e della CEI negli affari italiani. Come anche tanta parte dei cattolici democratici e progressisti sostengono da sempre, occorre recidere il cordone ombelicale che lega lo Stato italiano alla Chiesa e quindi allo Stato del Vaticano. Un fatto anacronistico dal punto di vista storico e intollerabile da quello politico. La religione va considerata un affare privato e individuale, è un principio valido anche nel socialismo. La Chiesa non può godere di alcun privilegio nei confronti dello Stato: essa va considerata alla stregua di ogni altra associazione. Ecco perché torniamo a chiedere l'abrogazione del Concordato e di tutti i privilegi vecchi e nuovi che esso garantisce alla Chiesa. 14 febbraio 2007 |