Il padrone di Tiscali ed editore de "l'Unità" impallinato dalla sua stessa maggioranza di "centro-sinistra" Soru si dimette da governatore della Sardegna Esplosa sulla legge urbanistica, la faida è alimentata dagli appetiti della speculazione edilizia e dalla gestione presidenzialistica imposta in regione dal magnate, che riceve la solidarietà di Veltroni ma anche l'appoggio del PRC Il presidente di "centro-sinistra" della Regione Sardegna, Renato Soru, si è dimesso dalla carica il 25 novembre, dopo che metà della sua maggioranza in Consiglio gli aveva votato contro su un provvedimento da lui stesso definito "dirimente". Il provvedimento in questione riguardava un emendamento alla legge urbanistica che estendeva anche all'entroterra la delega già concessa alla giunta sulla legge cosiddetta "salvacoste" e sul piano paesaggistico. L'emendamento è stato bocciato a scrutinio palese con 55 voti contrari e solo 21 a favore. In pratica ben 18 consiglieri di "centro-sinistra", quasi tutti dello stesso partito del governatore, il PD, più altri consiglieri dell'IDV e di SD, si sono rifiutati di appoggiare il suo piano urbanistico ritenendolo eccessivamente "restrittivo" e hanno votato no alla delega insieme al "centro-destra", che ha esultato brindando alla caduta della giunta. Si è così aperta una crisi che potrebbe portare alle elezioni anticipate a febbraio se, come prescrive la legge elettorale, entro un mese Soru non dovesse ritirare le dimissioni e ricevere di nuovo la fiducia della coalizione che lo aveva eletto nel 2004. Il padrone della società telefonica Tiscali, dal maggio di quest'anno anche editore de "l'Unità", ha motivato la sua decisione col fatto che il provvedimento respinto è parte integrante della politica urbanistica della giunta per uno "sviluppo ambientale sostenibile" che rappresenta "una parte fondamentale della legislatura". Ma non solo questo: "È ancor più - ha detto nell'annunciare le dimissioni in Consiglio - una mancanza di fiducia forte fra il presidente e la sua maggioranza. E non si può governare senza una forte maggioranza in Consiglio regionale, tantopiù che abbiamo davanti la discussione della Finanziaria, l'ultima della legislatura". Prima del voto c'era stato un aspro confronto tra il governatore e i dissidenti del suo partito, in particolare con il capo della commissione Ambiente, Pirisi, deciso a votare contro il provvedimento. Soru, che ha comunque precisato di non avere nessuna intenzione di abbandonare la politica, ha ricevuto il sostegno del PRC e una telefonata di Veltroni che gli ha assicurato il suo appoggio e il suo intervento per "ricreare le condizioni politiche necessarie a riprendere il lavoro della giunta". A questo scopo ha inviato nell'isola Maurizio Migliavacca, coordinatore nazionale del partito, per cercare di ricomporre la faida che si è aperta nel PD isolano tra i sostenitori del magnate sardo e la fazione facente capo all'ex segretario regionale del partito, ex socialista ed ex fassiniano, oggi senatore, Antonello Cabras, e al deputato Paolo Fadda. Questa fazione, evidentemente molto ricettiva alle pressioni e agli appetiti delle lobby della speculazione edilizia e turistica, non ha mai ben digerito la politica urbanistica troppo "vincolistica" che il governatore ha portato avanti in questi anni facendone un suo personale fiore all'occhiello, e sulla quale intendeva ripresentarsi per un secondo mandato alle prossime regionali sarde. Ma soprattutto non aveva mai digerito il taglio presidenzialista che Soru aveva impresso al suo mandato, accentrando su di sé tutto il potere decisionale, specie in materia urbanistica, ma non solo. Non gli aveva mai perdonato, per esempio, la lunga disputa con Cabras sulla regolarità del voto delle primarie che lo avevano visto prevalere di stretta misura sul magnate per la segreteria regionale del PD, come anche le successive manovre che avevano portato alle dimissioni di Cabras dalla carica e la sua sostituzione con una fedelissima del governatore, Francesca Barraciu, eletta con 64 voti su solo 72 votanti a fronte di 155 aventi diritto. In pratica la fazione a lui avversa lo accusava di aver spaccato in due il partito. Da qui la decisione di sbarazzarsi di lui tendendogli un agguato in Consiglio, accampando la difesa del diritto delle amministrazioni locali a mettere bocca sulle decisioni urbanistiche, proprio su un provvedimento che invece delegava tutto alla giunta, e che il governatore stesso aveva definito "un pilastro del piano paesaggistico" a cui aveva vincolato il mandato ricevuto dagli elettori. Soru si atteggia a vittima di quella che ha definito "sinistra immobiliare", una corrente del suo partito facente parte di una coalizione politica trasversale legata agli interessi speculativi; ma è tutt'altro che disposto a cedere ai suoi avversari il potere che si è conquistato in questi anni nel PD, da quando nel 2000 lo stesso Veltroni lo chiamò a partecipare al congresso del Lingotto, fino ad essere oggi impropriamente definito "il Berlusconi del centro-sinistra". Specialmente adesso che controlla il suo più importante organo di stampa fiancheggiatore, "l'Unità" sotto la nuova direzione di Concita De Gregorio. Per ripresentarsi tra un mese al Consiglio e riottenere la fiducia, evitando così una possibile catastrofe elettorale e la dissoluzione del PD sardo, il magnate ha posto infatti a Migliavacca e al vertice nazionale del suo partito delle precise condizioni: vuole un accordo preventivo "blindato" e garantito dalla segreteria nazionale sulla sua riconferma e che non ci saranno ulteriori colpi di mano prima della scadenza naturale della legislatura; chiede di ripresentarsi con proprie liste sotto il suo nome ("liste del presidente" come quelle minacciate a suo tempo dal presidenzialista Prodi); vuole infine "rinnovare" le liste stesse, epurandole da tutti i candidati con due o più mandati alle spalle, tra cui ci sono gran parte dei consiglieri del suo partito che lo hanno impallinato a tradimento. Vedremo come andrà a finire la guerra intestina scoppiata nel PD sardo e il braccio di ferro tra il miliardario di "sinistra" e i suoi avversari in seno al suo stesso partito. Intanto registriamo quest'altro edificante esempio della degenerazione politica e morale della "sinistra" borghese, in cui esattamente come nella destra borghese il presidenzialismo è ormai prassi consolidata e infuria la guerra per bande per affermare gli interessi economici e il potere delle rispettive consorterie di riferimento. 3 dicembre 2008 |