Discorso pronunciato l'11 settembre 2005 da Mino Pasca a nome del CC del PMLI per il 29° Anniversario della scomparsa di Mao I cinque maestri sono il pugno devastante dei marxisti-leninisti contro la borghesia e il revisionismo Compagne e compagni, amiche e amici, "Quando la gente vede solo ciò che le sta sotto i piedi, e non ciò che sta sulle montagne e al di là dei muri, è probabile che sia vanagloriosa come la 'rana in fondo al pozzo'. Ma quando alza la testa per vedere l'immensità del mondo, il caleidoscopio dei problemi umani, lo splendore e la magnificenza della causa dell'umanità, la ricchezza dei talenti umani e l'ampiezza del sapere diventa modesta. Il compito al quale siamo dediti è tale da scuotere il mondo". La vostra stessa presenza stamattina, in questa Commemorazione di Mao organizzata puntualmente ogni anno dal Comitato centrale del PMLI nella data della sua scomparsa, che siate o meno d'accordo in tutto o in parte con noi, dimostra che la vostra testa non è china e arresa al pedestre presente ma è vigile e ben eretta alla ricerca delle strade inesplorate che conducono a quel futuro che appartiene al socialismo, alla classe operaia, alle masse popolari e alle nuove generazioni. Siete cioè mossi dallo spirito che animò Mao ininterrottamente per i suoi quasi 83 anni di vita nel compiere le sue leggendarie imprese e che egli ha voluto trasmetterci attraverso quelle affascinanti parole pronunciate nel 1963 perché noi le potessimo ricevere come un'incessante brezza rigeneratrice e far nostre ben al di là della sua morte e delle montagne e degli oceani che ci separano. Mao ci ha lasciati fisicamente il 9 settembre 1976, eppure a 29 anni dalla sua scomparsa e in un Paese geograficamente e storicamente tanto lontano da dove visse e lottò noi sentiamo più forti che mai il piacere e il bisogno di ricordarlo per imparare da lui, di conoscerlo meglio per emulare le sue gesta, di dialogare con lui avventurandoci in quell'impareggiabile patrimonio di saggezza e insegnamenti racchiuso nelle sue opere, opere scritte sui libri e opere vive che hanno scritto la storia del mondo da lui trasformato e rivoluzionato, la storia del socialismo e del movimento operaio, del XX secolo e della Cina, e più in generale la storia dell'emancipazione dell'intera umanità dalla barbarie dell'imperialismo e dell'oppressione e sfruttamento capitalistici al regno della libertà in cui non esisteranno più classi né guerre né sopraffazione del più forte sul più debole. Non è prodigioso tutto questo? Ovvero che si parli di un uomo e di una Cina che non ci sono più, sepolta e piombata quest'ultima dal vertice revisionista e fascista che ha usurpato il potere nel partito e nello stato cinesi in una sterminata dittatura fascista, nell'inferno globalizzato della schiavitù salariata, irresistibile Klondike del ventunesimo secolo per i capitalisti del mondo intero che vi accorrono attirati dal vero solo dio che costoro venerano: l'illimitato profitto garantito dall'illimitato sfruttamento del proletariato cinese; senza preoccuparsi in alcun modo di provocare la desertificazione industriale ed economica e la disoccupazione generalizzata e la rovina dei lavoratori dei paesi industrializzati e, nel contempo, lo stravolgimento dello sterminato continente cinese, straziato e spolpato dall'industrializzazione capitalistica globalizzata. Il fascino che esercitava Mao sui giovani Eppure proviamo a rovesciare la precedente domanda: chi altri se non i suoi eroi, modelli e maestri, deve ricordare e onorare la classe operaia? è invece davvero prodigioso che alcuni giovanissimi compagni abbiano fondato appena qualche giorno fa una nuova Cellula del PMLI a Vicenza scegliendo di chiamarla 1° Ottobre 1949 "per rendere omaggio - come scrivono nel documento di fondazione - a una delle maggiori opere del grande maestro del proletariato internazionale Mao Zedong, la Repubblica Popolare Cinese". Avete ragione, giovanissimi compagni vicentini, la vostra scelta è la testimonianza che Mao e le sue leggendarie imprese non sono mai morti tra i marxisti-leninisti, il proletariato e le masse popolari italiani, e continuano ad animare le nuove generazioni che si battono per l'Italia unita, rossa e socialista. Grazie, giovanissimi compagni vicentini, dell'esempio che voi date alla nostra gioventù e a quanti, cedendo al pessimismo, la ritengono irrimediabilmente arresa e persa per la lotta per il socialismo. Voi, ultimissimi allievi di Mao, siete diventati degli splendidi maestri per noi tutti. Ecco lo spirito che lega allievi e maestri all'interno il proletariato. Quand'era vivo, Mao esercitava sui giovani e giovanissimi un fascino irresistibile, perché si appellava alla loro natura di forza più attiva e vitale della società e li giudicava "i più ansiosi d'imparare e i meno conservatori nel modo di pensare"1. E loro gli riconoscevano uno spirito giovane anche quando lui aveva l'età dei loro nonni o bisnonni. Riuscì sempre a mobilitare e sprigionare risorse ed energie che loro non sapevano ancora di possedere. Com'accadde durante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria quando Mao stabilì un rapporto diretto e originale con le nuove generazioni del mondo intero: in Cina, dove le Guardie rosse furono il catalizzatore di quell'inedita rivoluzione politica nel campo della sovrastruttura contro il revisionismo moderno e la borghesia annidatasi al vertice del partito comunista e dello stato socialista cinesi e per far avanzare la rivoluzione socialista in quel paese a dittatura del proletariato; e nei paesi più industrializzati, dove gli studenti e i giovani operai e rivoluzionari misero in discussione l'intera società borghese e si rivoltarono contro le autorità nelle scuole e università, nelle imprese e nelle città. Allora milioni e milioni di giovani erano fieri di definirsi maoisti, tanto da indurre la borghesia internazionale a correre ai ripari. Essa usò i suoi zelanti servi trotzkisti e ultrasinistri (qui in Italia i primi della classe erano i trotzkisti alla Ingrao, "Lotta continua" di Sofri e "Il Manifesto" di Rossanda e Magri) e li sollecitò a dipingerlo come un eretico del comunismo e a contrapporlo a Stalin e ai suoi presunti metodi di governo e culto della personalità e ai sedicenti crimini commessi durante la sua tenebrosa dittatura personale. E costoro attribuivano a Mao semplicemente le loro speranze e i loro desideri e gli mettevano in bocca le stesse perfide accuse indirizzate dal rinnegato revisionista Krusciov contro Stalin al XX Congresso del PCUS. Oggi non è più così, oggi il "mostro" è il comunismo nel suo insieme e la borghesia internazionale l'attacca frontalmente senza tatticismi di sorta e dunque estende a Mao il destino in passato riservato a Stalin. Si moltiplicano fasulle e fantasiose ricostruzioni, pubblicazioni e testimonianze che cercano di farlo a pezzi. Secondo la recentissima biografia, pubblicata in Gran Bretagna dal titolo "Mao, la storia sconosciuta", egli sarebbe stato nient'altro che "uno psicopatico" che ha "sterminato almeno 70 milioni di persone". E ci risiamo con i milioni di morti e col ripugnante cannibalismo dei comunisti. Si è perfino scomodato lo scrittore diessino Andrea Camilleri nel suo ultimo romanzo sul commissiario Montalbano, "La luna di carta", per aggiungere il suo inchiostro al veleno che lo dipinge come un vecchio libidinoso colla fissazione della "carne giovane". Oramai abbiamo fatto il callo e non riusciamo a tener dietro alla valanga di calunnie e falsità inventate di sana pianta per demonizzare Mao e impedire che sia conosciuto, studiato e amato dal proletariato, dai giovani e dai popoli del mondo. Ma non permetteremo che ne facciano scempio come sistematicamente tentano di fare con Stalin o di volta in volta ora con Lenin ora con Engels ora infine con Marx . Difenderemo lui, gli altri maestri e la verità storica con tutto noi stessi. I cinque maestri del proletariato internazionale sono come un pugno dalla potenza devastante nei confronti del capitalismo e del revisionismo e non permetteremo a questi due mostri di aprircelo e di tagliare le dita della mano a una a una fino a ridurla a un moncherino inservibile. Quel pugno è il simbolo dei marxisti-leninisti che fa tremare le classi dominanti oggi più di ieri, è un pugno che non piegheremo mai finché sulla terra esisterà anche un solo sfruttato e oppresso. I veri eroi sono le masse Checché ne dica la borghesia, quando ciancia di valori condivisi e di una storia che accomuna i suoi protagonisti, ogni classe ha i suoi eroi, cioè quegli uomini più eminenti che meglio la rappresentano e, in quanto tali, vengono proposti a esempio e quale fonte di ispirazione collettiva. Tuttavia un abisso divide la borghesia dal proletariato. La borghesia è una classe di individualità che detesta la stessa parola "masse" ed esalta il genio individuale, ossia mette l'accento sul primato dell'individuo e lo isola dal contesto, perché il liberalismo si fonda appunto sull'arbitrio dell'individuo in quanto tale, altrimenti non potrebbe giustificare e tutelare il profitto e la libertà dei singoli individui capitalisti a spese della collettività. Insomma guarda ai suoi eroi come a dei super-uomini e presenta le loro idee e le loro gesta come il frutto originale del loro innato genio creativo. Viceversa il proletariato, la cui emancipazione dipende dall'emancipazione dell'intera umanità, dipende cioè dalla rimozione delle condizioni stesse della schiavitù salariata, non considera mai l'individuo separato dal resto della sua classe ma come un essere sociale che condivide rapporti di produzione e sociali affini con gli altri componenti della sua stessa classe e quindi è condizionato nell'azione e nella coscienza dalle stesse forze materiali modellatrici. Per il liberalismo borghese la storia è il frutto dell'opera dei più eminenti eroi individuali, per il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, che è l'ideologia del proletariato, sono la classe operaia e le masse popolari i veri eroi, la forza motrice che crea la storia del mondo. "I veri eroi sono le masse, mentre noi siamo spesso infantili e ridicoli"2, amava ripetere Mao. E aggiungeva: "Le masse popolari sono dotate di una forza creativa illimitata"3. Dunque borghesia e proletariato celebrano non solo eroi diversi ma muovono da diverse e antitetiche considerazioni circa il ruolo delle più grandi personalità nella storia. Noi al Gesù di Nazareth discendente di re Salamone, che predica la rinuncia, l'amore e il perdono dei più umili e poveri nei confronti dei più potenti e ricchi, preferiamo lo schiavo trace Spartaco che osò sfidare settanta anni prima il temibile impero romano e capeggiò la rivolta degli schiavi dimostrando di essere uno dei più grandi capi e organizzatori dell'antichità. E tuttavia il proletariato guarda a questi eroi con occhio diverso di come la borghesia guarda ai suoi. Non li mette su un piedistallo in quanto individui ma li prende a esempio come i migliori rappresentanti dell'intera classe, la cui grandezza sta proprio nel non essersi mai staccati dalle masse e di averle servite con tutto il cuore e le proprie personali attitudini senza mai stancarsi di imparare da loro. Noi marxisti-leninisti non consideriamo Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao divinità da venerare né esseri soprannaturali né super-uomini. Ecco perché noi, che abbiamo la testa eretta ma i piedi ben piantati per terra, dopo il recente "miracolo" compiuto da Mao a Vicenza non ci siamo messi a gridare:"Santo subito!" No, i cinque maestri del proletariato internazionale non sono caduti dal cielo ma sono il frutto della lotta di classe e della potenza creatrice del proletariato e delle masse popolari. Noi li chiamiamo maestri perché loro ci forniscono, come ha spiegato Scuderi, "gli elementi ideologici, teorici, politici e organizzativi per conoscere il mondo e trasformare noi stessi. A noi spetta, in quanto allievi, di studiare le loro teorie, metodi di analisi ed esperienze e applicare nelle nostre condizioni concrete i loro insegnamenti"4. La nostra è un'adesione scientifica non un atto di fede nel loro pensiero. E proprio perché si tratta di scienza, la scienza della rivoluzione, non ripetiamo pappagallescamente formule vuote e sterili ma cerchiamo di applicare in modo creativo la scienza del marxismo-leninismo alla realtà concreta della nostra rivoluzione e del nostro tempo. I nostri nemici e detrattori borghesi amano compiangere i marxisti-leninisti accusandoci di essere ancorati a un'ideologia ottocentesca incapace di cogliere la modernità e i nuovi scenari del terzo millennio. Eppure non sanno contrapporre all'illiberale dittatura del proletariato nient'altro che il modello della loro democrazia liberale, che è stato il prodotto maturo delle rivoluzioni borghesi inglese e francese avvenute due secoli prima. E magari invocano col papa nero Ratzinger le "radici cristiane" dell'Europa, radici che in verità risalgono a un sistema di idee, che ha preso la forma della più potente religione monoteista della storia umana, vecchio di ben duemila anni. Al confronto di tale eternità noi non ci sentiamo affatto "vetero" ma giovani pieni di vigore e vitalità, "nel fiore della vita, come il sole alle otto o alle nove del mattino"5 mentre sono loro a essere irreversibilmente destinati al tramonto e al crepuscolo. Anche perché la nostra affascinante storia non si esaurisce 157 anni or sono con la pubblicazione del "Manifesto del Partito Comunista" di Marx ed Engels, ma dopo aver attraversato e profondamente influenzato gli ultimi due secoli, si affaccia nel terzo millennio più attuale e matura che mai, quantunque il socialismo sia ritornato allo stadio di ideologia e movimento della classe operaia e sia stato cancellato dai rinnegati revisionisti sovietici e cinesi quale sistema sociale in Urss e in Cina che rappresentano le prime due grandiose esperienze storiche di costruzione della società socialista. Per rovesciare il mondo occorre rovesciare il sistema dei valori della borghesia Nell'accusarci di essere dei "vetero" i nostri nemici in realtà nascondono la speranza di vederci abbandonare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, l'unica ideologia che si contrappone radicalmente alla concezione del mondo e al sistema economico e politico della borghesia. è questo il vero scopo delle loro accuse. "Per quel che concerne la concezione del mondo, - spiega Mao - nel mondo attuale ci sono fondamentalmente due 'scuole', quella della borghesia e quella del proletariato. O si accetta la concezione proletaria del mondo o si accetta quella della borghesia. La concezione comunista del mondo è la concezione del mondo del proletariato e non la concezione del mondo di altre classi"6. Ecco perché il PMLI non si stanca di sottolineare la correlazione esistente tra la trasformazione del mondo e la trasformazione della propria concezione del mondo. Le due cose isolate sono destinate al fallimento, quando procedono insieme la prima influenza e favorisce la seconda ma ne è a sua volta influenzata e favorita e viceversa, in un rapporto dialettico senza fine. Se vogliamo capovolgere cielo e terra e conquistare un mondo nuovo, dobbiamo rovesciare il sistema dei valori della borghesia che inevitabilmente inquina la nostra concezione del mondo per trasformarla in senso proletario e rivoluzionario. E la inquina indipendentemente dalla nostra volontà, come lo sporco che si deposita sul nostro corpo ogni giorno anche se prestiamo la massima attenzione a non sporcarci, perché tutti siamo immersi nella stessa società borghese, dove non esiste alcuna muraglia a dividere classe dominante e classe oppressa e dove tutto esalta e giustifica e perpetua il sistema ideologico della borghesia consolidatosi nel corso di secoli, se non di millenni, visto che la borghesia ha saputo fagogitare, metabolizzare e riproporre in forme nuove la peggiore eredità accumulata dalle classi schiavista e feudale. Tutto, davvero tutto è a sua immagine: organizzazione sociale e organizzazione economica, sistema politico e legislazione, religione e morale, usi e costumi, tradizioni, famiglia, educazione, persino la lingua che usiamo tutti i giorni tradisce questo carattere, cosicché l'aggettivo "volgare" che trae origine da volgo, cioè popolo, significa rozzo, triviale, ordinario o la parola "cafone" che significa letteralmente contadino equivale a zotico, ignorante, grossolano, mentre "nobile" sta per generoso, disinteressato, eccellente; l'aggettivo "sinistro" sta per lugubre, infausto, bieco, e in quanto sostantivo è stato scelto dalle Assicurazioni quale termine tecnico per indicare gli incidenti e i disastri. Non dobbiamo lasciarci intimidire né schiacciare dalla grandezza storica di Mao ma con modestia e spirito di emulazione dobbiamo imparare da l'uomo Mao, concreto, in carne, ossa, col suo cuore e cervello, simile a noi dacché giovanissimo, nello sperduto villaggio cinese di Shaoshan, iniziò a ribellarsi contro le tre grandi montagne che soffocavano il suo popolo, l'imperialismo, il feudalesimo e il capitalismo burocratico, ma anche contro il padre quando si comportava come un patriarca autoritario nei confronti suoi, dei fratelli e della madre. "A quel tempo le mie idee - confesserà Mao - erano uno strano miscuglio di riformismo democratico, liberalismo, e socialismo utopistico. Avevo una specie di vaga passione per la 'democrazia del XIX secolo', per l'utopismo e il liberalismo vecchio stampo ed ero decisamente antimilitarista e antimperialista"7. "Un tempo io avevo una quantità di idee non marxiste e solo in seguito ho assimilato il marxismo. Ho studiato un po' di marxismo sui libri iniziando così a trasformare la mia ideologia, ma la trasformazione si è realizzata soprattutto nel corso di una lotta di classe prolungata. E io devo continuare a studiare se voglio ancora progredire, altrimenti tornerei indietro"8. Così si esprimeva Mao all'età di 63 anni. Insomma la trasformazione della nostra concezione del mondo è un processo che non deve mai aver fine ed è faticoso, complesso e anche doloroso giacché ci tocca nel profondo, nei lati più oscuri del nostro carattere, nel nostro egoismo e in quei pregiudizi difficili da vincere e sdradicare. "Nessuno nasce imparato", si dice in molti dialetti. Per diventare maestri bisogna essere stati e non smettere mai di essere degli ottimi allievi. Abbiamo tutti cominciato come Mao, con idee confuse e approssimative sul marxismo-leninismo. Così fu per i primi quattro pionieri, quando nel settembre 1967 dettero vita a un primo raggruppamento marxista-leninista unicamente per loro libera scelta, iniziativa e determinazione, come ricorda Scuderi che ne era l'anima. Erano tutti giovani e giovanissimi e venivano da esperienze personali e politiche diverse (anche se li univa la ripudiata estrazione cattolica), che li avevano visti partecipare alle lotte sociali di quegli anni, alle grandi battaglie antimperialiste contro l'aggressione Usa al Vietnam, Cambogia e Laos e alle battaglie della classe operaia in difesa del posto di lavoro e per veder riconosciuti i propri diritti economici, sindacali e politici. Poi, gli echi della Grande rivoluzione culturale proletaria cinese li aiutarono a scoprire Mao e il marxismo-leninismo, esattamente com'era accaduto cinquant'anni prima ai cinesi e allo stesso Mao che avevano scoperto il leninismo trasportato dalle salve della Grande Rivoluzione d'Ottobre. Non staremo qui a ripercorrere tutte le tappe della storia del PMLI, peraltro splendidamente illustrate dal compagno Giovanni Scuderi nel Rapporto al 3° Congresso nazionale del PMLI a cui vi rimandiamo. Vorremmo tuttavia soffermarci sul rapporto speciale che ci lega a Mao rispetto agli altri maestri. Non stupiamoci, è stato così anche per i partigiani comunisti con Stalin o per gli operai protagonisti delle occupazioni delle fabbriche nel Biennio Rosso con Lenin, e analogamente per i comunardi con Marx ed Engels. Siamo allievi dei cinque maestri ma figli di Mao Noi marxisti-leninisti italiani siamo allievi di tutt'e cinque i maestri ma siamo figli di Mao: a lui dobbiamo la nostra nascita politica in quanto marxisti-leninisti. Grazie a lui abbiamo imparato a conoscere e ad amare tutt'e cinque i grandi maestri del proletariato internazionale e ad appropriarci della memoria storica del movimento operaio internazionale. è Mao ad aver infiammato i nostri cuori degli ideali del socialismo dopo aver sprigionato in Cina e nel mondo intero uno sconvolgimento di portata storica mai verificatosi prima con quell'ampiezza e profondità di contenuti. Uno sconvolgimento che si diffuse dapprima nella sterminata Cina, dove il proletariato, le masse popolari e i giovani rivoluzionari irruppero da protagonisti estromettendo dal potere la borghesia e i revisionisti annidatisi nel partito e nello stato socialista e mettendo in discussione quelli che costoro credevano inespugnabili privilegi, santuari e tabù. Uno sconvolgimento che interessò e agitò l'Urss e l'allora campo socialista, espugnato dagli imperialisti a seguito del colpo di stato revisionista compiuto da Krusciov nel Pcus e della cosiddetta destalinizzazione. Uno sconvolgimento che alimentò e rese matura la ribellione del Terzo mondo e dei popoli e delle nazioni oppresse contro l'imperialismo, che si manifestava attraverso la resistenza armata alle aggressioni e occupazioni militari imperialiste, le guerre popolari di liberazione, la intransigente difesa dell'indipendenza e della sovranità nazionali, la coalizione e l'unità dei paesi più piccoli, poveri e oppresi del sud contro il nord del mondo. Uno sconvolgimento che penetrò nelle cittadelle stesse dell'imperialismo e deflagrò in modo tanto più devastante quanto più esse erano state protette e blindate, riguardò persino gli Stati Uniti e i paesi più industrializzati dell'Europa occidentale, dove avrebbe dato origine alla contestazione giovanile e a violenti conflitti di classe e tempeste sociali che in Europa e specie in Italia assunsero la forma della Grande rivolta operaia e studentesca del Sessantotto, il più grande avvenimento della storia della lotta di classe nel secondo dopoguerra. Appiccando il fuoco in Cina, per continuare la rivoluzione nelle condizioni della dittatura del proletariato, battere il revisionismo moderno e aprire nuovi orizzonti allo sviluppo della società socialista, Mao aveva finito per infiammare i cinque continenti. E' Mao ad averci aiutato a capire il revisionismo moderno, passaggio cruciale senza il quale non saremmo mai riusciti né a sfidare ideologicamente e politicamente il PCI, che allora era il più forte partito revisionista non al potere, né a dar vita al PMLI e a iniziare la sua lunga marcia organizzativa. Anzitutto ci ha insegnato ad avere il coraggio di andare controcorrente anche quando siamo ancora soli o in pochi a sfidare il cielo: "Chi dispone di forze esigue - sono le sue parole -, ma è legato al popolo, è forte; chi dispone di forze ingenti, ma è contro il popolo, è debole.(...) Le grandi forze in disfacimento cederanno il posto alle piccole forze emergenti... Ciò che è grande è destinato a essere rovesciato da ciò che è piccolo, e questo diventerà grande"9. Una verità storica avvalorata dall'esempio che ci ha dato in ogni passaggio della sua vita: agli esordi, nel 1921 quando con altri 11 compagni fondò il Partito comunista cinese; durante la Lunga Marcia che vide decimare da 86 mila ad appena 4 mila uomini il suo Esercito rosso, mentre sfuggiva all'accerchiamento e alla guerra di annientamento condotti dagli eserciti, dieci volte più numerosi, di dieci signori della guerra e del nero Jiang Jieshi; nel 1937, dopo la conclusione della vittoriosa Lunga Marcia, quando nella sterminata Cina di mezzo miliardo di abitanti si contavano approssimatamente 40 mila comunisti appena; e persino dopo la fondazione della Repubblica popolare cinese, negli anni Cinquanta, quando sfidò la tigre di carta dell'imperialismo americano che con la sua bomba atomica cercava di atterrire i popoli per ridurli alla passività e sottomissione verso il suo "ordine" mondiale; e negli anni Sessanta e Settanta, quando non ebbe esitazione a sfidare il revisionismo kruscioviano e il socialimperialismo, quantunque i socialmperialisti sovietici contassero sull'egemonia dell'allora campo socialista e dei partiti comunisti revisionisti, strangolassero e ricattassero economicamente la giovane Cina socialista, povera e arretrata, ritirando tecnici e attrezzature, crediti e aiuti e interrompendo qualsiasi tipo di rapporto di scambio economico, e la minacciassero con provocazioni armate e un esercito aggressivo e ben più forte. E noi marxisti-leninisti italiani siamo andati controcorrente, benché fossimo giovani, inesperti e poveri. Mao ci ha insegnato ad avere una fiducia incrollabile nel proletariato e nelle masse popolari. Lui che viveva in un paese dove per secoli avevano contato solo imperatori, mandarini e signori della guerra e che si battè come un leone contro quanti si crogiolavano nel pessimismo e giustificavano il loro opportunismo con pretesti quale l'immutabilità delle cose e del mondo, l'eseguità numerica della classe operaia cinese e la mentalità arretrata e il conservatorismo dei contadini. E noi marxisti-leninisti italiani abbiamo avuto una fiducia incrollabile nel nostro proletariato e nelle masse popolari, quantunque negli anni Sessanta e Settanta, i rinnegati dirigenti revisionisti del PCI, forti dell'ascendente e del consenso immeritatamente acquisiti tra le masse in decenni e decenni anche grazie al prestigio dell'Urss di Lenin e Stalin e della Terza Internazionale, le strumentalizzassero e ce le scagliassero contro nelle manifestazioni e durante le nostre iniziative e attività pubbliche. Andando controcorrente e grazie all'incrollabile fiducia nelle masse, noi marxisti-leninisti italiani abbiamo preso il largo lasciandoci irrimediabilmente dietro le spalle la sicurezza e gli agi della vita di porto. Anche oggi la nostra navigazione procede in mare aperto e fremiamo chiedendoci se saremo o meno capaci di superare le tempeste che si avvicinano e le prove terribili che ci aspettano in futuro, ma allora navigavamo a vista, privi di carte nautiche e di punti di riferimento sicuri, senza una rotta ben tracciata, ci mancava tutto eccetto il nostro indomito coraggio e il marxismo-leninismo pensiero di Mao, che è stato la bussola capace di assicurarci il giusto orientamento pur in quelle complesse condizioni soggettive e oggettive. La Lunga Marcia del PMLI Ancor prima di e per costruire il nuovo dovemmo scavare in profondità, distruggendo il vecchio che si era stratificato e consolidato in decenni di dominio incontrastato della socialdemocrazia e del revisionismo moderno in Italia, alla ricerca del terreno dove le fondamenta del Partito e della strategia della rivoluzione socialista italiana si potessero ancorare in modo sicuro e solido al patrimonio comune del marxismo-leninismo autentico e della storia movimento operaio italiano. E quando chiarimmo a noi stessi e scoprimmo che dovevamo ripartire da zero perché l'eredità accumulata dal PSI di Turati fino al 1921 e poi dal PCI di Bordiga, Gramsci e Togliatti non ci sarebbero state di nessuna utilità se non come esempi negativi, neppure ci sfiorò l'idea di abbandonare la sfida e ritirarci a vita privata. Cosicché, quando è stato fondato, il PMLI idealmente si ricollegava e si poneva in continuità con gli atti storici del 1892 e 1921 che esprimevano la volontà del proletariato italiano di alzare la bandiera del socialismo e darsi il suo partito e tuttavia il PMLI si presenta come il primo autentico partito marxista-leninista del proletariato italiano, un partito originale e inedito dal punto di vista dei principi teorici e ideologici ispiratori, della strategia e linea politica, della struttura organizzativa e metodi di lavoro e direzione. Un partito che si pone nel solco della storia gloriosa della I e II Internazionale di Marx ed Engels, della III Internazionale di Lenin e Stalin e si ispira agli esempi luminosi del partito bolscevico di Lenin e Stalin e del partito comunista cinese di Mao. Un partito che eredita, e fa suo, l'inestimabile patrimonio accumulato dalla Rivoluzione d'Ottobre, la Rivoluzione Cinese e dalle tante rivoluzioni che hanno scosso il mondo, e accumulato da sessant'anni di esperienza di costruzione del socialismo nell'Urss al tempo di Lenin e Stalin e in Cina al tempo di Mao. Sono questi caratteri peculiari ad avergli garantito la vita e lo sviluppo, mentre intorno a noi svanivano organizzazioni e partiti sedicenti rivoluzionari un tempo forti numericamente e ricchi e persino un partito come il PCI, che a settant'anni faceva hara-kiri. Contando sulle cinque fiducie, ossia nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel Partito, nelle masse e in noi stessi; e facendo leva sui tre elementi chiave, ossia sulla concezione proletaria del mondo, sulla corretta concezione del Partito del proletariato e sulla conoscenza approfondita della linea generale e della linea di massa del Partito, noi oggi siamo impegnati a costruire un grande, forte e radicato partito marxista-leninista, nonostante le condizioni internazionali vedano l'imperialismo, con alla testa gli Usa ma anche l'Europa e il Giappone, spadroneggiare in ogni angolo della terra, mentre si affacciano Cina e India, e i popoli sulla difensiva (se si eccettuano la Resistenza del popolo palestinese e del popolo iracheno), in conseguenza del tradimento dei revisionisti moderni e del dissolvimento dell'allora campo socialista, e nonostante la situazione oggettiva in Italia non sia rivoluzionaria e il proletariato, le masse popolari e i giovani siano frenati da illusioni riformiste e pacifiste, elettorali e parlamentari, e persino governative verso la coalizione borghese del "centro-sinistra". Ma quanto a lungo potrà durare questa sfavorevole congiuntura internazionale e nazionale? Non lasciamoci spaventare. Alle tenebre segue sempre l'aurora, la lotta di classe esiste indipendentemente dalla nostra volontà e dalla volontà del demone a tre teste Bush-Blair-Berlusconi. Noi marxisti-leninisti esistiamo appunto per guidare la lotta di classe in base alle sue leggi e portarla alla vittoria, al rovesciamento del capitalismo e dell'imperialismo e alla conquista del socialismo. Più l'imperialismo americano spadroneggia e più si fa odiare dai popoli. E ora, dopo la partecipazione all'aggressione e occupazione militari dell'Iraq e dell'Afghanistan, anche l'imperialismo britannico, italiano ed europeo non suscitano più alcuna simpatia in medioriente e in giro per il mondo. Noi chiediamo l'immediato ritiro delle truppe imperialiste dall'Iraq, a cominciare da quelle italiane, senza se e senza ma, distinguo che appaiono dei sofismi per rimandare alle calende greche una decisione che è matura da tempo e non può essere ulteriormente rinviata. L'oppressione, l'ingiustizia e la povertà hanno raggiunto tali dimensioni e gravità nel Terzo mondo che basta una scintilla per dar fuoco all'intera prateria. Forse il nostro popolo sostiene la politica imperialista e guerrafondaia del neoduce Berlusconi nel mondo? Milioni e milioni di manifestanti hanno partecipato a cortei e proteste contro l'occupazione militare dell'Iraq. Ne avete visto uno soltanto scendere in piazza a favore? Eppoi non ci sono mari, oceani e invalicabili montagne a separare il Sud dal Nord del mondo. Il Sud non lo assedia solo dall'esterno ma piaga e deforma il Nord, lo devasta dall'interno, sta lì da sempre e peggio di sempre anche se i mass media borghesi ne negano o nascondono l'esistenza perché si vergognano di tale barbarie. E d'improvviso salta fuori a ricordarcelo, com'è accaduto nell'America di Bush a New Orleans, flagellata dall'uragano e sommersa dall'inondazione, abbandonata in quello stato perché povera e abitata prevalentemente dagli afro-americani e, dunque, non meritava alcuno aiuto se non quello portato tardivamente dalle autoblindo e coi mitragliatori delle migliaia di soldati giunti a occuparla militarmente. Il regno del consumismo, il forziere del mondo, la patria delle ipertecnologie si mostrava più fragile di un fuscello, mancava di tutto, di merci, attrezzature e uomini in grado di far fronte ai bisogni primari della popolazione, ed elemosinava i generosi aiuti umanitari inviati da tutto il mondo. Che cos'è l'imperialismo americano se non una tigre di carta, come lo definiva Mao? Quest'apocalisse è accaduta non nella lontana Africa che muore di fame né nell'arretrato Estremo oriente vittima dello tsunami ma in quell'America che si propone come garanzia di benessere e democrazia e modello universale insuperato del sistema capitalista, arrogatosi la vittoria nello scontro col "demone" comunista; mitizzata e osannata dai rinnegati come Veltroni e scimmiottata in tutto dalla "sinistra" borghese, ora persino nelle primarie del "centro-sinistra". Ai fratelli afro-americani e alle masse popolari americane va la commossa solidarietà internazionalista del PMLI e del popolo italiano. Chiediamo al nuovo Hitler Bush e al governatore della Lousiana interventi straordinari e adeguati a ricostruire subito e porre in sicurezza la regione disastrata e chiediamo all'Onu di processarli alla stregua di criminali di guerra. Il PMLI, il neoduce Berlusconi e le politiche del 2006 Non se la passa più tanto bene all'interno del Paese e nella stessa casa del fascio neppure il nuovo Mussolini Berlusconi, che per conquistare l'egemonia e mantenersi ben saldo al comando del regime neofascista conta sulla potenza e prepotenza di un colossale impero economico e mediatico senza precedenti e sull'opposizione di cartone della coalizione parlamentare di "centro-sinistra", PRC compreso, che sembra essersi pavidamente ritirata sull'Aventino per l'intera XIV legislatura, in attesa della sperata rivincita elettorale, e porta la responsabiltà storica di averlo fatto arrivare a un passo dalla definitiva approvazione parlamentare della controriforma costituzionale che cambia la forma dello Stato, da nazionale e unitario a federale, e la forma di governo, da parlamentare a presidenziale, attribuisce al premier un potere sconfinato, di tipo mussoliniano, e svuota il parlamento delle tradizionali attribuzioni e competenze riservategli dalla democrazia e dal diritto borghesi. Non ha tutti i torti l'inguaribile megalomane Berlusconi che davanti al Gotha del grande capitale riunito a Cernobbio, pur tenendosi basso, si è attribuito, beato lui, il voto di 10 e lode. Quello è infatti il voto che gli danno i fascisti vecchi e nuovi, i piduisti e gli anticomunisti viscerali, i guerrafondai imperialisti, i voraci pescecani capitalisti e gli speculatori e finanzieri d'assalto, insomma tutti quegli strati della borghesia che sguazzano nel lusso e hanno accumulato patrimoni colossali sullo sfruttamento selvaggio dei lavoratori e sul saccheggio e immiserimento della collettività. Grazie alla volata che gli hanno tirato per ben sei anni i governi di "centro-sinistra", da Prodi a D'Alema, Berlusconi ha fatto per tutti costoro negli ultimi quattro anni di governo quel che tutti gli altri governi della borghesia erano riusciti a fare in molto più tempo a disposizione. A ragione il PMLI ha definito quello di Berlusconi il peggiore e il più pericoloso governo in Italia dopo il ventennio mussoliniano. E non ha avuto bisogno di aspettare che facesse il macello sociale, economico e istituzionale che ci circonda, già quando nel 1994 gli fu conferito da Scalfaro il suo primo incarico l'avevamo capito e denunciato. L'Ufficio politico del PMLI, il 19 giugno 2001, all'indomani del suo insediamento in questa legislatura, usava queste parole chiarificatrici: "Questo governo costituisce il coronamento della restaurazione del fascismo sotto forme nuove, nuovi metodi e nuovi vessilli, il cui nome ufficiale riconosciuto anche dal 'centro-sinistra', è quello della seconda repubblica. Una repubblica che ha forti caratteri capitalistici, neofascisti, presidenzialisti e federalisti, alla cui realizzazione hanno partecipato i partiti del 'centro-sinistra', con in testa i DS e, per certi aspetti, persino Rifondazione". Ora la questione, che si ripresenta uguale al 1994, è di sapere come cacciare via a pedate il neoduce. Tutti i partiti del "centro-sinistra", PRC e PdCI inclusi, si accontentano di vederlo sommerso da milioni di schede elettorali alle ormai prossime Politiche del 2006 e di costringerlo a navigare verso il sole di Tahiti. Noi, invece, anche attraverso un bel manifesto che in tanti ci invidiano, chiediamo che sia la piazza a buttarlo giù e a perenne monito rammentiamo quel che accadde a Piazzale Loreto. Naturalmente ci attiriamo le ire del "centro-sinistra" che ci accusa di inguaribile sovversivismo e pretende di mettere la sordina al movimento anti-Berlusconi per non rischiare di favorirlo ponendolo sempre sotto i riflettori, secondo l'idea che non importa come, l'importante è il risultato, liquidare Berlusconi, il resto verrà dopo. Eh no, cari signori, noi vogliamo che sia la piazza e non un semplice risultato elettorale o colpo di palazzo dei "poteri forti" a buttarlo giù, perché questa è l'unica via a garantire che le masse siano realmente convinte delle ragioni e dell'urgenza oltreché le artefici di una tale battaglia. Cioè ne discutano adeguatamente e si convincano della necessità di respingere alla radice la linea politica di Berlusconi, ossia l'intera politica che restaura in Italia il nero regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista, al di là di chi e quali forze partitiche sono di volta in volta chiamati a gestirla. La scomparsa di Craxi e l'immediato avvicendamento di Berlusconi non hanno insegnato niente a quanti si illudevano che l'uscita di scena del primo fosse sufficiente per sbarazzarci di quel tipo di politica? Chi teme così tanto la piazza e le masse teme le tempeste rigeneratrici della lotta di classe ma ancor di più teme che il "centro-sinistra" non potrebbe continuare a governare come nella precedente legislatura, a sottoporre quella politica a un semplice lifting per contrabbandarla poi come di sinistra, a cancellarle solo i tratti più ripugnanti e intollerabili, a imbellettarla lasciandone intatta la sostanza e poi a pretendere la complicità delle masse, la passività e la pace sociale. Ci attende una campagna elettorale astensionista nel 2006 lunga (il faraonico TIR giallo, come gialli erano chiamati i sindacati padronali e dei crumiri, del tecnocrate democristiano Prodi è già partito per girare in lungo e largo la penisola) e molto impegnativa, che ci chiamerà a fronteggiare le aggressioni e i ricatti dei partiti aderenti all'Unione che fremono nell'attesa di strappare a Berlusconi il comando del regime neofascista. Dovremo saper spiegare che il nostro astensionismo è un voto dato al PMLI e al socialismo e alla nostra proposta di dar vita alle Istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia alle Assemblee popolari e ai Comitati Popolari fondati sulla democrazia diretta. Allearsi elettoralmente all'Unione della "sinistra" borghese, dare a essa i nostri voti e appoggiare il suo eventuale governo sarebbe per noi suicida. Vorrebbe dire concorrere alla stabilizzazione e alla perpetuazione dell'attuale regime, sabotare la lotta di classe e precludere ogni possibilità da parte del proletariato di conquistare il potere politico e il socialismo. Dovremo essere coraggiosi e inflessibili e, insieme, dialettici e convincenti. Oggi rispetto a venti-trenta anni fa le masse non si scagliano più contro di noi solo perché qualcuno glielo ordina, hanno bisogno di capire e noi, che siamo impegnati nel compito prioritario del radicamento, dobbiamo saper spiegare loro le nostre ragioni e aiutarle a capire. A cominciare dal proletariato, dal movimento no-global e dagli elettori del PdCI, PRC e DS, ai quali poniamo prioritariamente la questione strategica: per quale società pensano di battersi? Per il capitalismo o per il socialismo? Come possono continuare a dar fiducia ai gruppi dirigenti di quei partiti che hanno rinnegato la parola stessa socialismo e si riducono a mettere pannicelli caldi a un capitalismo putrefatto che è storicamente fallito e condannato. Facciano un bilancio della storia del movimento operaio e delle loro personali esperienze e scelgano il PMLI, si uniscano al PMLI, il solo partito che ha tracciato per l'essenziale la via dell'Ottobre per la conquista del potere politico da parte del proletariato italiano e propone come obiettivo strategico la conquista dell'Italia unita, rossa e socialista. "Occorrono nuove energie intellettuali e fisiche - chiedeva Scuderi nell'editoriale per il 28° Anniversario della fondazione del PMLI -, nuove forze fresche per rafforzare e rendere più potente, più influente e più incisivo il PMLI. Sappiamo benissimo che non è facile oggi essere marxisti-leninisti e membri del PMLI, eppure è quello che devono fare i fautori del socialismo se credono veramente nel socialismo e vogliono lottare concretamente per il socialismo". E certamente faremo anche noi in Italia come in Cina fece Mao, che alcuni anni prima di vincere la rivoluzione avvertiva: "Noi comunisti non dissimuliamo le nostre vedute politiche. è certo, indubbio, che il nostro programma per il futuro, o programma massimo, è portare la Cina al socialismo e al comunismo. Il nome del nostro Partito e la nostra concezione marxista del mondo indicano chiaramente questo ideale supremo da realizzare in avvenire, ideale infinitamente bello e radioso"10. Con Mao, coi maestri e col PMLI vinceremo! Note |