Discorso di Mino Pasca, a nome del CC del PMLI, per il 37° Anniversario della scomparsa di Mao
Mao, la propaganda e il lavoro giornalistico

Pubblichiamo qui di seguito il discorso integrale pronunciato dal compagno Mino Pasca, a nome del CC del PMLI, comprese quelle numerose parti che non ha letto per rimanere entro il tempo programmato. Il discorso è stato interrotto più volte da calorosi e prolungati applausi. Il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, ritiene che tale discorso "costituisca un prezioso elaborato marxista-leninista sul tema del lavoro giornalistico e di propaganda, che dobbiamo seriamente studiare e applicare individualmente e collettivamente per migliorare il nostro lavoro su questo importante fronte. Esso, inoltre, fornisce a tutti gli sfruttati e gli oppressi e alle ragazze a ai ragazzi che conoscono poco o nulla della teoria rivoluzionaria e della linea del nostro Partito, validi elementi per vedere sotto una nuova luce, quella proletaria rivoluzionaria e marxista-leninista, la stampa e la propaganda delle due principali classi antagoniste della nostra società".
 
Compagne e compagni, amiche e amici,
i vostri interventi sono la commovente testimonianza che Mao non è mai morto per il PMLI e continua a vivere insieme a noi, nella nostra linea politica: illumina e ispira la difficile lunga marcia della rivoluzione socialista italiana. Non c'è modo migliore di ricordare Mao che ispirarsi a lui e alla sua esemplare vita, spesa interamente per la causa del proletariato e del popolo cinesi e del mondo intero, e continuare a riflettere e a imparare dai suoi insegnamenti applicandoli alla nostra rivoluzione socialista. Sono felice e onorato di pronunciare, a nome del Comitato centrale del PMLI, il discorso commemorativo, in occasione del 37° Anniversario della morte del grande maestro del proletariato internazionale che più di tutti ha influenzato da vicino la nascita del PMLI, sul tema: Mao, la propaganda e il lavoro giornalistico.

LA GUERRA DEI TRENT'ANNI SCATENATA DALLA BORGHESIA CONTRO L'IDEOLOGIA DEL PROLETARIATO

Nella società divisa in classi, com'è attualmente la nostra, ogni opinione politica, giuridica, religiosa, artistica e filosofica della società, e in genere ogni idea, non sono altro che gli abiti confezionati nei quali prendono forma gli interessi delle classi. La contrapposizione di tali interessi generano e alimentano la lotta di classe, una cui importante manifestazione è appunto il dibattito e il conflitto ideologici.
Le idee non sono che il riflesso del mondo esterno nella testa degli uomini ma esse non sono destinate a rimanere nelle loro teste giacché cominciano a vivere solo nel momento in cui escono dalle loro teste e ritornano nel mondo esterno, vengono manifestate, entrano in relazione con altre idee e circolano e si diffondono. Ogni volta che noi esprimiamo un'opinione a uno o a più interlocutori finiamo sempre per propagandare quell'opinione. Tutti fanno propaganda, che lo ammettano o no, che ne siano consapevoli o meno. E chi più la nega, più cerca di spacciare la propria evitando qualsiasi conflitto ideologico e attribuendo alla parola propaganda un'accezione negativa, alla stregua di un'esposizione di idee solo distruttiva e non costruttiva, solo conflittuale e non dialettica. Ah quante volte hanno tentato di zittirci intimandoci di smettere di fare propaganda, per impedirci di mettere sotto accusa le fondamenta del sistema economico, politico e ideologico della borghesia e non semplicemente alcune sue più aberranti manifestazioni!
La borghesia teme come la peste, odia visceralmente e combatte con ogni mezzo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao perché sa che esso non si riduce a proporre un programma politico, sia pure radicale e rivoluzionario, ma dà al proletariato "una concezione integrale del mondo"(1) che appunto gli attribuisce la funzione storica di becchino del capitalismo e di creatore della società socialista; non è una dottrina che auspica un futuro idealizzato ma rappresenta un'esperienza storica consolidata e vittoriosa, realizzatasi concretamente su questa terra e non nel regno dei cieli: prima, con la nascita dell'Urss di Lenin e Stalin e del campo socialista e, poi, con la leggendaria Lunga marcia capeggiata da Mao che ha catapultato la Cina dal semifeudalesimo e dalla tirannide neocoloniale e imperialista al socialismo. Ecco perché gli anticomunisti e i trotzkisti, che non sono che liberali camuffati da comunisti, ce l'hanno tanto col cosiddetto "socialismo reale", quell'esperienza della costruzione del socialismo nell'Urss di Lenin e Stalin e nella Cina di Mao.
Soprattutto dopo la caduta del cosiddetto Muro di Berlino, la borghesia ha sperato di arrivare alla soluzione finale. E così ha scatenato la guerra dei trent'anni contro le ideologie, a parole contro tutte le ideologie, nei fatti contro la sola ideologia del proletariato. Le ha dipinte come il maligno da sterminare ed estirpare definitivamente dalla storia perché rimanga un pensiero unico, assoluto, universale: il liberalismo borghese, naturalmente. Se noi rinunciassimo alla propaganda marxista-leninista, o peggio ci riducessimo a propagandare varianti del liberalismo borghese in varie salse "marxiste-leniniste", la borghesia e l'imperialismo avrebbero la strada spianata nella manipolazione delle idee e dei comportamenti delle masse.
Sotto ogni idea, persino la più innocente e apparentemente universale, si nasconde sempre un'impronta di classe, un'orma di un percorso politico che ha un'origine e una destinazione. Occorre esserne consapevoli per evitare di caderne anche noi vittime. Svelare e conoscere quest'impronta di classe ci aiutano a comprendere non solo gli autori e le finalità che l'hanno generata ma anche il senso di tale percorso politico per riuscire a volgerlo e a governarlo a nostro vantaggio senza subirlo, magari inconsapevolmente. Talvolta è marcata ed evidente perché proviene direttamente dal campo nemico, tal altra risulta a prima vista irriconoscibile e pretende di essere esaminata più e più volte prima di essere portata alla luce e prima di affiorare nei suoi veri contorni. Si tratta in quest'ultimo caso di concezioni liberali borghesi ammantate da una fraseologia comunista e persino sedicente marxista-leninista, alla Rizzo tanto per intendersi. La forza e i successi del marxismo-leninismo costringe i nemici di classe a camuffarsi da marxisti e ad alimentare il revisionismo per scardinarlo e sabotarlo dall'interno.

IL RUOLO DELLA RETE

Le modalità e i mezzi attraverso cui avviene la trasmissione, circolazione e diffusione delle idee hanno assunto con la "globalizzazione" imperialista e l'impetuoso sviluppo delle nuove tecnologie digitali un ruolo sempre più rilevante. I media sono tanto cruciali nelle società contemporanee da aver indotto i due mammasantissima del M5S Grillo e Casaleggio, nel recente libro scritto a quattro mani, "Siamo in guerra", ad attribuire alla Rete una funzione taumaturgica e miracolistica e a salutarla come la leva più potente del cambiamento: "La Rete assomiglierà a un genio della lampada che ci risponderà su qualunque argomento". "La Rete è francescana, anticapitalista (sic): nel Web le idee e la loro condivisione valgono più del denaro". "I media tradizionali non hanno potuto nulla contro la viralità della Rete". E si spingono a profetizzare che in 10-20 anni "scompariranno i media tradizionali, svanirà gran parte delle strutture gerarchiche". Partiti compresi, "che saranno sostituiti dai movimenti".
Non possiamo in questa sede dilungarci a rispondere compiutamente a questi due insopportabili grilli parlanti né addentrarci nella critica della cosiddetta "democrazia della Rete" resa possibile a loro dire dal successo di internet. E tuttavia ci preme ribadire che l'introduzione di una nuova tecnologia può tutt'al più sconvolgere e rivoluzionare le tradizionali modalità dell'organizzazione economica, può dunque rivoluzionare l'apparato economico, a cominciare dai mezzi di produzione e di circolazione, mai i rapporti di produzione fondati sulla proprietà privata capitalistica, tanto meno il carattere di classe dell'apparato statale e la classe al potere. È stato così in passato quando la forza motrice del vapore dette vita alla prima rivoluzione industriale, soppiantata nel Novecento dall'elettricità e dalla fonte energetica del petrolio, con la seconda rivoluzione industriale. Nel XV secolo l'invenzione e la diffusione della stampa a caratteri mobili nel mondo occidentale hanno liquidato quell'occultamento di conoscenze e idee attuato dalla Chiesa nel Medioevo e ha portato a un'inedita diffusione dei libri e dei saperi rendendoli accessibili a una sempre più ampia platea di lettori. Eppure la borghesia ha avuto bisogno di due grandiose e cruente rivoluzioni politiche, prima in Inghilterra e poi in Francia, per imporsi e rovesciare il feudalesimo. "Nessun grande movimento è mai nato senza spargimento di sangue, non uno"(2), così rispondeva Marx in un'intervista a proposito del ruolo della violenza nella storia.
Com'è possibile cianciare di "democrazia della Rete" quando non c'è nessun altro media marchiato da un peccato originale come quello di internet, originariamente creata nel 1958 dal Dipartimento della difesa USA in funzione antisovietica e oggi dominata da un pugno di multinazionali che non ha pari in altri comparti e settori economici? Cresciuta tumultuosamente nei decenni successivi ad opera prevalente del governo, delle università, della tecnologia e di grandi aziende americani, che l'hanno pilotata, condizionata, controllata e spiata sistematicamente, come hanno confermato le rivelazioni dell'ex agente della Cia Snowden e ancor prima la vicenda Wikileaks, la Rete non si è certo emancipata da quel suo peccato originale: ha sì moltiplicato esponenzialmente utenti, funzionalità e opportunità nello scambio di informazioni e nelle relazioni reciproche ma al contempo ha dato a un pugno di Stati, governi e multinazionali un potere sconfinato.
Il primo sistema automatico Usa per il controllo delle comunicazioni globali fu concepito in piena "Guerra fredda" dalla National Security Agency (NSA) creata segretamente dal Presidente USA nei primissimi anni Cinquanta, e più tardi nel 1977 conosciuto ufficialmente col termine Echelon. Gli si sono aggiunti e sovrapposti nel tempo una miriade di altri sistemi ancor più potenti e invasivi in mano ai diversi organi governativi e a società private. Col programma PRISM le autorità americane in qualsiasi momento si fanno consegnare "legalmente" la posta e la registrazione del traffico relativi a qualsiasi utente dai grandi operatori delle telecomunicazioni e della Rete come Google, Yahoo, Aol, Microsoft e Apple, Skype, Facebook, Twitter e gli altri "social media" e piattaforme analoghe. (E come potrebbe essere diversamente, vista la simbiosi tra i governi e i servizi segreti americani e queste multinazionali, che peraltro sono state ricompensate con milioni e milioni di dollari governativi per il disturbo di dover spiare gli utenti della rete? Del resto non è un caso che Google Ideas, nata nel 2010 per "utilizzare la tecnologia e il Web per combattere le minacce globali", abbia per direttore Jared Cohen, già consigliere dell'allora segretario di Stato Condoleezza Rice con l'amministrazione Bush).
Contemporaneamente usano potentissimi software in grado di spiare e vagliare il traffico internet grazie al controllo delle grandi dorsali intercontinentali di comunicazione e dei più importanti nodi delle reti a fibre ottiche e del sistema satellitare. Il Washington Post ha confermato le rivelazioni di Snowden sull'esistenza dello spionaggio condotto dalla NSA, che è andata a braccetto con i servizi segreti europei, a cominciare dalla Francia, distintasi nella sceneggiata europea per apparire la più incredula e indignata. Mentre in Italia la magistratura ha solo parzialmente svelato e punito l'inquietante spionaggio condotto dalla Telecom di Tronchetti Provera, col coinvolgimento diretto dei servizi segreti, negli Usa ogni azienda di telecomunicazioni può essere visitata senza preavviso e all'oscuro degli stessi manager dai funzionari federali mentre la cyberguerra viene pianificata da una struttura poliziesca e da organi di giustizia paralleli e impenetrabili.
In questo stesso mese sta entrando in funzione l'Utah Data Center, la struttura militare americana più fortificata mai realizzata, costata 2 miliardi di dollari, in grado di intercettare e raccogliere in banche dati dalla capacità praticamente illimitata nonché decrittare con supercomputer tutti i tipi di comunicazione, comprese telefonate, fax, mail, acquisti, itinerari e qualsiasi tipo di dato personale che lascia una traccia elettronica. Persino le nostre ricerche rivolte a quei buchi neri della navigazione in Rete che sono i grandi motori di ricerca come Google. Ma nel mirino c'è soprattutto il web profondo, ossia quella rete di comunicazioni, database e documentazioni top secret di cui si servono i governi, multinazionali e utenti evoluti dopo averli blindati con sofisticati algoritmi. La potenza di decrittazione garantita da questi computer superveloci permetterà al governo americano di conoscere insieme alle comunicazioni in corso anche la montagna di dati immagazzinata negli anni da governi, imprese e server.
Se l'imperialismo americano ha imbastito il sistematico spionaggio ai danni dei Paesi europei alleati e concorrenti al fine di meglio tutelare i suoi interessi economici, finanziari, commerciali e militari, figurarsi dove può spingere la guerra cibernetica e informatica contro i suoi nemici di classe interni e internazionali grazie a mezzi "legali" (censura, oscuramento e chiusura di siti imposti dalla magistratura) e illegali (intercettazioni e hackeraggio), palesi o occulti (autocensura stabilita arbitrariamente da provider e server e violazioni di siti, forum, chat, social media). Guai se anche noi marxisti-leninisti ci lasciassimo ubriacare dall'illusione della funzione taumaturgica e miracolistica della Rete, abbandonando il terreno della lotta di classe ed esaurendoci in "social media" frequentati anche da perditempo, da guardoni individualisti e disfattisti e da specialisti dell'infiltrazione e del frazionismo.
Il M5S sembra replicare con la Rete l'illusione degli anni '70, quando enfaticamente fu salutato come "Tv libera'' quello che si accingeva a divenire il mostruoso monopolio televisivo berlusconiano.
Ciò che stiamo vivendo oggi non è altro che il completamento della terza rivoluzione industriale, cominciata nell'immediato secondo dopoguerra con la scoperta del transistor e col prepotente ingresso dell'informatica e della robotica in ogni aspetto dell'apparato produttivo e della vita sociale. Più che democratizzare, le suddette rivoluzioni industriali hanno portato a ulteriori concentrazione e centralizzazione della proprietà capitalistica che si sono riflesse nello svuotamento delle originarie forme assunte dalla democrazia rappresentativa borghese a tutto vantaggio di istituzioni neofasciste e del prevalere di un assolutismo oligarchico imperialista che decide tutto, nell'economia e nella finanza come nella politica, al di fuori e al di sopra di qualsiasi controllo. Svuotamento a cui, peraltro, non sembra sfuggire quella sorta di plebiscitarismo, spacciato per "democrazia diretta", a cui si riduce il voto online e più in generale quel "parlamento elettronico" contrapposto dal M5S alla democrazia rappresentativa borghese di tipo parlamentare.
Ultimo inquietante esempio di tale tendenza oligarchica l'ha dato la più potente banca d'affari del mondo, JP Morgan, peraltro responsabile di aver appiccato il fuoco nel 2008 all'attuale devastante crisi economica che squassa l'Eurozona, che con un documento golpista ha invocato Costituzioni e governi fascisti, che per l'Italia si traduce nella realizzazione della repubblica presidenziale fortemente voluta da Napolitano e dal suo governo Letta-Berlusconi. Basterebbe questo solo motivo per spazzar via il mostruoso governo delle "larghe intese", che non ha precedenti nella storia politica italiana.
Ci sono dialogo e dibattito nelle piazze virtuali della Rete? Certo che ci sono e talvolta accesissimi e sui temi d'attualità. Ma non sono sufficienti. Alle piazze virtuali dove si confrontano gli utenti della Rete la propaganda dei marxisti-leninisti privilegia le piazze reali, quei luoghi materiali che sono teatro della vita e della lotta di classe, dove è possibile instaurare un contatto diretto e vivo con le masse protagoniste e non con i semplici spettatori degli avvenimenti.
Si può stare alla finestra a guardare discutendo oziosamente con i nostri vicini di quel che accade per strada e si può scendere fisicamente per strada e partecipare direttamente alla lotta di classe avviando un confronto di idee con i protagonisti di quegli avvenimenti che non ha pari in fatto di coinvolgimento, di qualità e di sbocchi del dibattito. Come non preferire la seconda condotta alla prima? Sintetizzata magnificamente dal nostro Segretario generale Giovanni Scuderi nel Rapporto al 5° Congresso nazionale del PMLI con lo slogan: privilegiamo il megafono alla tastiera. "In ogni caso - avvertiva Scuderi - la migliore e più efficace propaganda che possiamo e dobbiamo fare è quella di stare in mezzo alle masse e di interessarci quotidianamente a fondo e sistematicamente dei loro problemi ed esigenze. L'uso delle tecnologie moderne della comunicazione è utile e necessario anche per noi, ma il contatto diretto con le masse è assolutamente insostituibile e prioritario, non può essere surrogabile dalla tastiera e dalla telecamera. Quando è possibile usiamo pure Youtube e Facebook, ma come supporto, in subordine al nostro lavoro ordinario di propaganda."(3)

LA PROPAGANDA E I MEDIA

Alla decima sessione plenaria dell'ottavo Comitato centrale del PCC nel 1962 Mao ha spiegato: "Per rovesciare un potere politico è sempre necessario, anzitutto, preparare l'opinione pubblica e lavorare in campo ideologico. Ciò è vero sia per le classi rivoluzionarie che per quelle controrivoluzionarie".
Ciò che dice Mao è tanto più vero in una società come l'attuale dove le notizie e l'informazione sono diffuse in tempo reale e veicolate su mille canali per raggiungere all'istante una quantità impressionante di persone distribuite in ogni parte del Paese. Il controllo dei e sui media è tanto cruciale e decisivo per condizionare e orientare l'opinione pubblica da aver spinto i grandi monopoli capitalistici e i partiti parlamentari a una guerra senza quartiere per parteciparvi e gestirli o per impossessarsene quand'anche navighino nel cronico deficit, come avviene ai grandi quotidiani borghesi nazionali e alla stessa Rai. E va letta in questa chiave la recente riconquista de "Il Corriere della Sera" da parte della Fiat, che piange miseria davanti alle richieste di risibili aumenti salariali da parte dei lavoratori ma non esita a spendere più di 32 milioni per un gruppo editoriale che ha accumulato solo nel 2012 509 milioni di perdite in più ai 322 del 2011, giacché lo considera "strategico" per ammissione dello stesso Marchionne. Il deficit economico, evidentemente, è bilanciato e surclassato dall'attivo politico generale che garantisce loro la difesa dei loro rispettivi interessi economici e la perpetuazione del sistema capitalistico.
La marcia berlusconiana su Roma sarebbe difficilmente immaginabile senza l'intervento massivo e sistematico del suo impero mediatico, un doppio affare per il neoduce, politico oltreché economico, come sarebbe apparso a tutti chiaro quando alla nascita di Mediaset è seguito il mostruoso parto di Forza Italia, da noi subito ribattezzata Forza fascisti. Un parto reso possibile, pilotato e gestito dagli stessi uomini del vertice di Mediaset e Publitalia, uno dei più grandi gruppi di raccolta pubblicitaria al mondo. Non è un caso che i primi fondatori del nuovo partito fascista fossero in prima persona i più alti manager dell'impero economico berlusconiano, affiancati e consigliati dai maggiorenti della P2 e della mafia: il grande capitale, e precisamente il più grande gruppo mediatico italiano, entrava prepotentemente e senza intermediari e mandatari, com'era stato fin lì il PSI di Craxi, nel governo e nelle istituzioni borghesi.
Il boss di Arcore ha usato le sue televisioni rapinate alla collettività come un diabolico maglio per plasmare a suo piacimento e manipolare l'opinione pubblica, grazie a una propaganda spregiudicata e subdola che ha fatto leva sull'informazione ma anche sull'intrattenimento per blandirla e avvelenarla giorno dopo giorno con una concezione del mondo e con valori tutti orientati all'individualismo e al mito del liberismo e dell'arricchimento personale. È così che ha potuto sferrare il suo colpo di Stato e governare per un ventennio, dopo aver sbaragliato la concorrenza di grandi capitalisti e colossi economici ben più potenti e blasonati ed essersi assicurato l'egemonia nella classe dominante borghese.
Conformemente a quel che dettava il "piano di rinascita democratica" della P2, il neoduce si è impossessato dell'intero sistema mediatico, a cominciare dal settore di distribuzione e produzione televisiva per poi estendersi al campo editoriale, della carta stampata e della multimedialità. Ha usato il manganello e l'olio di ricino mediatici per fare tabula rasa di ogni opposizione, arrivando a comprarsi e fagocitare a uno a uno i giornalisti critici e recalcitranti, per poi agitarli come trofeo e insieme come foglia di fico per vantare una sua supposta pluralità. Appropriandosi della preziosa eredità del MinCulPop mussoliniano e della macchina propagandista nazista ideata da Goebbels, aggiornata ai più moderni sistemi di cui sono maestri insuperabili gli imperialisti americani, l'impero berlusconiano ha fin dall'inizio manipolato con abilità, sistematicamente e scientificamente le idee e i comportamenti delle masse.
L'opinione pubblica è stata stritolata dall'azione a tenaglia, da una parte, della becera propaganda neofascista e apertamente anticomunista, sia pure confezionata nelle accattivanti forme berlusconiane che hanno aggiornato simboli e vessilli sostituendo il rassicurante doppiopetto alla camicia nera, e, dall'altra parte, dalla propaganda anticomunista, più subdola e ingannevole perché imbastita dai rinnegati del comunismo. I quali hanno in un primo tempo sottovalutato e blandito il cavaliere piduista, per poi subirlo e assecondarlo, e infine favorirlo e fiancheggiarlo appropriandosi del suo nero programma e rimasticandolo, in economia come in politica estera, in tema di giustizia come nelle riforme istituzionali, nell'organizzazione federalista dello Stato come nella legge elettorale, e inciuciando ieri con la famigerata Bicamerale golpista di D'Alema e oggi col governo Letta-Berlusconi per completare la riscrittura della Costituzione e ufficializzare il regime neofascista, presidenzialista e federalista.
Di questo incancellabile crimine storico si sono macchiati i rinnegati del comunismo, capitanati dal nuovo Vittorio Emanuele III Giorgio Napolitano, replicando e aggravando quell'ignava complicità di cui furono responsabili i rinnegati socialdemocratici capitanati da Turati e Nenni nei confronti dell'avvento del regime mussoliniano.
L'ex vertice del PCI revisionista non ha alzato neppure un dito per impedire l'ascesa del neoduce e persino gli ha dato fin dal 1994, per stessa pubblica ammissione di Violante, "piena garanzia che non sarebbero state toccate le sue televisioni nel cambio di governo". Come ben denunciava il CC del PMLI nel documento "E' finito un inganno durato 70 anni": "Il PCI non ha fatto che spargere nella classe operaia revisionismo, riformismo, liberalismo, elettoralismo, parlamentarismo, pacifismo, legalitarismo, al posto del marxismo-leninismo e della strategia e della tattica proletarie e rivoluzionarie.
Questo inganno è stato possibile grazie a un lento, graduale e pilotato processo di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione dei militanti, del proletariato e dei lavoratori, delle masse femminili, giovanili e popolari.
Attraverso mille sotterfugi, mille piccoli e grandi cambiamenti sempre diretti a spostare a destra l'asse del partito, il PCI ha finito col depotenziare sul piano ideologico, politico e organizzativo la carica rivoluzionaria del proletariato, col decomunistizzare le nuove generazioni
".(4) E ora questi rinnegati democristianizzati, che senza pudore vantano di essere degli autentici liberali, ossia dei borghesi, stanno lì a cincischiare sull'agibilità politica o meno di Berlusconi, un delinquente certificato ed evasore fiscale, anziché rompere ogni rapporto con costui e col suo partito e uscire immediatamente dal governo.

L'ARTE DELLA PROPAGANDA MARXISTA-LENINISTA

Il PMLI è nato per dare al proletariato, ai lavoratori e alle masse popolari italiani quel partito marxista-leninista che non hanno mai avuto, quantunque fossero considerati i più combattivi e avanzati dell'Occidente capitalistico. E per renderlo un Gigante Rosso anche nel corpo e non solo nella testa, i marxisti-leninisti devono diventare instancabili e imbattibili teorici, propagandisti, agitatori e organizzatori, come ci ricorda Lenin. Il quale aggiunge: "Fin quando si tratta (e in quanto ancora si tratta) di conquistare al comunismo l'avanguardia del proletariato, il primo posto spetta alla propaganda".(5)
Il partito marxista-leninista "deve sempre e continuamente allargare l'influenza del movimento operaio su tutte le sfere della vita sociale e politica della società contemporanea. Deve dirigere non soltanto la lotta economica degli operai, ma anche la lotta politica del proletariato, non deve perdere di vista neppure per un istante il nostro scopo finale, deve propagandare sempre, difendere dalle deformazioni e sviluppare l'ideologia proletaria: la dottrina del socialismo scientifico, cioè il marxismo. Dobbiamo lottare instancabilmente contro, ogni ideologia borghese, per quanto moderne e scintillanti siano le uniformi che indossa".(6)
Dunque della propaganda i marxisti-leninisti non possono fare a meno in ogni fase della lotta di classe, se vogliono contendere alla borghesia quell'egemonia ideologica che essa si assicura grazie a una sovrastruttura, mai stata nella storia così estesa, articolata e onnipresente, rappresentata dalle sue istituzioni politiche, giuridiche, culturali, educative e di vario genere nonché dalla sua concezione del mondo fatta di opinioni politiche, giuridiche, religiose, artistiche e filosofiche della società, che peraltro tenderebbero per inerzia, in assenza di lotta ideologica attiva, a perpetuarsi sull'onda di tradizioni e consuetudini secolari. Borghesia e proletariato sono i due opposti dell'antagonismo sociale ma, come spiega la dialettica materialista, tra gli opposti esiste anche identità: "In ragione del fatto che la loro esistenza è reciprocamente condizionata".(7)
Ciascuno esercita un'influenza sull'altro e ne subisce a sua volta. Senza propaganda marxista-leninista avrebbe campo libero nella società e nell'opinione pubblica la macchina da guerra ideologica borghese e il proletariato sarebbe irrimediabilmente condannato alla subalternità storica e politica nei confronti della borghesia. E quando, come oggi, si tratta di conquistare al socialismo la parte più avanzata del proletariato, la propaganda occupa il primo posto rispetto all'agitazione e all'organizzazione. "Il compito dei nostri compagni che svolgono il lavoro di propaganda - spiega Mao - è diffondere il marxismo. È un lavoro che va fatto a gradi e in modo efficace perché la gente lo possa accettare volentieri. Non si può far accettare il marxismo con la forza, ma solo con la persuasione".(8)
Noi sappiamo che non potremmo rovesciare la borghesia al potere senza la rivoluzione socialista, che è fondamentalmente un atto di forza, ma mai ci sogneremmo di usare la forza per imporre le nostre idee. Le nostre idee sono giuste, e tuttavia per i nostri interlocutori possono essere solo o convincenti o non convincenti. Per poter sviluppare e vincere la rivoluzione socialista i marxisti-leninisti devono svolgere un lavoro scientifico e sistematico per convincere quella parte del popolo che sarà protagonista e forza motrice di tale rivolgimento, e cioè il proletariato e le sue classi alleate, e assicurarsi simpatie o quantomeno neutralità tra le classi intermedie.
Quest'opera di convincimento attraverso i diversi mezzi di comunicazione si chiama propaganda, è ciò che noi definiamo arte della propaganda. E la definiamo arte perché vogliamo sottolineare che è un'attività complessa e difficile, non si riduce a una semplice trasmissione di contenuti sempre uguali e indipendenti dai media usati, come se fossero delle formulette, (che si tratti di un volantino o di un manifesto, di un discorso o di un articolo, dell'intervento a un blog o a un dibattito televisivo) ma pretende che tali contenuti siano conosciuti in profondità e siano attualizzati e calati nella realtà e nella congiuntura in cui operiamo, siano adattati al mezzo di comunicazione, non calino dall'alto ma scaturiscano dalla realtà che ci circonda e come tali siano riconosciuti e scoperti dalle masse a cui ci rivolgiamo.
È quello che Mao chiama "ricercare la verità nei fatti. I 'fatti' sono tutte le cose che esistono obiettivamente, la 'verità' consiste nei loro rapporti interni, ossia nelle leggi che le regolano, e 'ricercare' significa studiare. Dobbiamo partire dalle condizioni reali esistenti all'interno e fuori del paese, della provincia, del distretto e del circondario, e trarne come guida per l'azione le leggi ad esse inerenti, e non leggi immaginarie, ossia dobbiamo trovare i rapporti interni degli avvenimenti che si svolgono intorno a noi. Per far questo, non dobbiamo affidarci all'immaginazione soggettiva, al momentaneo entusiasmo o alla conoscenza libresca, ma ai fatti obiettivamente esistenti; dobbiamo raccogliere minuziosamente il materiale e, guidati dai principi generali del marxismo-leninismo, trarne giuste conclusioni. Un simile atteggiamento è basato sul desiderio di cercare la verità nei fatti e non sul desiderio di piacere al pubblico recitando belle frasi. Un tale atteggiamento è l'espressione dello spirito di partito, dello stile di lavoro marxista-leninista che unisce la teoria alla pratica. È il minimo che si possa chiedere ad un comunista".(9) E invece talvolta siamo bravi a ripetere frasi generiche ma non siamo in grado di ricercare la verità nei fatti, unicamente perché siamo estranei ai fatti e alla realtà che ci circonda. O peggio ci troviamo davanti a interpretazioni personali e strumentali del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e all'applicazione della linea del Partito che ondeggia ora a destra, nell'opportunismo riformista e revisionista, ora a sinistra, nell'"ultrasinistrismo" pessimista e velleitario.
Conoscere bene i contenuti che vogliamo trasmettere è solo una precondizione, senza la quale ci ridurremmo a veicolare le idee altrui non le nostre. Si conosce la linea del PMLI solo quando la sappiamo applicare, e ce ne sappiamo servire nella nostra attività di propaganda. Studiare il marxismo-leninismo e la linea del Partito significa imparare, ma non c'è miglior modo per imparare che applicarli nella lotta di classe, che sia la stesura di un volantino o di un articolo, la partecipazione a una manifestazione o a un'assemblea. Imparare agendo e agire imparando, questa è la strada che ci conduce ai massimi gradi della conoscenza. E ciò è vero sia quando la nostra attività ha connotazioni più spiccatamente pratiche, sia quando sembra impegnarci prevalentemente dal punto di vista intellettuale e teorico. Non si impara a scrivere un buon articolo limitandosi a conoscere la grammatica della lingua e i trattati sulla scrittura: no, il miglior modo di imparare a scrivere è scrivendo.

QUATTRO CONDIZIONI PER UN BUON LAVORO DI PROPAGANDA

Per svolgere un buon lavoro di propaganda occorrono quattro condizioni:
1 Conoscere approfonditamente la linea del Partito e saperla ben applicare;
2. Conoscere bene la situazione in cui operiamo e le tematiche che trattiamo ma anche su quali tasti batte la propaganda dei nostri amici e dei nostri nemici e quali le loro tesi e argomentazioni;
3. Conoscere bene le masse a cui ci rivolgiamo così da instaurare con loro un rapporto dialettico e paritario;
4. Padroneggiare le tecniche e i linguaggi dei diversi media per essere in grado di ben formulare i contenuti della nostra linea politica in modi efficaci e convincenti.
Dalla giusta combinazione di questi quattro ingredienti scaturisce il successo del nostro lavoro di propaganda.
Per essere riconosciuti dal proletariato come il suo partito, non basta affermarlo a parole, occorre piuttosto che il proletariato si convinca di questa verità riconoscendoci ogni volta la capacità di individuare e rappresentare al meglio i suoi interessi di classe immediati e a lungo termine e di indicare la via per meglio difenderli. Quando sviluppiamo il nostro lavoro di propaganda dobbiamo sempre metterci nei panni dei nostri lettori e interlocutori, conoscere anzitutto le loro esigenze e problematiche e di conseguenza sviluppare un ragionamento che sciolga i loro dubbi e sia per loro utile per convincerli delle nostre analisi e indicazioni. Se non si tiene in giusta considerazione il pubblico a cui ci rivolgiamo il nostro si ridurrà a un monologo sterile e non potrà mai trasformarsi in un dialogo fecondo in grado di aiutarlo a maturare e a convincersi dialetticamente della bontà della nostra linea.
"I comunisti che vogliono veramente fare la propaganda - spiega Mao - devono tener conto del pubblico, pensare a chi leggerà i loro articoli... e a chi ascolterà i loro discorsi e le loro parole; altrimenti, vuol dire che hanno deciso di non essere letti e ascoltati da chicchessia. ... I nostri propagandisti non approderanno a nulla se penseranno a chiacchierare invece di compiere un'indagine, invece di studiare e analizzare il pubblico a cui ci rivolgiamo".10) Evitando tanto il codismo quanto l'avventurismo dobbiamo essere capaci di parlare efficacemente a tutti gli strati del proletariato e delle masse popolari in modo da essere da loro capiti, anche se la maggior parte delle nostre idee finiranno per essere pienamente assimilate e condivise solo dagli strati più avanzati e combattivi.
Come il contadino sparge nel solco una quantità di semi assai superiore alle piantine che poi germoglieranno e diverrano adulte, così quanto più ricca, qualificata e argomentata sarà la nostra propaganda tanto più facilmente raggiungeremo un numero più alto di interlocutori in grado di rimanerne più o meno convinti. Cadremmo nel codismo se abbassassimo i contenuti della nostra propaganda al livello della parte più arretrata senza essere di stimolo e punto di riferimento e senza soddisfare le esigenze della parte più avanzata, e peccheremmo di avventurismo o settarismo se parlassimo solo all'avanguardia, restringessimo i nostri interlocutori a un piccolo numero e risultassimo estranei e oscuri alla maggioranza.
Il nostro successo passerà innanzitutto dalla conquista alla causa del socialismo degli elementi più avanzati che agiscono in ogni fabbrica, campagna, scuola e università, movimento di lotta, luogo di lavoro e di vita. Indipendentemente dai diversi livelli medi di coscienza ivi presenti, gli elementi più avanzati sono quei leader naturali e riconosciuti per combattività, coerenza, capacità e maturità politiche. A loro vanno dedicate le maggiori attenzioni e cure perché sono loro il punto di appoggio che ci permetterà di rovesciare il mondo, quel fulcro su cui far leva per allargare l'influenza del Partito all'interno della Cgil, in particolare nella Fiom, del movimento sindacale, dei movimenti di lotta e dei luoghi di lavoro e di vita delle masse e spalancargli le porte non solo della propaganda ma anche dell'agitazione e dell'organizzazione. Riusciremo a conquistarli se li convinceremo che abbiamo sì un'eccellente linea di massa ma soprattutto una vittoriosa strategia generale per rovesciare il capitalismo e per conquistare l'Italia unita, rossa e socialista.

USARE LO STESSO LINGUAGGIO DELLE MASSE

È fondamentale esprimere corretti contenuti ma se li vestiremo con un linguaggio oscuro, incomprensibile e inappropriato tali contenuti passeranno sopra la testa delle masse e non potranno essere neppure presi in considerazione e condivisi. Sappiamo con Lenin che "La lingua è il mezzo più importante di comunicazione umana" e quantunque, come avverte brillantemente Stalin, essa non sia una sovrastruttura né abbia di per sé un carattere di classe, tutte le classi sfruttatrici e la borghesia in particolare inquinano la comune lingua nazionale col loro lessico mercantilistico di sfruttatori assetati di profitto e la influenzano imponendo le loro parole ed espressioni e i relativi significati. Molte parole ed espressioni di uso comune non risultano neutre ma si portano impressa a fuoco l'impronta di classe che le ha originate. Guai ad assorbire acriticamente e a ripetere pappagallescamente il lessico della borghesia che trasuda disprezzo classista e prevaricazione delle masse, specie rilanciando e accreditando le formule e formulette con cui la borghesia ci bombarda quotidianamente. Limitiamoci a due soli esempi per tutti.
Cominciamo dal famigerato e abusato termine inglese spending review, sulla bocca di tutti i governanti e gli amministratori locali, tra cui si è distinto il tecnocrate liberista borghese Monti, quando annunciano e giustificano tagli e ancora tagli alla spesa sociale e ai redditi delle masse. Ecco una parola inglese - letteralmente significa revisione della spesa - da evitare come la peste: è stata introdotta non perché mancasse in italiano una parola con lo stesso significato ma allo scopo di sostituire alla parola italiana taglio ovvero macelleria sociale, che ha un'evidente e riconosciuta accezione negativa, una locuzione inglese incomprensibile ai più e soprattutto più accattivante, una pallottola inzuccherata sparata contro il popolo, che nobilita quella politica antipopolare spacciandola come una salutare revisione volta a ottimizzare spese e risorse e la assimila a una sorta di proiezione su scala nazionale della contabilità aziendale attuata da ragionierini dell'alta finanza e del grande capitale modello Monti e Tremonti.
Noi non siamo pregiudizialmente contrari a parole importate da altre lingue, ove siano debitamente spiegate ai nostri interlocutori, perché sappiamo che le lingue si sono sempre reciprocamente contaminate. Ma mai ci lasceremo contaminare da questo tipo di veleno padronale.
Un secondo esempio, oggi meno controverso ma non per questo meno educativo, ci può venire da un'altra definizione, "società dei consumi", che è stata a lungo di moda nella destra come nella "sinistra" borghese, benché risulti oggi usurata e denudata del suo significato macroscopicamente falso e fuorviante dai colpi di maglio della crisi economica capitalistica che provoca invece un inarrestabile crollo dei consumi. Chi l'ha coniata e la usa lascia intendere che l'attuale si configurerebbe come una società dell'opulenza e della illimitata capacità di consumo per l'intera popolazione, mentre ciò vale solo per una minoranza contrapposta a una fetta sempre più ampia di popolazione che vede drasticamente ridurre o azzerare i consumi in tempi di crisi e si sente minacciata nei suoi bisogni più elementari e primari per la stessa sopravvivenza; lascia intendere che l'aspetto cruciale si sarebbe spostato dalla sfera della produzione delle merci a quella del loro consumo, cosicché alla divisione in classi tra sfruttati e sfruttatori si sostituirebbe una massa indistinta di consumatori.
Noi marxisti-leninisti dobbiamo parlare lo stesso linguaggio delle masse, che è fresco, diretto ed essenziale e rifuggire dal lessico della borghesia che ricorre per lo più a un lessico forbito e a un gergo riservato agli addetti ai lavori, astruso e ingannevole, esprimerci in modo chiaro e semplice, vivace e dialogante bandendo schematismi e pedanteria, esposizioni eccessivamente lunghe e noiose, quel bla bla insopportabile quando abbiamo esaurito ogni argomento. Questo raccomandava instancabilmente Mao: "Il lessico della lingua popolare è molto ricco e vivo, riflette la vita reale. Molti di noi non hanno imparato bene la lingua, per cui i nostri articoli e i nostri discorsi contengono poche frasi vive, precise, vigorose".(11)

ADATTARE LA FORMA DELLA PROPAGANDA AI MEZZI DI COMUNICAZIONE

Abbiamo detto e ribadito che occorre adattare la forma della propaganda marxista-leninista ai diversi mezzi di comunicazione scelti, una questione non da poco né secondaria. Si pensi all'importanza di un cartello quando partecipiamo a una manifestazione o di un manifesto quando organizziamo una campagna di propaganda su scala nazionale o locale. Per non annoiarvi ed evitare di parlare a vuoto prendiamo due esempi chiarificatori, e precisamente due manifesti realizzati di recente, uno in ambito locale, l'altro dal Centro su scala nazionale. Molti di voi li conoscono bene perché sono presenti nella home page del sito centrale www.pmli.it. Mi riferisco al manifesto realizzato dal Comitato lombardo e portato appositamente in piazza durante la manifestazione svoltasi a Milano lo scorso 15 giugno, e al manifesto centrale "Opponiamoci al governo Letta-Berlusconi...".
Si tratta di due manifesti modello, il che non significa che non potrebbero essere ulteriormente migliorati ma semplicemente che sono un esempio da seguire e su cui riflettere. Il successo che gli hanno decretato le masse poggia su una base solida: giacché essi rappresentano al meglio i loro sentimenti, aspettative e rivendicazioni. Ambedue fanno leva su due immagini potenti ed evocative che catturano l'attenzione dei nostri interlocutori, al punto che il centro focale dei manifesti è rappresentato da queste immagini che occupano circa la metà del manifesto. Il primo con l'immagine tratta dall'iconografia sovietica e terzainternazionalista che identifica i migranti di oggi con le vittime della tratta degli schiavi mentre rompono coraggiosamente le catene della schiavitù; il secondo col fotomontaggio originale magnificamente realizzato da un nostro storico compagno grafico che denuda la natura politica dell'attuale governo, con il nuovo Mussolini che, fiero e gongolante di aver tutto, e insieme tronfio, sembra incoraggiare e proteggere il nuovo gerarca Letta. In ambedue i casi queste fulminanti immagini sono accompagnate da altrettanto fulminanti slogan. Uno slogan principale, che va dritto al cuore del problema, arricchito da uno o più slogan di contorno.
Se noi avessimo vestito quegli stessi contenuti in forme non altrettanto efficaci, avremmo scagliato la freccia senza colpire il bersaglio. Ecco che cosa intendiamo per adattare la propaganda al mezzo di comunicazione. Elaborare un manifesto non è lo stesso che redigere un volantino, preparare un discorso o scrivere un articolo.

IL BOLSCEVICO E I CORRISPONDENTI OPERAI

Per la sua storia e il suo ruolo nella lotta di classe e nella conquista dell'Italia unita, rossa e socialista, Il Bolscevico, cartaceo o nel solo formato pdf se ci mancassero le adeguate risorse economiche, è un grande giornale marxista-leninista ma diventerà anche nei fatti, e non solo nei principi e nella sua linea politica, un grande giornale del proletariato quando sarà riconosciuto come tale, dopo essere diventato la vivace piattaforma di una capillare e rappresentativa Rete di corrispondenti operai e anche studenteschi e locali in grado di calamitare, raccogliere e diffondere la voce del proletariato, degli studenti e delle masse popolari che nel capitalismo non hanno voce. Ecco la Rete di cui abbiamo urgente bisogno, e a cui vogliamo dedicare tutte le nostre energie per farla crescere e farla pulsare lungo tutta la penisola.
In occasione della celebrazione pubblica del 40° Anniversario de Il Bolscevico lanciammo questo appello: "Aiutateci, scrivendolo insieme a noi. L'informazione borghese è monopolio di una casta ed è manipolata da professionisti dell'informazione che appartengono alla borghesia e, consapevoli o meno, sono impregnati dalla concezione borghese della vita. L'informazione proletaria capovolge il rapporto asimmetrico tra lettori e giornalisti: sono il proletariato in prima persona e gli stessi protagonisti degli avvenimenti e della lotta di classe a rappresentare le fonti e gli autori delle notizie, notizie che acquistano il massimo della credibilità se vengono raccontate dall'interno, piuttosto che da osservatori esterni. Ecco perché Il Bolscevico ha bisogno di decine e centinaia di Penne rosse tra gli operai, gli studenti, le masse popolari, che scrivano delle loro iniziative e battaglie, della loro vita e rivendicazioni, dei loro dubbi e speranze. E ha bisogno di molti esperti rossi specie tra gli intellettuali rivoluzionari, che siano in grado di tener testa in ogni campo alle teste d'uovo della borghesia, abbiano le competenze necessarie per smascherare tutti gli inganni del capitalismo e sappiano far valere gli interessi del proletariato e del socialismo".(12)
I corrispondenti operai ci aiuteranno a convincere il proletariato che il nostro è il suo giornale, il giornale in cui si rispecchiano pienamente gli operai più avanzati, lo strenuo e acuto combattente in difesa dei suoi interessi immediati e a lungo termine e il più implacabile e devastante accusatore della borghesia e della barbarie capitalista. Noi sappiamo quanto Lenin, in particolare, ritenesse decisivo il ruolo dei corrispondenti operai non solo per la stampa dei lavoratori ma per la loro organizzazione e per le sorti della rivoluzione. Ancora una volta Stalin ha il dono di trattare la questione in modo chiaro ed esauriente. Ed è per noi facile adattare le sue parole alla nostra situazione. "L'importanza della partecipazione degli operai alla direzione del giornale - scrive Stalin - consiste anzitutto nel fatto che questa partecipazione crea la possibilità di trasformare un'arma tanto efficace della lotta di classe, qual è il giornale, da strumento di asservimento del popolo in strumento di liberazione. Soltanto i corrispondenti operai e contadini possono operare questa grande trasformazione.
Soltanto come forza organizzata, i corrispondenti operai e contadini possono adempiere, nel processo di sviluppo della stampa, la funzione di portavoce e interpreti dell'opinione pubblica proletaria, denunciare le deficienze della vita pubblica sovietica, combattere senza tregua per il miglioramento della nostra edificazione.
(...) I corrispondenti operai e contadini non possono essere considerati soltanto come dei futuri giornalisti o come attivisti di organizzazioni sociali nell'officina, nel senso ristretto della parola: essi sono soprattutto quelli che denunciano le deficienze della nostra vita pubblica sovietica, essi combattono per eliminare queste deficienze, essi sono coloro che dirigono l'opinione pubblica proletaria, che cercano di convogliare le inesauribili forze di questo grandissimo fattore per venire in aiuto al partito e al potere sovietico nell'ardua opera dell'edificazione socialista.
Di qui deriva anche il problema del lavoro educativo fra i corrispondenti operai e contadini. È senza dubbio necessario insegnare ai corrispondenti operai e contadini un minimo di nozioni tecniche sull'arte del giornalismo. Ma questo non è l'essenziale. L'essenziale è che i corrispondenti operai e contadini imparino nel corso del proprio lavoro a sviluppare in se stessi quel fiuto da giornalista-attivista sociale, senza il quale un corrispondente non può adempiere la propria missione e che non può essere inculcato con nessun mezzo artificioso di insegnamento, nel senso tecnico della parola"
.(13)
Noi li chiamiamo a scrivere Il Bolscevico insieme a noi, senza sentirsi intimoriti o secondi a nessuna "testa d'uovo" fabbricata dalla borghesia. Frequentino l'università della lotta di classe e del lavoro giornalistico e si laureeranno teste pensanti del proletariato, saranno i rappresentanti di un nuovo tipo di intellettuali, gli intellettuali del proletariato. Seguano l'esempio del compagno Emanuele Sala, che appena tredicenne fu costretto ad abbandonare la scuola per lavorare come apprendista operaio e tuttavia non ha mai smesso di imparare e insegnare alla scuola del Partito e del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, non si è fermato davanti a nessun ostacolo, anche l'ultimo che lo sta privando della vista così preziosa, e in questa sede lo scorso anno tenne un'educativa lezione su: "Mao e il ruolo della classe operaia nella lotta di classe".

SCAGLIARE LA FRECCIA PER COLPIRE IL BERSAGLIO

Ciò che abbiamo raccomandato per la propaganda in generale, vale a maggior ragione per il lavoro giornalistico. Per svolgere un buon lavoro giornalistico occorre anzitutto individuare bene i bersagli e in secondo luogo saper scagliare la freccia per centrarli. Sbagliare i bersagli da colpire o non centrarli equivale a lavorare a vuoto, altrettanto sbagliato è concentrare il fuoco su bersagli secondari e non sui principali. I bersagli principali sono una diretta conseguenza della corretta individuazione del nemico principale e più pericoloso. Ed è facile capire che alcuni bersagli occupano permanentemente per loro natura il posto di bersagli principali per la Redazione centrale, le redazioni e i corrispondenti locali, i corrispondenti operai o quelli interni a un movimento di lotta. Si tratta rispettivamente del governo centrale in carica, delle amministrazioni locali, del padrone e della direzione aziendale, della "controparte" che si oppone alle rivendicazioni indicate dalla lotta. Ma dobbiamo essere sempre pronti a spostare il nostro fuoco sui nuovi bersagli principali che si impongono col rapido mutare delle congiunture e delle condizioni della lotta di classe e per replicare colpo su colpo alle campagne di stampa borghesi, che sono opposte alle nostre eppure "si compenetrano, si permeano reciprocamente, sono interdipendenti".(14)
Saper scagliare la freccia per centrarli significa scrivere articoli ben argomentati, chiari e convincenti, che analizzino approfonditamente le contraddizioni insite nella realtà per poi portarle a sintesi, controbattano alle obiezioni rivolteci dal nemico e insieme sappiano dare risposte alle riserve e ai dubbi, anche inespressi, che frenano le masse.
Un articolo ben fatto non sputa sentenze ma aiuta a ragionare. È tanto sprezzante e caustico col nemico quanto dialettico e rispettoso verso le masse. Verrà letto avidamente se aiuta il lettore a districarsi nella complessità del tema trattato e lo aiuta a capire quelle verità che gli erano sfuggite o aveva appena intuito, altrimenti verrà gettato in un cantuccio o letto male e frettolosamente. "Un articolo o un discorso, se è importante e indica una direzione da seguire - spiega Mao -, pone sempre un problema, lo analizza, poi procede a una sintesi, al fine di mostrare la natura di questo problema e la maniera per risolverlo".(15) Raramente richiede più di seimila caratteri per porre il problema, analizzarlo, mostrarne la natura e la maniera per risolverlo. Il più delle volte possono bastarne millecinquecento o tremila perché va considerato come un boccone, più o meno gustoso, e non l'intero pranzo costituito dal giornale nel suo complesso. Diversamente diventa un saggio e perde il carattere dell'articolo.
È l'ora di farla finita con l'idea che l'importanza di un articolo si misura dalla sua lunghezza, una sciocchezza che induce ad allungare il brodo anche quando non c'è più niente da dire, a "pestare l'acqua nel mortaio". Quando scriviamo mettiamoci sempre nei panni del lettore, specie degli operai e dei lavoratori, che legge ed è attratto anzitutto dagli articoli che vanno subito al cuore del problema e non si dilungano noiosamente su questioni marginali. Ogni parola e frase in più fanno perdere tempo a chi scrive e a chi legge e rubano spazio ad altri articoli che aspettano di essere pubblicati, quindi sono giustificati solo se sono davvero necessari a migliorare la comprensibilità, e non alla vanità, sia pure inconsapevole di chi scrive. Ancora una volta ci vengono in aiuto queste preziose parole di Mao: "Se gli articoli sono interminabili e privi di contenuti, le masse al primo sguardo scrolleranno il capo; come potrebbero aver voglia di leggerli? ... Ma se gli articoli lunghi e vuoti non vanno bene, gli articoli corti e vuoti son forse migliori? Naturalmente, no. ... Se è vero che in tempo di guerra abbiamo bisogno di articoli corti, è anche vero che abbiamo bisogno soprattutto di sostanza. Gli articoli privi di contenuto sono assolutamente inammissibili e meritano la più recisa condanna. Questo è valido anche per i discorsi: bisogna farla finita con gli sproloqui".(16)


Compagne e compagni, amiche e amici,
noi marxisti-leninisti non ci arrendiamo né ci consoliamo all'idea di un paradiso rimandato nel futuro improbabile del regno dei cieli. No, noi vogliamo e possiamo realizzare il paradiso su questa terra cancellando lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e portando al potere il proletariato e il socialismo. Rovesceremo la borghesia anche se essa è economicamente ricca e potente mentre il PMLI è povero, come povero è il nostro popolo, immensamente povero, al punto da avere in questa povertà economica il principale ostacolo che rallenta il suo sviluppo.
Noi marxisti-leninisti siamo fatti di una pasta speciale e non ci lasciamo intimorire dalle difficoltà che si frappongono alla realizzazione di questo grandioso compito storico né sopraffare dai nostri limiti e inadeguatezze. Se persino Mao, che ha rovesciato cielo e terra, ha liberato e rimesso in piedi il popolo cinese portandolo al potere sotto la direzione della classe operaia, se persino lui confessava: "in me c'è un po' di tigre, ed era l'aspetto principale, e un po' di scimmia, che è l'aspetto secondario"(17); perché mai dovremmo abbatterci noi marxisti-leninisti italiani quando non ci sentiamo all'altezza dei compiti che ci aspettano? Basta non smettere mai di correggere quella parte di scimmia che è in tutti noi e far sì che prevalga sempre l'aspetto principale rappresentato dalla tigre.
Vogliamo e possiamo "fare del PMLI - scrive acutamente il compagno Scuderi nell'editoriale per il 36° Anniversario della fondazione - un Gigante Rosso anche nel corpo, coscienti che la lotta di classe contro il capitalismo e per il socialismo ha assolutamente bisogno di un forte e radicato Partito, unito, compatto, centralizzato, in cui vige il centralismo democratico, la critica e l'autocritica, la lotta contro ogni manifestazione di revisionismo, di riformismo, di parlamentarismo e di pacifismo".(18) Il nostro è il partito del proletariato dove esistono il massimo di democrazia e il massimo di unità e non c'è posto, come accade nei partiti borghesi, per le correnti e i "regni indipendenti" di capi e capetti malati di individualismo e intellettualismo, di errate interpretazioni e applicazioni del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, di carrierismo e ambizioni politiche personali, che spalancano le porte al frazionismo e all'opportunismo di ogni tipo.
Vogliamo e possiamo unire finalmente il proletariato italiano intorno al suo partito di classe, quel partito che lo renderà artefice del solo Rinascimento possibile, quello del socialismo, per strappare l'Italia alla barbarie del Medioevo in cui la borghesia e il capitalismo la stanno ricacciando.
Vogliamo e possiamo opporci e mandare a casa il governo Letta-Berlusconi, che procede a tappe forzate nella controriforma anche della prima parte della Costituzione e nell'ufficializzazione del regime neofascista, presidenzialista e federalista.
Vogliamo e possiamo conquistare l'Italia unita, rossa e socialista.
Con Mao, per sempre, contro il capitalismo per il socialismo!
Tutto per il PMLI, per il proletariato e il socialismo!
Con i Maestri e col PMLI vinceremo!

 
NOTE
1) Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, 3 marzo 1913, Opere complete, vol. 19, pag. 9, Editori riuniti
2) Intervista a Marx del 18 dicembre 1878, apparsa su "The Chicago Tribune" il 5 gennaio 1879, sta in "Colloqui con Marx ed Engels", a cura di H. M. Enzensberger, Einaudi, Torino 1977, pag. 396
3) Giovanni Scuderi, "Avanti con forza e fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista" Rapporto al 5° Congresso nazionale del PMLI, 6-8 dicembre 2008, Documenti, pag. 41
4) Bilancio della storia del PCI. È finito un inganno durato 70 anni La storia del proletariato italiano non finisce con la liquidazione del PCI ma continua col PMLI, Documento del CC del PMLI del 21 gennaio 1991, pubblicato su Il Bolscevico n. 3/1991
5) Lenin, L'"estremismo" malattia infantile del comunismo, aprile-maggio 1920, Opere complete, vol. 31, pag. 83, Editori riuniti
6) Lenin, L'agitazione politica e il "punto di vista di classe", 1° febbraio 1902, Opere complete, vol. 5, pag. 315-316, Editori riuniti
7) Mao, Sulla contraddizione, agosto 1937, Opere scelte, Ed. in lingue estere Pechino, vol.1, pag. 357
8) Mao, Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito Comunista Cinese, 12 marzo 1957, Ed. in lingue estere Pechino, 1968, pag. 4
9) Mao, Riformiamo il nostro studio, maggio 1941, Opere scelte, Ed. in lingue estere Pechino, vol.3, pag. 19
10) Mao, Contro lo stile stereotipato nel Partito, 8 febbraio 1942, Opere scelte, Ed. in lingue estere Pechino, vol. 3, pag. 55
11) Mao, Ibidem, pag. 56
12) Mino Pasca, Aiutateci a migliorare e a rafforzare ancor di più "Il Bolscevico", 13 dicembre 2009, "Il Bolscevico" n.46 / 2009 pag. 2
13) Stalin, "I corrispondenti operai", giugno 1924 - Opere, vol. 6, pag. 316, Edizioni Rinascita
14) Mao, Sulla contraddizione, agosto 1937, Opere scelte, Ed. in lingue estere Pechino, vol.3, pag. 356
15) Mao, Contro lo stile stereotipato nel Partito, 8 febbraio 1942, Opere scelte, Ed. in lingue estere Pechino, vol.3, pag. 58
16) Mao, Ibidem, pag. 52-53
17) Mao, Lettera a Jiang Qing, 8 luglio 1966, "Il Bolscevico" n. 20 / 2013, pag. 12
18) Giovanni Scuderi, Lottiamo per cambiare davvero l'Italia, 9 aprile 2013, "Il Bolscevico" n.15 / 2013 pag. 2

11 settembre 2013