Nei 30 paesi più industrializzati La crisi del capitalismo ha distrutto 14 milioni di posti di lavoro In Italia un giovane su due è precario La crisi economica e finanziaria del capitalismo in atto dal 2007 senza soluzione di continuità, la più grave degli ultimi 80 anni, ancora lontana dall'essere superata ha distrutto milioni di posti di lavoro, condannato alla disoccupazione e al precariato i giovani di cui una parte molto consistente né studia né lavora, ha reso molto difficile la ricerca del lavoro dopo averlo perso e ha creato e alimentato il fenomeno degli "scoraggiati", ossia di coloro che pur essendo in età lavorativa sono usciti dal "mercato del lavoro" e hanno smesso di cercare un'occupazione. È questa la dura, drammatica e inaccettabile realtà che emerge dal rapporto dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OCSE) cui fanno riferimento i 30 paesi più industrializzati del globo. Dove è segnalato su questo terreno un peggioramento drastico, macroscopico. Bastino, per incominciare, questi due dati per rendersene conto: i disoccupati a maggio del 2012 sono saliti a ben 48 milioni pari all'11,1 per cento della forza lavoro complessiva, 3,8% in più rispetto ad un minimo del 7,3% registrato nel marzo del 2008. Su questa escalation la crisi ha inciso in modo determinante: in appena quattro anni si sono persi, infatti, 14 milioni di posti di lavoro. I giovani disoccupati nell'area OCSE ammontano a 11,9 milioni. Un vero e proprio massacro sociale. Nella classifica stilata nel rapporto, per livelli più alti disoccupazione risultano in testa la Spagna (col 24,8%), il Portogallo (15,2%), l'Irlanda (14,6%). Subito dopo viene l'Italia che segna un 10,1% di senza lavoro ufficiali. Un dato questo cresciuto rapidamente (solo alcuni mesi fa era al 7,6%) e che aumenterà ancora in modo sensibile a causa delle recessione produttiva che proseguirà, è detto nel rapporto, anche nel 2013. Si veda, in questo ambito, l'impennata record di richiesta di cassa integrazione a zero ore che nei primi mesi di quest'anno hanno riguardato 500 mila lavoratori per un totale di mezzo miliardo di ore che ha comportato un taglio del reddito di 2 miliardi di euro, ovvero 4 mila euro per singolo lavoratore interessato. La crisi colpisce giovani e meno giovani. Ma sono i primi a pagare il conto più salato in termini di disoccupazione e di lavoro precario. Una vera e propria emergenza sociale cresciuta in modo esponenziale senza che sia stato fatto nulla per fermarla, attenuarla, risolverla. Tra il 2007 e oggi la disoccupazione giovanile è passata dal 21,6 al 36,2% rispetto al 16,1% dell'area OCSE e del 22,6% dell'area Ue, un salto mortale di 15 punti. C'è dell'altro. I giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano e non lavorano sono il 20%: peggio della Turchia e del Messico e una percentuale doppia rispetto a quella dei paesi europei più forti come Germania, Francia, Inghilterra. Altro dato estremamente negativo che pesa sulla condizione giovanile del nostro Paese, il lavoro precario. Dalle statistiche OCSE emerge che il 49,9% dei giovani italiani tra i 15 e 24 anni occupati hanno contratti temporanei, in aumento dal 46,7% del 2010 e dal 44,4% del 2009, contro una media OCSE del 25,3%. L'Italia è in fondo alla classifica dei paesi OCSE non solo per disoccupazione giovanile ma anche per disoccupazione di lungo periodo: solo il 50% di coloro che hanno perso il lavoro lo ritrovano nei 12 mesi successivi, per un altro 30% sono necessari due anni. Questo problema è in crescita sia per i giovani che per i più anziani (24-54 anni). Nello scorso anno il 51,9% dei disoccupati lo era da più di 12 mesi contro il 48,5% del 2010. La perdita del posto di lavoro e la difficoltà di ritrovarne un altro in tempi non biblici contribuiscono ad alimentare il fenomeno dei lavoratori scoraggiati, cioè di coloro che non ricercano più il lavoro e escono ufficialmente dalle file degli attivi. A questo proposito, già l'Istat aveva segnalato nell'aprile scorso, che nel 2011 la percentuale degli "inattivi" era salita all'11,6% delle persone in età lavorativa e di oltre tre volte la media europea. In questa "scelta" disperata c'è una evidente caduta di fiducia nel futuro. Le donne ne sono una parte considerevole. Sempre l'Istat indicava che se si aggiungessero gli "inattivi" ai disoccupati "ufficiali" i dati della disoccupazione apparirebbero assai più drammatici di quanto non siano. Le cifre peggiorerebbero ulteriormente se si aggiungesse la sotto-occupazione, per esempio chi lavora part-time, poche ore al giorno o pochi giorni alla settimana, non per scelta ma perché non trova di meglio. È proprio il caso di dire che nel capitalismo il lavoro è un diritto negato! Insufficienti e secondari i motivi evidenziati dall'OCSE per spiegare la maggiore incidenza della disoccupazione giovanile, che sono: "I nuovi arrivati nel mercato del lavoro mancano di esperienza"; inoltre,"sono spesso occupati con contratti atipici" e quindi possono essere licenziati senza tante storie. Cosicché in tempi di crisi sono i primi ad essere messi fuori. Assolutamente non condivisibile il giudizio che il capo-economista dell'OCSE, Piercarlo Padoan, esprime sull'operato del governo Monti che andrebbe "nella giusta direzione". In particolare la "riforma" del "mercato del lavoro" che sarebbe finalizzata a "riequilibrare l'uso delle diverse forme contrattuali". Verso il precariato, aggiungiamo noi, a seguito della cancellazione, di fatto, dell'art. 18. Non è vero che la "riforma" Fornero porta a una "minore incidenza del lavoro temporaneo e della altre forme contrattuali atipiche". E c'è molto da dire sull'altro punto che porterebbe a una "estensione della copertura dell'indennità della disoccupazione a una platea più ampia". Intanto perché la nuova indennità di disoccupazione (Aspi) distribuisce un assegno assai più basso di quelli praticati in prevalenza in Europa, non ha un carattere universalistico e pone dei paletti difficili da superare proprio per i giovani precari. Senza dire che essa è stata istituita a seguito di una riduzione drastica degli "ammortizzatori sociali". Sulla politica economica del governo Monti, con un tratto dominante depressivo e recessivo, con ulteriori ricadute negative sull'occupazione, sulla "riforma" delle pensioni che con l'elevazione dell'età pensionabile a 70 anni ha bloccato verticalmente il turn-over e l'inserimento dei giovani nel lavoro, sulla recente manovra di spending review che taglia con l'accetta migliaia di posti di lavoro nella pubblica amministrazione, l'OCSE, o chi per essa, non ha nulla da dire? "Il lavoro è un diritto fondamentale inalienabile, - si legge nelle Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI - e come tale deve essere garantito a tutte e a tutti". La rivendicazione del lavoro a tutte e tutti, stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato deve essere messa al centro di un grande movimento di lotta che veda la classe operaia come asse e che coinvolga i disoccupati e gli studenti, i giovani e le donne, i precari e i cassintegrati, i migranti e i sottoccupati, insomma tutti coloro che sono le prime vittime della crisi capitalistica. Firenze, 18 luglio 2012 |