Effetto del governo Monti 5,5 milioni di disoccupati L'Istat trucca i dati Per l'Istat il 35,1% dei giovani è senza lavoro La crisi economica capitalistica, la più grave dal dopoguerra, le feroci politiche recessive messe in atto dal governo della grande finanza, della Ue e della macelleria sociale Monti, la controriforma liberista sulle pensioni della Marchionne in gonnella, Elsa Fornero, incidono in modo estremamente negativo sulla disoccupazione nel nostro Paese, giunta a livelli record. Già la fotografia che ne fa l'ISTAT è davvero impietosa, anche se i dati appaiono sottostimati. A partire dal dato complessivo dei disoccupati ufficiali iscritti al collocamento pari a 2 milioni e 774 mila, ovvero 554 mila in più rispetto a settembre del 2011 il livello più alto dal gennaio 2004, cioè da quando è iniziata la rilevazione dei dati mensili e addirittura dal 1992 quando le analisi erano sul trimestre. Sempre secondo questi dati, il tasso di disoccupazione sale al 10,8% a fronte dell'8,8% dell'anno scorso. È una situazione che peggiora velocemente: basti dire che in un solo mese, tra agosto e settembre, si sono persi 62 mila posti di lavoro. Di fatto, il sistema di calcolo della disoccupazione adottato dall'ISTAT, sottostima notevolmente il numero dei disoccupati in Italia, a tal punto da fare pensare ad un vero e proprio trucco a favore del governo Monti. Infatti, la popolazione realmente disoccupata è da considerarsi pari alla somma dei disoccupati ufficiali e degli scoraggiati, cioè coloro che non cercano attivamente un lavoro, ma sono immediatamente disponibili a lavorare. La somma di queste due categorie fornisce la spaventosa cifra di 5,5 milioni di disoccupati, facendo salire il tasso di disoccupazione al 19,3%, quasi il doppio di quello ufficiale. Il prezzo più alto continuano a pagarlo i giovani. Secondo i dati ISTAT, la disoccupazione giovanile ha raggiunto la percentuale altissima del 35,1%, mentre la media europea non va oltre il 20%. Ciò vuol dire che un giovane su tre non ha lavoro e ha scarse possibilità di trovarne uno. Nel 2011 erano il 33,8% con una crescita dell'1,3%. Nello specifico, informa l'ISTAT, i giovani nella fascia di età tra 15 e 24 anni in cerca di lavoro sono 608.000, il 10%, un altro record negativo. Non c'è il dato disaggregato territorialmente, è tuttavia arcinoto che la maggior parte della disoccupazione giovanile è nel Mezzogiorno, dove schizza attorno al 50%. Le cifre, se si aggiungono al conteggio gli scoraggiati, devono necessariamente salire di molto. Probabilmente un termine di paragone potrebbe essere quel 50% di disoccupazione giovanile che si registra in Spagna. Diverso il discorso sul precariato, anch'esso vasto e abnorme che invece è distribuito su tutto il territorio nazionale con percentuali più alte nel Centro-Nord Italia. Le forze di lavoro nel nostro Paese, che secondo i dati ISTAT comprendono occupati e persone in cerca di occupazione, sono pari a 22.937.000 (il 56% della popolazione in età lavorativa) in diminuzione dello 0,2% rispetto ad agosto 2012, rappresentano una percentuale bassa rispetto alle media europea e in assoluto. Le forze di lavoro complessive, se si aggiungono le forze di lavoro potenziali, cioè tutti coloro che sono disponibili a lavorare entro due settimane, risultano pari a 28,5 milioni, per un tasso di attività del 62,2%. Comunque sia, l'obbiettivo posto dai nostri governanti in sede europea di portare il tetto degli occupati almeno al 70% pare oggi una chimera. Seconfo l'ISTAT l'aumento della disoccupazione è prevalentemente maschile, dovuta alla crisi industriale, siderurgia ed edilizia per fare due esempi, dove più forte è la presenza degli uomini diversamente dal terziario dove le donne sono in maggioranza. Non si considera, tuttavia l'esistenza dell'enorme bacino di lavoratrici, soprattutto meridionali, che sono state espulse dal "mercato del lavoro" e sono considerate inattive, anche se sarebbero disposte a lavorare. Tuttavia, persino l'ISTAT che tira la volata al governo Monti è costretta ad ammettere che anche i movimenti in ribasso sui tassi occupazionali sono dovuti in buona parte ai cosiddetti inattivi: una parte considerevole di questi che per varie ragioni, a partire dalla sfiducia, si erano ritirati dal "mercato del lavoro", ora vi sono tornati in cerca d lavoro, spinti dalle difficoltà crescenti ad affrontare le spese di base, prodotte dalla crisi e dalle politiche antisociali del governo. In ogni caso anche le rilevazioni ISTAT avrebbero potuto essere persino più negative se non si fosse registrata una crescita dell'occupazione in agricoltura del 10,1%, di cui 2,9% indipendenti. Non sembra però trattarsi di una crescita di lavoro stabile quella nelle campagne, dal momento che si riferisce al periodo tra aprile e giugno 2012 e sembra piuttosto riguardare i braccianti agricoli che a fine stagione tornano ad essere disoccupati. 7 novembre 2012 |