Lo dicono le ricerche statistiche Nel Mezzogiorno la disoccupazione vola alle stelle Il governo Berlusconi, le giunte e i consigli regionali non fanno nulla per fronteggiare una situazione da emergenza sociale Occorre un piano straordinario per il lavoro al sud Nelle otto regioni del Mezzogiorno, cioè Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, i dati assoluti e percentuali sulla disoccupazione ci parlano di un'economia in crollo. I disoccupati Gli occupati nel Mezzogiorno nel II trimestre (che comprende aprile, maggio e giugno 2010) sono 6.250.000 con una diminuzione dell'1,4% rispetto allo stesso periodo del 2009. Cioè, facendo un semplice conteggio, sono stati persi ben 88.000 posti di lavoro. Le persone in cerca di occupazione sono in totale 971.000, di cui 548.000 uomini e 423.000 donne, aumentando di ben 112.000 unità. Si tratta di una variazione enorme, la cui dimensione si può comprendere se la si rapporta alla analoga cifra del Nord che, anche esso in crisi, fa registrare un aumento di persone in cerca di occupazione di 115.000 unità, ma su una popolazione ben più ampia di quella del Mezzogiorno. Un altro dato pessimo è quello del tasso di disoccupazione, calcolato dividendo le persone ufficialmente in cerca di lavoro per le forze lavoro ( composte da occupati e disoccupati ufficiali). Quest'ultimo aumenta dall'11,9% di un anno prima al 13,4% e fa registrare una punta del 16,4% per le donne residenti al Sud. L'incapacità dell'economia meridionale, bloccata e soffocata da una miriade di ostacoli politici e sociali di lunga durata, di assorbire la forza-lavoro si trasforma in tragedia di vita per i giovani del Sud, sempre più stritolati dal lavoro nero, dalla disoccupazione, dalla povertà, dall'emigrazione. Basti considerare che nella fascia giovanile, che va dai 15 ai 24 anni (secondo la rilevazione ISTAT), la disoccupazione è cresciuta di 3,9% raggiungendo la spaventosa cifra del 39,3%. I dati ripartiti per sesso ci dicono che nel Mezzogiorno non lavorano il 38,6% dei ragazzi e ben il 40,3% delle giovani. Non vi è giunta regionale sia della destra o della "sinistra" borghese che abbia affrontato seriamente questo problema. La Sicilia del governatore Lombardo (MPA) ha la percentuale maggiore di disoccupati, pari al 15,1%, e questo nonostante migliaia di giovani abbiano scelto di emigrare. La regione è in emergenza disoccupazione e intorno al problema gli alleati governativi MPA e PD producono solo chiacchiere. Segue la martoriata Campania, passata dalle grinfie del PD Antonio Bassolino alle zanne del PDL Stefano Caldoro, dove il trend si conferma in crescita e raggiunge il 14,3%, con un aumento del 2,1%. La Puglia di Vendola (SEL) raggiunge il 13,4%. La Sardegna guidata dal PDL Ugo Cappellacci fa registrare un aumento del 2,3%, passando dall'11% al 13,3%. Ma è la Basilicata, guidata dal PD Vito De Filippo che passa dal 9,8% al 12,6% di disoccupazione, la regione che fa registrare il maggiore aumento nel corso di un anno. La Calabria passata dal PD Agazio Loiero al PDL Giuseppe Scopelliti, conferma il trend di disoccupazione in crescita che in un anno arriva all'11,6%; l'Abruzzo guidato dal PDL Gianni Chiodi passa dal 7,6% al 9,4%; il Molise, guidato da Michele Iorio del PDL, sale dall'8, all'8,3%. Secondo altre ricerche, la reale disoccupazione sarebbe molto più alta di quella rilevata dall'Istat. La Confederazione generale italiana artigianato (CGIA), che usa nuovi criteri di calcolo, afferma che il tasso di disoccupazione oltrepassa il 17%. La CGIA prende in considerazione l'indicatore del tasso di marginalità dal lavoro, inteso come sommatoria dei disoccupati e numero di persone che non cercano più attivamente un lavoro, in quanto sconfortati. Se non si considera questo insieme di potenziali lavoratori si sottostima la disoccupazione: basti considerare che in Campania con questo sistema di calcolo i disoccupati passano dal 14,3% della rilevazione ISTAT ad oltre il 20%. Si sovrappone poi quell'ampia fascia di inattivi. Nel Mezzogiorno sono ben 6.804.000, di cui 2.327.000 uomini e 4.477.000 donne. Il tasso di inattività è particolarmente elevato per le donne e raggiunge il 63,5%. I dati riguardanti gli occupati dipendenti a tempo parziale, ossia i precari, sono davvero allarmanti per il nostro Mezzogiorno: si tratta di 648.000 lavoratori privi di prospettive di stabilizzazione. Il dato è ancora più preoccupante alla luce del fatto che rispetto allo stesso periodo del 2009 questi lavoratori, soprattutto giovani, sono aumentati di 6.000 unità. L'incidenza sul numero dei dipendenti totali passa dal 13,8% al 14,2%. La disoccupazione nell'industria, nell'agricoltura e nel terziario Il settore che registra l'andamento peggiore è l'Industria in senso stretto, cioé l'insieme di attività manufatturiere, estrazione minerali, produzione e distribuzione di energia elettrica, acqua e gas. Qui il calo di dipendenti rispetto allo stesso periodo del 2010 è del 9,9% per i dipendenti e dell'8% per gli autonomi. Già il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), rilevava, in base ad un'indagine condotta nel 2009 che, nonostante nel Mezzogiorno l'industria abbia un peso minore che al Nord, le perdite di posti di lavoro si concentravano, in termini percentuali, soprattutto in quest'area del Paese perché qui, quasi metà degli occupati del settore, risultano impiegati in imprese fino a 10 dipendenti. La maggior diffusione di imprese molto piccole rende più fragile il sistema produttivo meridionale rispetto agli effetti della crisi, dato che le imprese più piccole hanno maggiori difficoltà di accesso al credito e hanno potuto ricorrere meno agli ammortizzatori sociali. L'agricoltura fa registrare un dato anomalo. I dipendenti aumentano del 15,1% nel II trimestre del 2010, mentre diminuiscono gli autonomi dell'1,6%. Il dato ovviamente non fa sperare in un aumento stabile del lavoro nel comparto agricolo, ma fa supporre, piuttosto, un maggiore sfruttamento del lavoro stagionale e a tempo determinato nel nostro Mezzogiorno. Probabilmente sono dati influenzati dall'impoverimento dei piccoli proprietari autonomi. I numeri dei fallimenti delle piccole imprese agricole situate al Sud sono da record. Per esempio, nel solo mese di febbraio 2010 sono state vendute alle aste giudiziarie 196 aziende nel tarantino e su settemila imprese, circa l'80% sono indebitate. Questo nella Puglia guidata da Vendola, ma non va meglio nella Sicilia guidata dalla coalizione MPA-PD, o nella Sardegna guidata dal PDL Ugo Cappellacci, dove i pastori sono praticamente insorti. Il terziario è un altro settore in cui vi è una contrazione del lavoro dipendente, con una perdita dell'1,3% di posti di lavoro. Sono dati ai quali vanno poi aggiunti i 50.000 posti di lavoro tagliati nella scuola meridionale, a partire da settembre. Il governo Berlusconi e la proposta del PMLI Ad inizio 2010, l'allora ministro dello sviluppo economico Scajola affermava "Il Sud è una priorità assoluta del governo, per questa ragione in questi mesi una task-force, da me coordinata su indicazione del Consiglio dei ministri, ha lavorato alacremente alla definizione del "Piano Berlusconi per il Sud". Nulla di concreto è ancora arrivato, anzi sono stati stornati i Fondi Aree Sottoutilizzate (FAS) per coprire altri tagli fatti dal governo, il governo ha sostanzialemente appoggiato la dismissione progressiva di industrie di levatura internazionale dal Sud, vedi la Fiat di Termini Imerese e ha fatto passare in maniera surrettizia la politica delle "gabbie salariali", appoggiando l'imposizione dello sciaguarato contratto antioperaio e antisindacale alla FIAT di Pomigliano, con un diktat che è divenuto il simbolo dell'arroganza del capitale e del governo Berlusconi nei confronti della masse lavoratrici meridionali. Il Sud non ha bisogno di "gabbie salariali", dell'abrogazione di diritti sindacali o di zone franche. Il Sud ha bisogno, in primo luogo di un piano politico per spazzare via le mafie istituzionali e non; di un piano straordinario urgente, incentrato sul rilancio del lavoro stabile a salario intero e sindacalmente tutelato per tutti i disoccupati, i precari e i lavoratori; della nazionalizzazione di tutto il gruppo Fiat; dell'assunzione di tutti i precari negli enti pubblici in cui prestano servizio; dell'assunzione di tutti i precari della scuola; di piani straordinari per l'avvio al lavoro stabile per tutti i giovani meridionali; dell'abrogazione di tutte le leggi sul federalismo costituzionale e fiscale; di interventi per creare una struttura economica simile a quella del Centro-Nord, attraverso piani straordinari e la destinazione di ingenti finanziamenti pubblici per lo sviluppo industriale, tecnologico e infrastrutturale, per il rilancio dell'agricoltura e del turismo, il risanamento del degrado ambientale, rurale e urbano; della piena applicazione dei regolamenti per la sicurezza sul lavoro; di piani straordinari urgenti di formazione professionale, per dare lavoro ai "soggetti più deboli". Le masse meridionali devono combattere per questi obbiettivi, ricordando che il rilancio economico del Mezzogiorno non può essere separato dalla lotta politica per liberarsi dal nuovo Mussolini, Berlusconi, che ha ridotto il Mezzogiorno a terra di disoccupazione, disperazione per i giovani, in preda al degrado ambientale, in mano alle cosche mafiose; ma in questa lotta bisogna anche tenere a mente che la Questione meridionale, essendo strutturale al capitalismo italiano, sarà risolta solo con la conquista dell'Italia unita, rossa e socialista. La Commissione del CC del PMLI per il Mezzogiorno 9 dicembre 2010 |