Piena sintonia tra Bankitalia e Confindustria Draghi, come Montezemolo, detta la linea al governo Il governatore di Bankitalia elogia il mercato, la concorrenza, la Bolkestein, la liberalizzazione del Tfr e dei fondi pensione, l'innalzamento dell'età pensionabile, la politica dei redditi, la "riforma" delle pensioni, la crescita della produttività, i contratti atipici, la flessibilità e la competizione tra scuole e tra università. Richiesta una manovra di 30 miliardi Prodi: "una relazione profondamente condivisibile" "L'Italia deve tornare a crescere", e affinché lo faccia occorre tagliare la spesa pubblica, incentivare la flessibilità, la produttività e la concorrenza, e tenere a freno i salari e le rivendicazioni sindacali con la politica dei redditi. Alla sua prima uscita pubblica con le "Considerazioni finali" lette il 31 maggio davanti al Gotha della politica, dell'imprenditoria e della finanza, il neo governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, non ha perso tempo nel dettare la ricetta che, per bocca di un suo autorevole rappresentante, il grande capitale finanziario internazionale suggerisce al nuovo governo di "centro-sinistra" guidato dall'economista democristiano Prodi. Un coro di osanna bipartisan, dal governo all'opposizione, dalla Confindustria ai sindacati, ha accolto la relazione di Draghi, che si muove perfettamente in sintonia con quella enunciata una settimana prima da Montezemolo all'assemblea annuale degli industriali a Verona, ma ha il vantaggio di provenire da una fonte nominalmente "superpartes" come Bankitalia, recentemente ripulita dall'equivoca gestione Fazio e affidata ad un economista di formazione manageriale e moderna, e che gode della fiducia dei mercati internazionali come Draghi. Sarà per questo che, pur andandoci giù pesante nel delineare la necessità e l'urgenza di una politica di "lacrime e sangue" (anche se dissimulata in un'esposizione da tutti lodata per l'"asciuttezza" di stampo anglosassone), la relazione di Draghi è passata come acqua fresca in platea e nei resoconti dei mass-media di regime, e in particolare quelli più vicini al governo e alla "sinistra" borghese, che non risparmiano i complimenti al governatore per il suo "liberismo soft" ("Liberazione" del 1º giugno, per esempio). E invece, nella sostanza, Draghi non ha certo fatto sconti nell'enumerare i nuovi sacrifici da imporre ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani e alle masse popolari, per risanare i conti pubblici e far "tornare a crescere" il paese. La cifra è già stabilita, 30 miliardi di euro: tale è per il governatore l'entità della "correzione", pari a due punti di prodotto, se si vuol ridurre il deficit nel 2007 al 2,8% del Pil. Come e quando reperire una così enorme massa finanziaria egli lo lascia decidere al governo. Ma intanto non gli lesina i "suggerimenti": "Per ricondurre i saldi della finanza pubblica su livelli che consentano una flessione prevedibile, continuativa e permanente del peso del debito vanno realizzati interventi strutturali che interessino le principali voci di spesa a tutti i livelli di governo", dice infatti Draghi, sottolineando a questo proposito che "è necessario frenare la spesa primaria corrente". E cioè, "accanto alla compressione delle spese di funzionamento dell'Amministrazione", sentenzia il governatore, vanno poste "due priorità ineludibili: affrontare il nodo dell'età media effettiva di pensionamento; responsabilizzare pienamente Regioni ed Enti locali nel controllo della spesa". Dunque la ricetta è chiara: mettere mano a una nuova "riforma" delle pensioni, alzando l'età pensionabile; tagliare ulteriormente le spese a Regioni, Province e Comuni, vale a dire a sanità, scuola, trasporti, servizi sociali, assistenza ecc. Della nuova "riforma" previdenziale dovrà far parte integrante, accanto all'innalzamento dell'età, anche la previdenza complementare, liberalizzando (leggi privatizzando), il Tfr e i fondi pensione. Per quanto riguarda invece l'"equità", per Draghi non servono particolari misure, se non incentivare al massimo il mercato, dal momento che, da buon ultraliberista, per lui "la concorrenza è il miglior agente di giustizia sociale". In questo quadro, anzi, egli si lamenta che il settore dei servizi sia ancora troppo poco liberalizzato, e che la direttiva Bolkestein sia stata a questo riguardo depotenziata, e perciò esorta il governo a ispirarsi comunque all'indirizzo originario della direttiva liberista europea. Per il governatore di Bankitalia la concorrenza e il mercato devono regnare sovrani in tutti i campi. Anche nella scuola, nelle università e nella ricerca, che se vogliono uscire dal profondo stato di depressione e arretratezza in cui versano devono affidarsi alla parola magica "competizione": competizione tra scuole e tra università e "nuove regole che premino il merito di docenti e ricercatori", questa è la ricetta di Draghi. Concorrenza, ma anche flessibilità del lavoro. Il neogovernatore difende infatti i contratti atipici, perché hanno permesso di abbattere la "rigidità in uscita". Chiede solo che si riduca l'eccessiva "segmentazione del mercato, stabilendo regole più uniformi, in base a cui il rapporto di lavoro acquisisca stabilità con il passare del tempo". La legge Biagi non si tocca, quindi. Semmai si potrà istituire "un'indennità di disoccupazione dignitosa e non distorsiva"; ovviamente "nel rispetto delle compatibilità di bilancio". Musica per le orecchie di Confindustria, che non ne vuol sapere di ritocchi (figuriamoci la cancellazione!) della legge 30 che ha liberalizzato al massimo il mercato del lavoro. Naturalmente Draghi sa benissimo che per attuare una simile politica di sacrifici, tagli e controriforme sociali, da una parte, e aumentare la produttività per far tornare a crescere il Pil, dall'altra, occorre fare i conti con l'oste, e cioè in questo caso la classe operaia e i lavoratori, sulle cui spalle dovrebbe ricadere tutto il peso di questa politica. Ma il modello c'è già: è la "concertazione" tra sindacati, imprenditori e governo, base della politica dei redditi tanto cara a Ciampi che la tenne a battesimo, e che Draghi rispolvera volentieri per l'occasione, invocando "strumenti di coordinamento nazionale della contrattazione salariale", per evitare andamenti delle "dinamiche retributive incompatibili con la stabilità dei prezzi". Non a caso ha omaggiato pubblicamente, strappando un'ovazione della sala, l'ex inquilino del Quirinale, presente in sala, suo maestro e protettore quand'era titolare del ministero del Tesoro, al tempo in cui a Draghi aveva affidato la gestione della prima e più imponente svendita delle aziende e dei beni dello Stato. Non c'è dunque da stupirsi se Montezemolo, a nome di tutti gli industriali, abbia espresso piena sintonia con la relazione del suo ex collega di studi al liceo dei gesuiti Massimo di Roma, "relazione che noi - ha sottolineato con enfasi - condividiamo dalla prima all'ultima parola, senza eccezioni". Quello che dovrebbe semmai stupire, e soprattutto allarmare, gli elettori che hanno votato l'Unione della "sinistra" borghese, ancor più se turandosi il naso, è il giudizio entusiastico del presidente del Consiglio, che ha definito quella di Draghi "una relazione profondamente condivisibile": Banca d'Italia (e grande finanza internazionale), Confindustria e governo, marciano dunque all'unisono per quanto riguarda il giudizio su come far uscire l'economia capitalistica italiana dalla stagnazione e dalla crisi e su chi dovrà pagarne le spese. Si aggiunga a contorno di ciò il balbettio dei sindacati, come Epifani, che ha sentito non si sa quale "aria nuova rispetto al passato" nella relazione di Draghi, anche se "ci sono passaggi su cui abbiamo un'opinione diversa, ad esempio sul tema dell'innalzamento dell'età previdenziale e sulla lotta alla precarietà". E il silenzio tombale del nuovo guardiano della Camera, Bertinotti, che pur assistendo impassibile in prima fila alla spietata relazione di Draghi, ha preferito svicolare a ogni richiesta di commento, trincerandosi dietro il riserbo che imporrebbe la sua nuova veste istituzionale. Che è diventata l'ignavo quanto comodo paravento dietro cui nasconde la sua ormai completa resa al capitalismo e allo Stato borghese. 7 giugno 2006 |