Ultima relazione prima di assumere la presidenza della banca centrale europea Draghi chiede un nuovo "patto sociale", più flessibilità, nuovi tagli alla spesa e una "manovra mirata" (di 40 miliardi in 3 anni) La presidente della Confindustria d'accordo al 100 per cento Il PD adotta la linea del governatore uscente di Bankitalia L'ultima relazione del governatore Mario Draghi all'assemblea annuale della Banca d'Italia, tenutasi il 31 maggio scorso, prima di assumere l'incarico di presidente della Banca centrale europea, è piaciuta molto a esponenti di primo piano del grande capitale, come Montezemolo, Elkann, De Benedetti e Galateri, ha mandato in solluchero il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, e ha trovato consensi aperti da parte dei politicanti borghesi, specie della "sinistra" borghese e di leader sindacali, come il segretario della CISL, Raffaele Bonanni, e il segretario della CGIL, Susanna Camusso. Un discorso, quello di Draghi, impegnativo e vasto nella sostanza, più politico che tecnico. Un vero e proprio programma economico e finanziario di governo. Magari per una futura compagine di "centro-sinistra", data l'impostazione della proposta caratterizzata da un neoliberismo-temperato. Visti i riferimenti in vario modo sottolineati: anzitutto l'ex governatore di Bankitalia, ex presidente del Consiglio e ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi protagonista del "patto sociale" del luglio 1993, e dell'ex ministro del Tesoro del governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa, recentemente deceduto. Al centro della sua relazione di 19 cartelle, Draghi ha posto il tema della crescita economica del Paese. Ha ricordato di averlo già posto nel 2006 al momento che assunse l'incarico e lo ripropone oggi al momento dell'addio perché è rimasto attuale e insoluto. Specie se messo a confronto con altri paesi europei come la Francia e la Germania. Con una frase ad effetto ha affermato: "Quale Paese lasceremo ai nostri figli? Tante volte abbiamo indicato obiettivi. A distanza di cinque anni viene in mente l'inutilità delle prediche di un mio ben più illustre predecessore (Einaudi, ndr)". E qui si intravede per via indiretta una critica al ministro Tremonti e al governo Berlusconi, non l'unica, per non aver operato per dare risposte a problemi che si sono ulteriormente aggravati e per scelte, come quella dei "tagli lineari", ovvero a pioggia e senza alcun discernimento della spesa pubblica, che hanno finito per deprimere, invece che incentivare, i fattori di crescita. L'Italia è un Paese con un'economia "insabbiata", ma non è sulla via di un "declino ineluttabile" e per questo deve concentrare i suoi sforzi per "tornare a crescere", è il suo ragionamento. Ma qual è la ricetta proposta dal governatore? Differisce e in che cosa da quella messa in essere dal governo in carica? È più a vantaggio della classe dominante borghese o del proletariato? A tratti risulta anche accattivante e demagogica, per esempio quando parla del precariato dei giovani, degli svantaggi persistenti per le donne, delle retribuzioni dei lavoratori ferme da 10 anni, quando invita ad "unire solidarietà e merito, equità e concorrenza per assicurare una prospettiva di crescita al Paese"; ma a ben vedere la proposta di Draghi è solo una variante, meno brutale, più sofisticata e ingannatoria della macelleria sociale del governo Berlusconi, che fa gli interessi dei capitalisti e del capitalismo, di cui è un'alta espressione. Tanto è vero che tra i nodi che andrebbero affrontati subito mette la riduzione drastica della spesa pubblica di oltre il 5% anche se non attraverso il metodo di Tremonti dei "tagli lineari". "Appropriati sono l'obiettivo di pareggio del bilancio nel 2014 - ha detto - e l'intenzione di anticipare a giugno la definizione di una manovra correttiva per il 2013-2014. "Una manovra tempestiva strutturale, credibile agli occhi degli investitori internazionali, potrebbe sostanzialmente limitare gli effetti negativi sul quadro macroeconomico". Si tratta di una stangata di 6-7 miliardi di euro da varare nelle prossime settimane e di altri 40 miliardi nel prossimo triennio. Altro punto sollevato, quello della "scarsa concorrenza" con al centro i servizi di pubblica utilità per i quali si auspica la liberazione e la privatizzazione "senza rendite e vantaggi monopolistici che deprimono l'occupazione e minano la competitività". Anche se fatte secondo le regole del mercato, la privatizzazione dei servizi pubblici, e ancor di più i beni comuni, come l'acqua, rimangono del tutto inaccettabili. Draghi chiede anche la "riforma" della giustizia civile, giudicando inaccettabile la durata di mille giorni di un processo ordinario che frena la crescita fino a un punto del Pil. Ma non dice nulla nel merito. Non dice se per esempio ci rientra anche la controriforma del processo sui conflitti di lavoro avviata dal governo Berlusconi a totale vantaggio delle imprese, visto che di fatto elimina la tutela sui licenziamenti "illegittimi". Sul tema delle relazioni industriali che "devono favorire l'ammodernamento e la competitività del sistema produttivo" il governatore dà sostanzialmente ragione a Marchionne pur ponendo la questione della rappresentatività sindacale: "Sono stati compiuti passi per rafforzare il ruolo della contrattazione aziendale, ma la prevalenza di quella nazionale e l'assenza di regole certe nella rappresentanza sindacale ancora limitano la possibilità per i lavoratori di assumere impegni nei confronti dell'azienda di appartenenza". Nelle proposte di Draghi c'è un contentino per i lavoratori, ma il grosso è sempre per gli imprenditori. Vale anche per il fisco. Il cui peso, dice, va ridotto sulle imprese e il lavoro per favorire la ripresa. "Andrebbero ridotte in misura significativa le aliquote sui redditi da lavoro e delle imprese" compensando il minor gettito con recuperi di evasione fiscale. L'accento però è messo sulla riduzione del "carico fiscale sulla parte dei profitti ascrivibile alla remunerazione del capitale proprio". Nulla dice sulla necessità di adeguare la pressione fiscale sui grandi patrimoni e sulle grandi rendite finanziarie. Altro tema caro alle imprese, il superamento del ritardo nella dotazione di infrastrutture per le quali i programmi del governo hanno previsto ulteriori tagli, fino a determinare "incertezze nei programmi, carenze di progetti e selezione delle opere". Dietro la costruzione delle infrastrutture, talune anche necessarie, ci stanno gli appalti pubblici e tanti soldi. Nell'ambito della sua prolusione si è pure permesso di sollevare due problemi veri e seri che riguardano il precariato giovanile e le diseguaglianze a danno delle donne, le carenze del sistema di istruzione i cui "livelli di apprendimento sono tra i più bassi nel mondo occidentale" senza però indicare uno straccio di soluzione che vada oltre un semplice auspicio finalizzato a riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro per un migliore inserimento dei giovani nelle unità produttive e in una prospettiva di carriera. Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, si è detta d'accordo al 100 per cento. "Con Draghi - ha detto - c'è un'identità assoluta nell'analisi e nelle proposte per risolvere i problemi del Paese: produttività, crescita, riforma fiscale e le sfide per le relazioni sindacali". Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Ferrari giudica con entusiasmo l'appello di Draghi "Musica per le mie orecchie, addirittura sinfonia". Positivo il commento di John Elkann, presidente di Fiat. Riferendosi al modello Marchionne imposto a Pomigliano, Mirafiori e alla Bertone ha detto: "Il Governatore ha riconosciuto che quello che stiamo facendo va incoraggiato". Carlo De Benedetti, presidente del gruppo "L'Espresso" e grande sponsor del PD si è detto in totale accordo con le considerazioni di Draghi. Applausi a scena aperta sono venuti dal partito di Bersani. Il democristiano Enrico Letta, che di questo partito è il responsabile nazionale di economia e lavoro, ha affermato: "su questa ricetta va rifondato il patto nel centrosinistra... Mi sento di porre a tutti i leader del centrosinistra: attenzione perché quello che Draghi chiede è irrinunciabile. Il patto che ci accingiamo a stringere dovrà avere quegli obiettivi". Noi non ci facciamo certo incantare: il programma esposto dal governatore non è affatto alternativo a quello di Berlusconi ma rappresenta solo una variante "riformista" persino più insidiosa, è un programma che va bene al grande capitale per superare la crisi e per competere nell'arena internazionale, ma non va bene per la classe operaia, le masse lavoratrici e popolari i cui interessi non sono contemplati, se non marginalmente e in modo del tutto subordinato al bene supremo delle leggi capitalistiche. 8 giugno 2011 |