Intervenendo ad una conferenza a Parigi Draghi spinge a destra i governi europei Il 30 novembre ha avuto luogo a Parigi la conferenza annuale organizzata dalla Direzione generale del Tesoro, ministero dell'Economia e delle Finanze francese, dal tema "Una strategia europea per la crescita e l'integrazione con solidarietà". Nel suo intervento alla conferenza il presidente della Banca centrale europea, l'italiano Mario Draghi, ha delineato le condizioni fondamentali che, a suo dire, consentirebbero di ottenere la "stabilizzazione duratura delle condizioni di mercato" e una "maggiore fiducia sulla stabilità della zona euro". In realtà, la strategia individuata da Draghi per affrontare la crisi si muove lungo due direttrici: il progetto di ulteriori sottrazioni di sovranità agli stati nazionali e la richiesta, rivolta ai governi europei, di realizzare le cosiddette "riforme strutturali", in particolare quella del "mercato del lavoro" per favorire, sulla pelle dei lavoratori, la competitività delle aziende europee. I quattro pilastri e le "politiche per la crescita" Draghi ha centrato il suo discorso sulla necessità da parte dell'Unione europea di conquistare un'economia competitiva che le permetterebbe di guadagnare quote di mercato nelle esportazioni. Per fare ciò i governi europei dovrebbero specializzarsi nella produzione di tecnologie innovative e prodotti di altissima qualità da vendere ai mercati avanzati e a quelli emergenti. Il presidente della Bce ha sottolineato che per competere con i "concorrenti a basso costo" emersi in altre parti del mondo, i governi europei devono affrontare "i problemi strutturali fondamentali dei mercati del lavoro e dei prodotti". L'argomento ferocemente liberista addotto da Draghi è che esisterebbe una relazione inversa tra riduzione del "costo del lavoro" per l'impresa e una maggiore occupazione: una riduzione dei salari dei lavoratori darebbe luogo ad un incremento dell'occupazione. Allo stesso tempo la flessibilità dei costi salariali si tradurrebbe in un guadagno di competitività nei prezzi che consentirebbe la crescita delle esportazioni. A dimostrazione di ciò Draghi cita il caso della Spagna e del Portogallo ma anche di Grecia e Irlanda che prima della crisi avrebbero perso quote di export, recuperate in seguito grazie all'adeguamento al ribasso dei "costi unitari" del lavoro. In altre parole, grazie ad un maggiore sfruttamento dei lavoratori, alla maggiore flessibilità in uscita e più libertà di licenziamento, come richiesto da sempre dal grande padronato. In sostanza, il presidente della Bce spinge a destra i governi europei, incoraggiandoli a proseguire con le misure di austerità e con le controriforme del lavoro con l'obiettivo di ottenere una manodopera completamente flessibile alle esigenze degli sfruttatori capitalisti, trasformare i lavoratori alla stregua di qualsiasi altra merce senza alcun diritto, comprimere ulteriormente il "costo dei lavoro" e i salari, snaturare e ridimensionare il ruolo e il potere contrattuale e rappresentativo dei sindacati. Infatti la riduzione delle tutele indebolisce i sindacati e rende i lavoratori più vulnerabili e ricattabili, vanificando il potere contrattuale sulle condizioni retributive e di lavoro. Fondamentale per Draghi anche il processo di "riallocazione" che porterebbe il seme della futura prosperità. "Spagna e Portogallo sono tra i paesi che hanno reso più facile il fallimento delle imprese insolventi, un ingrediente cruciale per ristrutturare in modo efficiente l'economia in questo periodo di transizione". Un'operazione che darebbe luogo a imprese più competitive e un aumento della produttività aggregata del lavoro. Attacco devastante alle conquiste dei lavoratori e sottrazione di sovranità agli Stati nazionali Accanto a queste "riforme strutturali", Draghi invita i governi europei a rispettare "la governance Ue rafforzata", compresa l'attuazione rapida del fiscal compact. Esortando i governi europei a non perdere di vista l'obiettivo di realizzare il completamento dell'unione economica e monetaria europea, sulla base di quattro "pilastri fondamentali": l'unione finanziaria, fiscale, economica e politica. Le quattro unioni darebbero luogo alla ristabilizzazione della capacità fiscale, aumento della crescita e dell'occupazione e all'esercizio di una "sovranità condivisa in legittimità politica". Il senso del discorso di Draghi è piuttosto chiaro e affonda le sue radici nella legge economica fondamentale del capitalismo, che è quella della ricerca del massimo profitto. Invitando i governi europei ad utilizzare la crisi per completare il processo di smantellamento delle protezioni sociali e dei diritti dei lavoratori. Allo stesso tempo punta a rafforzare un sistema istituzionale sovranazionale basato su vincoli sempre più rigidi che comportano ulteriori cessioni della sovranità nazionale. Ad ogni modo gli argomenti utilizzati da Draghi per sostenere le politiche di "flessibilità" del lavoro sono privi di fondamento e da respingere persino dal punto di vista democratico-borghese. In primo luogo, la diminuzione dei salari reali (cioè in termine di potere d'acquisto) non porterebbe affatto a una maggiore occupazione. Semmai è vero il contrario. La riduzione dei salari, in quanto riduce la propensione al consumo, ridurrebbe la domanda aggregata di beni e servizi e con sé il livello di produzione e quindi l'occupazione. Attribuire la mancata crescita della produttività alla "rigidità del mercato del lavoro" è una mossa furba da parte del presidente della Bce che per favorire le grandi imprese vorrebbe vedere i lavoratori, con alla testa la classe operaia, privati di tutti i diritti conquistati in anni di dure lotte. Ma è un'affermazione che non si regge in piedi come dimostra l'indice di produttività relativa stimato da Eurostat. In Italia, ad esempio, prima della seconda metà degli anni Novanta, produttività e PIL sono cresciuti quanto e spesso di più di quanto crescessero in media nel resto d'Europa. Solo nella seconda metà degli anni Novanta, proprio con l'aumento della flessibilità del "mercato del lavoro", il progressivo depotenziamento del contratto nazionale con la "riforma" del 1992, seguito dalle "riforme" Treu del 1997 e Biagi del 2003 e la sempre più iniqua distribuzione del reddito si è verificata la progressiva contrazione del Pil e della produttività in Italia. Dunque, proprio la controriforma del lavoro che le autorità europee e gli Stati borghesi chiamano "riforme strutturali" ha contribuito a peggiorare la produttività, incoraggiando le imprese a licenziare i lavoratori piuttosto che puntare ad utilizzare lo strumento dell'innovazione per ridurre i costi. Questo è anche il caso dell'Irlanda, citata da Draghi. Il governo irlandese ha obbedientemente seguito le prescrizioni di politica economica dettate dalla troika (Fondo monetario internazionale, Commissione europea e Banca centrale europea), con tagli degli stipendi del 14% e una riduzione media del salario per ora lavorata del 15%, rispetto al resto dell'eurozona. Nonostante ciò nel paese non è affatto aumentata la quota nei mercati di esportazione mentre il PIL è del 20% più basso rispetto a quello del 2007 e il rapporto Debito-PiL continua a crescere. Da dove dovrebbero dunque venire la "stabilizzazione" e la "crescita" di cui parla Draghi, se tutti i paesi europei stanno attuando le stesse misure di lacrime e sangue dettate dall'Unione europea della grande finanza e delle banche? 19 dicembre 2012 |