Sessanta anni fa a Roma L'eccidio nazi-fascista delle Fosse Ardeatine Il 24 marzo del 1944 a Roma le truppe di occupazione nazi-fasciste, come bestie ferite a morte e ormai prossime all'ignominiosa fine, consumarono uno dei più efferati crimini contro il popolo italiano: in seguito all'eroica azione di guerra compiuta da un gruppo di partigiani gappisti in via Rasella il 23 marzo, gli aguzzini in camicia nera ordinano per rappresaglia la fucilazione di 335 civili, in gran parte prigionieri politici, comunisti, oppositori del regime e ebrei, fra cui diverse donne, bambini e anziani detenuti a Regina Coeli e in via Tasso. Un atto di barbarie nazista commesso con la piena complicità e attiva collaborazione dei gerarchi fascisti che doveva servire come monito al coraggioso movimento di liberazione sviluppatosi nella capitale fin dal 10 settembre 1943 con l'eroica rivolta di Porta San Paolo nel tentativo di resistere all'occupazione nazi-fascita dopo che l'8 settembre '43 i vertici politici e militari del governo Badoglio e il re Vittorio Emanuele III insieme a tutti i Savoia scapparono da Roma consegnando di fatto il popolo italiano alle orde hitleriane. Nell'inverno del 1943-44 il neocostituito Comitato di Liberazione nazionale lancia un appello "per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza contro gli invasori" e Roma viene messa a ferro e fuoco dalle truppe di occupazione nazi-fasciste. Il 22 gennaio '44 le truppe anglo-americane sbarcano ad Anzio ma vengono bloccate quasi subito sul litorale laziale e a cassino e non riescono ad avanzare verso la capitale. Le formazioni partigiane e tutte le forze che partecipano alla Resistenza intensificano la lotta, chiamano il "popolo alle armi" e invocano lo "sciopero generale insurrezionale". La reazione dei nazi-fascisti è feroce. Il 25 gennaio impongono il coprifuoco su tutta la città e ordinano alle ronde in camicia nera di sparare a vista contro i trasgressori. Il 31 gennaio operano un grande rastrellamento tra la stazione Termini e via Nazionale che si conclude con la deportazione di oltre 2 mila romani. In febbraio, con le truppe alleate ancora bloccate ad Anzio e Cassino, la repressione nazi-fascista diventa ancora più dura. Le razzie, le fucilazioni, i rastrellamenti a tappeto di interi quartieri, le deportazioni in massa e le torture contro la popolazione inerme sono all'ordine del giorno. Di fronte a una oppressione così brutale il 23 marzo, in significativa coincidenza con la ricorrenza della fondazione della milizia fascista, i Gap (Gruppi di azione patriottica) organizzano una delle azioni di lotta più eroiche e significative della Resistenza a Roma. Nelle settimane precedenti a quella che viene unanimemente riconosciuta come un'autentica azione di guerra contro il nemico occupante, il servizio informazioni partigiano aveva osservato che ogni giorno alle 14 un reparto di SS (si trattava del battaglione "Bozen") transitava per via Rasella per recarsi a prendere servizio al Viminale. I Gap predispongono un piano d'attacco studiato con estrema precisione e audacia per colpire il più duramente possibile le odiate truppe di occupazione nazi-fasciste. Poco prima delle 14 del 23 marzo 1944 il gappista Rosario Bentivegna, travestito da spazzino, percorre via Rasella spingendo un carretto dell'immondizia dentro il quale sono collocati una ventina di chili di tritolo. Altri gruppi di partigiani intanto prendono posizione nelle vie adiacenti, mentre un folto gruppo di gappisti si apposta dietro gli angoli della trasversale via del Boccaccio. Bentivegna sospinge il carretto fino all'ingresso di palazzo Tittoni (dove, altra coincidenza significativa, aveva abitato Mussolini nei primi anni della sua dittatura) e si ferma in attesa del segnale. Appena il reparto di SS si inoltra a passo di marcia per via Rasella, Bentivegna accende la miccia e si dilegua; 50 secondi dopo la colonna del battaglione "Bozen" viene investita in pieno dall'esplosione. Gli altri partigiani e gappisti portano a termine l'operazione lanciando alcune granate contro i superstiti che rispondono al fuoco sparando all'impazzata contro i portoni e le finestre dei palazzi circostanti provocando la morte e il ferimento di alcuni civili. Sul selciato rimangono 32 nazi-fascisti morti e numerosi feriti, di cui uno molto grave che morirà alcune ore dopo. L'azione dei Gap è coronata da pieno successo, ma la rappresaglia delle belve nazi-fasciste è immediata, brutale e implacabile. Pochi minuti dopo sul luogo dell'esplosione si precipitano il generale Maeltzer, comandante delle truppe tedesche a Roma, accompagnato dai colonnelli Dollmann e Kappler a loro volta coadiuvati da altri ufficiali nazisti e dalle massime autorità fasciste della capitale fra cui il segretario del partito repubblichino, Pizzirani, il questore Pietro Caruso, il vice capo della polizia Cerruti, il generale della milizia fascista Ortona, i generali dell'esercito Presti e Catardi e uno stuolo di altri ufficiali e funzionari in camicia nera tutti al servizio dei nazisti. I gerarchi nazi-fascisti ordinano un rastrellamento a tappetto di tutti gli abitanti della zona, donne, anziani e bambini compresi. Allineate per ore contro un muro centinaia di persone rimangono per ore con le braccia alzate sotto la minaccia dei mitra. Poi in serata protetti dall'oscurità danno il via al saccheggio di tutte le case e i palazzi situati in via Rasella. Ma tutto ciò era purtropo solo il preludio del barbaro eccidio che da lì a poche ore i nazi-fascisti si preparavano a compiere nelle Fosse Ardeatine come atto di rappresaglia per l'"aggressione" subita. L'ordine e la misura di "fucilare 10 comunisti per ogni tedesco assassinato" furono impartiti direttamente dal quartier generale di Hitler. Il maresciallo Kesserling affidò l'incarico al colonnello Kappler il quale provvide personalmente alla compilazione della lista dei predestinati all'esecuzione scegliendoli a caso tra i detenuti del carcere di Regina Coeli e di via Tasso. Infatti quasi tutte le vittime del massacro erano detenuti in attesa del processo e quei pochi che erano già stati giudicati erano stati condannati a varie pene detentive e non certo a morte. Il boia Kappler stilò una lista di 270 nomi e in base al suo cinico conteggio delle vittime tedesche ne chiese altri 50 al questore Caruso che, a testimonianza dell'attiva collaborazione dei fascisti al massacro, preferì abbondare consegnandogli in tutto 65 detenuti. I martiri furono legati con le mani dietro la schiena e trasportati su degli autocarri presso una cava in via Ardeatina, all'incrocio con via delle Sette Chiese, vicino alle catacombe di San Callisto e Domitilla. Qui il boia Erich Priebke li fece entrare a gruppi di 5 per volta nei cunicoli e li costrinse a inginocchiarsi prima di giustiziarli con un colpo di pistola alla nuca. L'altro boia Kappler oltre a dirigere l'intera esecuzione volle assassinare personalmente una quindicina di ostaggi. L'esecuzione ebbe inizio nel tardo pomeriggio del 24 marzo e andò avanti fino alle 9 del mattino successivo quando le belve nazi-fasciste non ancora paghe dell'orrore compiuto fecero esplodere la cava nel vano tentativo di occultare la carneficina. Gli assassinati furono 335 in tutto, 5 in più dei 330 previsti, fra cui anche un uomo di 70 anni, un adolescente di soli 14 anni, un ragazzo appena diciottenne, un detenuto che era già stato assolto dal tribunale tedesco e circa 55 ebrei molti dei quali non erano nemmeno di nazionalità italiana. Inorridite, Roma e il mondo intero conobbero la macabra notizia solo a cose fatte. Il 5 aprile i familiari delle vittime ricevettero un documento, in tedesco, che informava della morte del loro congiunto e invitava a rivolgersi alle autorità nazi-fasciste per la richiesta degli effetti personali. Da quel momento in poi le Fosse Ardeatine divennero il simbolo della Resistenza a Roma e segnarono una tappa fondamentale nella gloriosa guerra di liberazione nazionale contro l'oppressione e la barbarie nazi-fascista. Per tutto ciò l'azione dei Gap in via Rasella non fu né un attentato "terroristico" né tantomeno un'azione "inutile" o addirittura "dannosa" per la Resistenza come sostengono i fascisti di AN, da una parte, e i revisionisti storici dall'altra che nel '97 riuscirono a mandare sotto processo i gappisti di via Rasella (poi assolti nel '99) con l'accusa di aver compiuto un "illegittimo atto di guerra". Via Rasella e tutte le altre azioni compiute dai partigiani a Roma e nel resto d'Italia furono invece lo sbocco naturale dell'immenso odio covato per tanti anni dalle masse popolari sfruttate e oppresse contro il terrore della dittatura mussoliniana e della conseguente occupazione nazi-fascista. 14 luglio 2004 |