6 operai morti, centinaia di feriti L'eccidio di Modena: 58 anni fa, un crimine della borghesia La lotta di classe non è finita ma continua col PMLI Dal corrispondente dell'Organizzazione di Castelvetro di Modena del PMLI Il 9 gennaio 1950, a nemmeno cinque anni dalla Liberazione, a due mesi dagli altri eccidi di Melissa (Calabria), Torremaggiore (Puglia) e Montescaglioso (Basilicata), a Modena avvenne un crimine della borghesia che nulla ha da invidiare agli efferati delitti fascisti di Mussolini. E non è un caso che allora prefetti e commissari erano ancora i "bravi" camerati che avevano represso le aspirazioni e le lotte dei lavoratori nel buio ventennio mussoliniano. Alla fine del 1949, la direzione aziendale delle Fonderie Riunite di Modena annunciò il licenziamento di tutti i 565 operai che vi lavoravano. Eppure, l'azienda non era affatto in difficoltà, visto che la produttività (e quindi il ricavato in denaro) aveva visto un notevole incremento, mentre i salari "stranamente" continuavano a rimanere quelli bassi di sempre. Ma i nodi vennero presto al pettine: i padroni riassunsero solo 250 operai tra quelli licenziati e 100 nuovi, lasciando a casa quelli più politicamente impegnati, quelli che osavano far sentire la voce degli sfruttati. Peraltro, il padrone era Adolfo Orsi, un vecchio caporione fascista. Venne subito proclamato lo sciopero e per la mattina del 9 gennaio venne indetto un comizio (già osteggiato). Vennero fatti accorrere in città polizia e carabinieri da tutta l'Emilia-Romagna, con tanto di autoblindo, che misero la città in soffocante stato di assedio, arrivando perfino ad appostare cecchini sui tetti. Scelba allora disse che le forze armate reagirono per "difesa" contro una "folla armata fino ai denti", ma la vile menzogna di questo criminale DC con le mani grondanti di sangue dei lavoratori non regge, proprio perché i disordini furono voluti e provocati dalle stesse "forze dell'ordine". La manifestazione venne dispersa con un immotivato lancio di lacrimogeni. Arturo Chiappelli (43 anni), mentre si trovava presso l'azienda, fuggendo dall'attacco poliziesco, fu il primo a venire ucciso da un cecchino; il militare peraltro continuò a sparare rendendo molto difficile il recupero del corpo. Angelo Oppiani (30 anni) venne ucciso da un carabiniere davanti ai cancelli, senza alcuna motivazione. Roberto Rovatti (36 anni), partigiano, si trovava in un altro corteo che venne analogamente disperso; accerchiato, fu pestato a sangue e poi ucciso con una fucilata. Nel pomeriggio le "forze dell'ordine" dispersero tutti gli altri cortei, obbligandoli a passare per strade dove, appostati, i carabinieri li attaccavano senza tregua. Ennio Garagnani, Renzo Bersani e Arturo Malagoli, di soli 21 anni, vennero uccisi a sangue freddo mentre percorrevano una di queste vie-trappola. La giornata si concluse con un agghiacciante bilancio di 6 morti e centinaia di feriti. 6 dei 62 lavoratori uccisi (di cui 48 comunisti) in tutta Italia fra il gennaio 1948 e il giugno 1950. Ricorderà la sorella di Arturo, Marisa: "Il giorno dopo, c'era una nebbia terribile, fummo tutti portati in auto all'obitorio dell'ospedale di Modena. La scena mi è rimasta impressa: il corpo di mio fratello, il sangue dappertutto, per terra e sul lenzuolo, gli altri morti". La rabbia dei lavoratori ovunque fu grande. Si organizzarono manifestazioni e scioperi di protesta. Anche Togliatti si precipitò a Modena per tenere un discorso di cordoglio in memoria delle vittime, spendendo parole di fuoco contro la borghesia. Parole che sono rimaste parole. Togliatti usò l'eccidio di Modena e gli altri massacri di questo genere come trampolino di lancio per la sua "via italiana al socialismo", che negava ai lavoratori l'arma rivoluzionaria e rendeva vani i sacrifici di questi eroi operai che hanno combattuto per il lavoro e per la libertà. Ma oggi, 58 anni dopo, non dobbiamo dimenticare tutto questo, come invece vorrebbero di comune accordo la borghesia, i revisionisti e i riformisti. I 6 operai morti non sono ancora stati riscattati. Saranno riscattati solo quando i crimini della borghesia verranno puniti, con l'abbattimento della dittatura borghese e la nascita del socialismo anche nel nostro Paese. Il PMLI sta lavorando affinché l'esempio di questi combattenti operai sia di stimolo oggi per combattere il capitalismo. La classe operaia non sta sicuramente meglio, ma anzi la borghesia ne peggiora ulteriormente le condizioni. Siamo passati dalla prima repubblica democratico-borghese alla seconda repubblica neofascista, che a sua volta ha compiuto dei crimini orrendi come quello di Genova del 2001. E già si annuncia la terza repubblica. I lavoratori stanno già capendo (e presto comprenderanno anche maggiormente) che il PMLI è la sola alternativa di sinistra che gli si presenta, specialmente di fronte al voltafaccia del PD e della sinistra "arcobalenizzata". Anche a Modena, lavorando risolutamente per ottenere questo obiettivo, perseveriamo dunque sotto le bandiere dei Maestri e del PMLI per raggiungere l'Italia unita, rossa e socialista e onorare la memoria e realizzare le aspirazioni dei 6 operai morti nell'eccidio di 58 anni fa. 9 gennaio 2008 |