Nel giorno dell'anniversario della fondazione di Israele nel 1948 Eccidio di palestinesi da parte dei sionisti I manifestanti lanciavano sassi al grido: "Siamo pronti al sacrificio per la Palestina" Napolitano a Gerusalemme non condanna l'eccidio e difende l'esistenza di Israele L'esercito sionista ha aperto il fuoco contro le decine di migliaia di manifestanti palestinesi disarmati che protestavano ai confini con Libano, Siria e Gaza il 15 maggio, in occasione della giornata della Naqba, ovvero della catastrofe, come i palestinesi definiscono l'anniversario della fondazione di Israele nel 1948 che portò all'esodo di quasi 800 mila palestinesi cacciati dalle loro terre. Almeno 20 morti e centinaia di feriti è il bilancio dell'eccidio compiuto dai sionisti. Una decina i morti presso la cittadina libanese di Maroun al Ras, a ridosso della frontiera, quando i soldati hanno aperto il fuoco sui manifestanti che lanciavano pietre al grido di "siamo pronti al sacrificio per la Palestina". Altrettanti i morti nel villaggio di Majdal Shams, sulle alture del Golan tra Siria e Israele, occupate illegalmente da Tel Aviv dal 1967, dove diversi manifestanti palestinesi erano riusciti a varcare la frontiera prima di essere fermati dal fuoco dei soldati. Un altro palestinese è stato ucciso nel nord della striscia di Gaza, e decine i feriti, quando i militari sionisti hanno sparato per fermare la marcia di oltre un migliaio di palestinesi verso il valico di Erez. I palestinesi caduti presso il villaggio libanese di Marun al Rass erano tutti ragazzi tra i 15 e i 18 anni che erano alla testa del corteo e avevano simbolicamente piantato una bandiera palestinese sul confine che li separa dalla loro terra. Al momento in cui hanno iniziato a lanciare sassi verso i soldati l'esercito sionista ha risposto con colpi di artiglieria. Alla manifestazione che aveva come slogan "il popolo vuole ritornare in Palestina", hanno partecipato circa 30 mila palestinesi giunti a bordo di decine di pullman da tutto il Libano, dove in 12 affollati campi abitano quasi 400mila profughi. Altrettanti sono quelli rifugiati nei campi in Siria, da dove erano partiti in diverse migliaia per manifestare sulle alture del Golan. Il ministero degli Esteri di Damasco ha "denunciato fermamente gli atti criminali di Israele contro il nostro popolo sulle alture del Golan, in Palestina e nel Sud del Libano". Il 15 maggio Israele festeggia la sua fondazione, i palestinesi la ricordano come una catastrofe e così è per il milione e mezzo di persone rinchiuse nel lager di Gaza, per i palestinesi chiusi nel recinto dell'illegale muro eretto dai sionisti in Cisgiordania e per i profughi cacciati dalla Palestina a partire dal 1948 e costretti a vivere nei campi in Libano, Siria e Giordania. E a cui il regime di Tel Aviv nega ogni possibilità di un ritorno alle loro terre. Se dimostrano la loro rabbia, sono accolti a cannonate. Nel silenzio complice dei paesi imperialisti, fra i quali l'Italia di Berlusconi e Napolitano. Anzi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano era in visita di Stato a Gerusalemme proprio il 15 maggio e durante la conferenza stampa congiunta con il presidente israeliano, il boia laburista Shimon Peres, non ha condannato l'eccidio mentre ha tenuto a difendere Israele. "L'Italia sostiene fermamente il diritto di Israele di esistere e di esistere in sicurezza", ha sottolineato Napolitano appoggiando di fatto la reazione militare sionista a "difesa" delle proprie frontiere e ha voluto precisare che "non è accettabile considerare la fondazione dello Stato di Israele un disastro, al di là delle interpretazioni che nel mondo arabo si danno di quell'evento storico". In piena sintonia coi boia sionisti. Con una faccia tosta senza pari il giorno successivo, il 16 maggio, nell'incontro a Betlemme col presidente palestinese Abu Mazen, cui ha dato il contentino dell'annuncio della decisione del governo italiano di elevare il rango del rappresentante diplomatico dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) in Italia riconoscendogli il titolo di ambasciatore, ha sostenuto che "vogliamo che l'Italia sia sempre più un ponte tra l'Europa e il mondo arabo". Un ponte costruito sulle macerie dei diritti del popolo palestinese, dato che l'imperialismo italiano è "sempre fortemente impegnato per la costruzione della pace tra Israele e il popolo palestinese che porti alla creazione di uno Stato palestinese indipendente accanto ad Israele, secondo la formula 'due popoli due Stati'", ha ripetuto Napolitano richiamandosi a quella formula fallimentare voluta dall'imperialismo che non ha portato alla costituzione di uno Stato palestinese in trenta anni di inutili e inconcludenti negoziati e accordi. Lo Stato palestinese o è uno sulla terra di Palestina con pari diritti tra arabi e israeliani o continuerà a essere un diritto negato ai palestinesi. 18 maggio 2011 |