Egitto L'esercito sgombera il presidio in piazza Tahrir Sostituito il capo del governo Il presidio dei manifestanti in piazza Tahrir è stato attaccato il 9 marzo da gruppi di sostenitori del deposto Mubarak. Armati di coltelli e bastoni hanno fatto irruzione nella piazza dove centinaia di manifestanti continuavano la protesta con la richiesta di scioglimento dei Servizi per la sicurezza di Stato, responsabili assieme alla polizia degli attacchi contro le manifestazioni che hanno portato alla caduta del regime. I manifestanti hanno respinto l'assalto ma sono stati costretti dall'esercito, che era rimasto a guardare l'aggressione, a smontare le tende che erano state installate fin dall'inizio della protesta, il 25 gennaio scorso. L'esercito era intervenuto per disperdere le manifestazioni anche il 5 marzo quando migliaia di dimostranti avevano assaltato le sedi della polizia segreta al Cairo e Alessandria e recuperato documenti con le prove di abusi di potere e torture contro gli oppositori politici del passato regime. Il Consiglio delle Forze armate, guidato dal maresciallo Tantawi, non ha ancora avviato una riforma dell'apparato della polizia segreta egiziana; al momento si è limitato a mandare a processo un'ottantina di agenti responsabili di atti di repressione contro la rivolta popolare che ha cacciato Mubarak. La pressione della piazza aveva costretto alle dimissioni, il 3 marzo, del premier Ahmed Shaqif, sostituito da Essam Sharaf, un docente universitario che era stato alla guida del ministero dei Trasporti sotto Mubarak ma che si era dimesso e durante la rivolta era in Piazza Tahrir con i dimostranti. Una figura più presentabile per il Consiglio militare che di concerto con lo sponsor imperialista americano si è preso la guida di questa fase di transizione fino alle prossime elezioni parlamentari e presidenziali. La cacciata di Mubarak per i movimenti riuniti nel Comitato 25 gennaio, che ha diretto le manifestazioni di piazza Tahrir è solo un primo passo verso la libertà e la democrazia. "Abbiamo cacciato Mubarak, ora liquidiamo il mubarakismo", il sistema di potere del suo regime che è ancora in piedi, è la loro parola d'ordine. Un sistema che fa ancora sentire i suoi effetti nefasti anche nelle violenze contro le minoranze religiose, come nel caso dell'aggressione alla manifestazione del 9 marzo dei cristiani copti nel quartiere di Moqattam, nella zona orientale della capitale egiziana. I copti protestavano contro l'incendio della chiesa "Al-Shaihidaine", nel governatorato di Helwan, a sud della capitale egiziana, del 5 marzo quando gruppi prezzolati li hanno attaccati con molotov e con le armi; il bilancio è stato di 13 morti e oltre un centinaio di feriti. L'aggressione è stata denunciata anche dai Fratelli musulmani, la principale forza di opposizione, che hanno accusato il partito dell'ex presidente Mubarak, il Partito Nazionale Democratico (Pnd) e i servizi segreti di avere fomentato gli scontri tra copti e musulmani, un complotto per far cadere l'Egitto nella guerra inter-religiosa. 16 marzo 2011 |