In Egitto esplode la protesta contro il regime di Morsi Il presidente egiziano Mohammed Morsi annunciava il 22 novembre in diretta televisiva l'emissione di un decreto in base al quale ogni legge o decreto presidenziale, emesso a partire dallo scorso 30 giugno, non poteva essere abrogato o emendato fino all'elezione del nuovo parlamento e all'entrata in vigore della nuova costituzione. In altre parole una specie di golpe istituzionale che assegnerebbe al presidente poteri assoluti in materia di unità nazionale, difesa della rivoluzione e sicurezza nazionale. Secondo le nuove disposizioni la corte costituzionale non potrà sciogliere l'Assemblea costituente, che dovrà raggiungere un accordo sulla nuova costituzione entro due mesi, né può sciogliere la Shura, la Camera alta, dopo che la stessa corte nello scorso giugno ha sciolto l'Assemblea del popolo perché il comitato elettorale aveva impedito candidature di esponenti del regime di Mubarak. Una decisione approvata dal partito del presidente, i Fratelli musulmani, contestata anzitutto dalle altre organizzazioni e partiti protagonisti della rivoluzione che ha cacciato Mubarak. Non modificava il loro giudizio neanche la contemporanea decisione presidenziale di mettere sotto processo tutti i responsabili della repressione e dei manifestanti uccisi a partire dal 25 gennaio 2011, data di inizio delle rivolte. Morsi rimuoveva dal suo incarico il procuratore generale, Abdel Meguid Mahmoud, per aver assolto alcuni dei responsabili delle repressioni che erano stati portati in giudizio. Il 23 novembre le opposizioni convocavano una manifestazione in piazza Tahrir per contestare il governo di Hesham Qandil e la dichiarazione presidenziale dichiarando che "non permetteremo a Morsi e al suo partito di rovesciare lo stato di diritto" e denunciando "da oggi Morsi è il nuovo faraone". Tre diversi cortei partiti da zone periferiche raggiungevano piazza Tahrir presidiata dalla polizia che tentava di impedire l'assedio ai palazzi delle istituzioni, dal parlamento alla sede del governo. Negli scontri si registravano decine di manifestanti feriti. A sera alcune decine di manifestanti piantavano delle tende in piazza per dar vita a un presidio di protesta permanente. Manifestazioni e proteste si svolgevano in altre città, da Suez a Port Said e Ismailiya. a Alessandria dove venivano assaltate le sedi del partito dei Fratelli Musulmani, Libertà e Giustizia. Nella serata del 23 novembre annunciava le sue dimissioni il vice-presidente copto, Samir Morcos affermando che "rifiuto di continuare in seguito a questa decisione presidenziale che mette in discussione il processo di transizione democratica e viola i miei compiti specifici di costruire le nuove istituzioni". Il 24 novembre iniziava lo sciopero nazionale della magistratura che sottolineava "l'attacco senza precedenti" alla sua indipendenza. Un gruppo di giudici del movimento per l'indipendenza della magistratura, distintosi nell'opposizione al regime di Mubarak, denunciava che "queste decisioni, sebbene contengano alcune richieste che vengono dal popolo egiziano, toccano direttamente la democrazia e la libertà". Quasi tutte le principali corti provinciali aderivano allo sciopero che il 25 novembre veniva revocato dal Consiglio della magistratura dopo che la presidenza della repubblica aveva accettato di organizzare un incontro tra rappresentanti dei magistrati e il ministro della Giustizia. A fronte della protesta di piazza e della sollevazione dei giudici il presidente Morsi sosteneva che il decreto con cui rendeva inappellabili le proprie decisioni era di natura "temporanea". Ma non convinceva i manifestanti che tornavano in piazza il 27 novembre, per il quinto giorno consecutivo di proteste, chiedendo il ritiro del decreto. 28 novembre 2012 |