Napolitano costretto a sciogliere il parlamento Elezioni il 13 aprile Berlusconi e Veltroni ricercheranno un'intesa per la terza repubblica Teniamo alta la bandiera dell'astensionismo, delle assemblee popolari e del socialismo Preso atto del fallimento del tentativo affidato a Marini di formare un governo istituzionale o "di scopo" per cambiare la legge elettorale e gestire le questioni più urgenti, il 6 febbraio Napolitano ha firmato "con rammarico" il decreto di scioglimento delle Camere e ha indetto le elezioni anticipate per il 13 e 14 aprile. Non senza esprimere con una dichiarazione il suo disappunto per delle elezioni così "fortemente anticipate", tali da rappresentare una "anomalia" che non può non avere "conseguenze sulla governabilità del Paese". Immediatamente dopo si sono messe in moto le macchine elettorali dei partiti del regime neofascista per mettere a punto le rispettive strategie per carpire i voti degli elettori. Quella del PD si è decisamente orientata verso la rottura con la Sinistra arcobaleno e per una corsa del tutto solitaria (salvo forse un possibile accordo solo con l'IDV di Di Pietro), sulla quale il liberale anticomunista Veltroni ha lanciato una sfida a Berlusconi per fare altrettanto nei confronti dei partiti suoi alleati. Una sfida a condurre una campagna elettorale "senza demonizzare l'avversario" e all'insegna del bipartitismo, come se la "riforma elettorale" da terza repubblica che i due leader hanno in mente fosse già in vigore di fatto, e che il neoduce ha preso molto sul serio, intuendone l'attrattiva di "novità" e constatando il favore che ha riscosso da parte della grande borghesia, a cominciare dalla Confindustria di Montezemolo. Da qui la contromossa di Berlusconi, che invece di ripetere la strategia del 2001 di imbarcare quanti più partiti e partitini possibile nella Casa del fascio, come sembrava propenso subito dopo la caduta del governo Prodi, ha ritirato fuori dal cappello il partito del "Popolo delle libertà" e lo ha proposto, o per meglio dire imposto, ai suoi alleati come simbolo unico della destra in questa campagna elettorale, con sé stesso come unico candidato premier, in attesa di trasformarlo in un vero e proprio partito unico di tutta la destra dopo le elezioni. Il caporione fascista Fini, "dimenticando" improvvisamente le ancora recenti polemiche al veleno che avevano segnato la quasi rottura con Berlusconi, ha immediatamente accettato di sciogliere di fatto AN nel "Popolo della libertà". E questo sia per convenienza, pensando già alla poltrona di presidente della Camera o giù di lì e all'ammissione di AN nel PPE, sia forse anche per paura che al suo posto il neoduce ci mettesse La Destra di Storace, per portargli via mezzo elettorato e rimandarlo, come ebbe a dire qualche mese fa, "nella fogna" da cui lo aveva tirato fuori nel '94. Quanto ai partitini tipo appunto quelli di Storace, Romagnoli, la Mussolini, Rotondi, Dini, Mastella e compagnia bella, o accettano di presentarsi sotto il simbolo unico del neoduce, oppure si arrangino a correre da soli, cioè ad essere cancellati dalla mannaia della soglia di sbarramento. Berlusconi e Veltroni candidati unici dei due poli del regime neofascista E Lega e UDC? Con la prima il cavaliere piduista ha usato i guanti bianchi, con la seconda il bastone. Nel senso che, scontando il rifiuto del partito di Bossi a sciogliersi nel PdL, si è accordato col caporione secessionista per il solo apparentamento o "federazione" col simbolo della Lega nel Centro-Nord, mentre nel Centro-Sud quest'ultima lascerà campo libero al PdL. L'UDC chiedeva anch'essa la "federazione" senza rinunciare al proprio simbolo, ma il neoduce non ha voluto concedere a Casini quel che ha concesso senza problemi a Bossi. Con gli ex democristiani è stato inflessibile: o dentro, sotto il simbolo unico del PdL e il solo nome di Berlusconi, o fuori, a correre da soli col proprio simbolo e il nome di Casini, ma anche con tutti i rischi che questa scelta comporterebbe, specie al Senato dove la soglia di sbarramento è dell'8%. Ad ogni buon conto il neoduce è pronto, se necessario, a sottrarre elettori anche all'UDC dirottando su di sé il favore della chiesa e dei nostalgici della DC, come ha già fatto capire prendendo posizione contro l'aborto e la 194. Se Casini finirà per cedere come probabile al ricatto, anche magari accettando un compromesso con la mediazione del cardinale Ruini al quale ha chiesto aiuto, il neoduce avrà preso diversi piccioni con una sola fava: avrà ripristinato la sua indiscussa egemonia sull'intero "centro-destra", riportando Fini e Casini all'ovile e rinsaldando l'alleanza neofascista e federalista con Bossi; avrà fatto fare un altro balzo in avanti al suo progetto di partito unico di tutta la destra e avrà risposto - oltretutto senza rinunciare nemmeno a un voto - alla sfida bipartitica di Veltroni, dimostrando di correre anche lui, se non proprio "da solo", quantomeno senza la zavorra di alleati infidi e rissosi. Non per nulla lo slogan che va ripetendo in questi giorni è che gli elettori hanno solo due scelte: o lui o Veltroni, perché votare altri partiti e candidati vuol dire buttare via il voto. Da parte sua anche il liberale anticomunista Veltroni si propone come l'unico candidato votabile di tutto il campo di "centro-sinistra". Dopo aver rotto definitivamente i ponti con la Sinistra arcobaleno (PRC, PdCI, Verdi e SD), che fino all'ultimo è andata da lui col cappello in mano per implorare uno strapuntino sul suo pullman elettorale, ha inaugurato la sua corsa solitaria, con sapiente regia e in perfetto stile amerikano, dal sagrato di un convento umbro con bandiera tricolore sullo sfondo, copiando finanche gli slogan delle primarie Usa, a cominciare da quel "Yes we can" di Obama che ha messo, tradotto con "Si può fare", in testa al suo manifesto elettorale, per ribadire che il PD può farcela a ribaltare i pronostici e vincere da solo le elezioni. Dimostrando di aver perfettamente imparato la lezione mediatica del neoduce e i metodi hollywoodiani delle campagne americane, sia pure con lo sfondo di conventi e ulivi e l'accompagnamento di Jovanotti e Mameli, egli punta tutta la sua campagna elettorale non tanto sulle proposte politiche e sul programma, del resto praticamente indistinguibili, a parte i toni e le forme, da quelli del nuovo Mussolini, quanto su sé stesso e la propria immagine, esattamente come nel campo opposto fa Berlusconi. Non a caso nel suo discorso di Spello (provincia di Perugia), con cui ha aperto ufficialmente la sua campagna elettorale, il leader del PD non ha nominato neanche una volta Berlusconi, e ha ripetuto fino alla nausea che occorre farla finita con la "cultura del nemico, il dualismo manicheo, la demonizzazione dell'avversario, a volte un vero e proprio sentimento di odio, almeno predicato e ostentato, nei confronti della parte avversa", e che invece l'Italia "deve essere unita", che occorre "restituirle forza e orgoglio di sé", perché "non ci sono due Italie separate da muri invisibili", e nemmeno è giusto "mettere sulle regioni, sulle città, sulle case e persino sulle teste degli italiani delle bandierine di colori diversi". In questo modo Veltroni sdogana definitivamente il nuovo Mussolini regalandogli una patente di legalità e di democraticità che va addirittura oltre la tacita e vergognosa non belligeranza che i governi di "centro-sinistra" hanno praticato in questi anni nei suoi confronti e dello scandaloso conflitto di interessi che egli rappresenta. Dall'altra parte anche Berlusconi evita di attaccare direttamente il segretario del PD, e anzi gli riconosce del "coraggio" e della "lealtà". Come vuole la grande borghesia i due campioni della destra e della "sinistra" del regime neofascista si legittimano insomma a vicenda, ed evitano almeno per ora di scontrarsi frontalmente per lasciarsi tutte le porte aperte a futuri accordi per il dopo elezioni. Verso l'inciucio per la terza repubblica Al di là degli slogan ad effetto è evidente che Veltroni sa di non poter certo vincere da solo contro la coalizione di forze guidata da Berlusconi. Anche se spera di sfondare al centro grazie all'effetto "novità" e all'appoggio di quella parte della grande e media borghesia che vede con favore il suo disegno di "svecchiamento" dei politicanti borghesi e per la stabilizzazione e la governabilità del traballante sistema capitalistico italiano. In ogni caso egli punta ad avere una buona e possibilmente ottima affermazione, in modo da essere riconosciuto come leader indiscusso dell'"opposizione" e unico interlocutore di Berlusconi nella trattativa per realizzare la controriforma costituzionale e la terza repubblica, in quella che entrambi i leader dei due poli del regime neofascista hanno già definito una "legislatura costituente". Questo disegno il segretario del PD lo ha spiattellato molto chiaramente nell'intervista a Libero del 9 febbraio scorso, giornale che funge in questi giorni da portavoce non ufficiale del cavaliere piduista: "Se il PD vincesse le elezioni è giusto che un ramo del parlamento sia presieduto dall'opposizione, così come offriremo alcune presidenze nelle commissioni di controllo e sarei anche disponibile a un patto di consultazione con il capo dell'opposizione", ha dichiarato infatti Veltroni al foglio neofascista di Feltri; sottintendendo di aspettarsi che Berlusconi faccia altrettanto nel caso vinca lui. Il leader liberale e anticomunista del PD è pronto insomma a inciuciare col neoduce qualunque sia l'esito della consultazione elettorale, in nome della realizzazione della terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. "Io resto convinto, - ha aggiunto - che abbiamo sprecato un'occasione storica. È sotto gli occhi di tutti, la fragilità istituzionale in cui versa il Paese: è obbligo della politica stare al passo con la società. C'è una crisi della democrazia e non uso con leggerezza questa parola - talvolta le democrazie muoiono per autoritarismo, altre per mancanza di autorevolezza e di capacità di decidere. Dopo la caduta del governo Prodi c'erano tutte le condizioni per far nascere un governo che fino al 2009 con un programma di riforme condivise dal parlamento e dalla società civile. Si poteva ridurre il numero dei parlamentari, dare più poteri al premier..." D'altra parte Berlusconi in un'intervista al prossimo numero del settimanale "Tempi" gli ha fatto eco con queste parole: "E' una disponibilità che abbiamo manifestato già prima della crisi di governo. E la rinnoviamo per il futuro. Siamo disposti a dialogoare, a confrontarci, a scrivere insieme le regole e le riforme che debbono far compiere all'Italia un salto di qualità. Queste riforme le avevamo già fatte in buona parte, avevamo anche approvato alcune modifiche alla Costituzione per dare più poteri all'esecutivo, ridurre il numero dei parlamentari, superare il bicameralismo perfetto e avviare il federalismo fiscale. Sono le stesse riforme che la sinistra ora invoca, mentre quando ci fu il referendum confermativo fece di tutto per affossarle, e ci riuscì facendosi condizionare dai nostalgici della Costituzione del 1948. Una Costituzione nata per evitare la guerra civile alla fine della Seconda guerra mondiale e che oggi non è più corrispondente alle esigenze di un paese che è ancora il settimo paese più industrializzato del pianeta". Stando così le cose anche il ricatto sempre usato dalla "sinistra" borghese per carpire il voto dei potenziali astensionisti di sinistra, cioè turarsi il naso e andare a votare per "sbarrare il passo a Berlusconi", ha perso completamente significato, dal momento che il PD di Veltroni chiede il voto proprio per trattare e inciuciare col neoduce, considerato non più nemico ma interlocutore imprescindibile per la fondazione della terza repubblica. Mentre la Sinistra arcobaleno, che si è già smascherata come imbelle, opportunista e lacché del governo del dittatore democristiano Prodi, non ha certo le carte in regola per rappresentare i sinceri anticapitalisti, gli antifascisti, gli antiberlusconiani, gli antiguerrafondai e i fautori del socialismo. E questo pur essendo stata dentro il governo. Figuriamoci poi quale "argine" al berlusconismo potrebbe mai fare in un parlamento in cui risulterà decimata e del tutto emarginata per essere stata mollata dal PD. Oggi più che mai, per tutte le masse fautrici del socialismo, l'unico voto possibile veramente di sinistra è l'astensione, cioè disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco, per delegittimare il parlamento, la destra e la "sinistra" del regime neofascista e la terza repubblica, dare forza al PMLI e ribadire l'insopprimibile e strategica aspirazione all'Italia unita, rossa e socialista. Ma non basta astenersi, occorre costruire le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le Assemblee e i Comitati popolari basati sulla democrazia diretta da contrapporre alle ingannatorie e corrotte istituzioni rappresentative borghesi che hanno sempre più il marchio del nuovo Mussolini e della P2. 13 febbraio 2008 |