Sponsorizzato da Bersani L'ex craxiano Epifani eletto segretario del PD Quasi metà dei membri dell'Assemblea nazionale non va a votarlo. 458 sì, 59 astenuti, 76 schede bianche I militanti di Occupy PD contestano la scelta del governo col PDL "Grazie della fiducia. Cercherò di mettercela tutta per fare bene. So quant'è difficile...": il melenso esordio di Guglielmo Epifani subito dopo la sua elezione a nuovo segretario da parte dell'Assemblea nazionale del PD, convocata il 18 maggio alla Fiera di Roma, fotografa assai realisticamente il clima di depressione e confusione che regna in questo partito, dopo la disastrosa partita dell'elezione del capo dello Stato conclusasi con la sua resa ignominiosa a Napolitano e a Berlusconi per formare il governo delle larghe intese col PDL. L'ex craxiano segretario della CGIL dal 2002 al 2010, fiancheggiatore del governo Prodi al quale regalò la controriforma delle pensioni, prima di lasciare la confederazione nelle mani della destra Camusso, è stato eletto infatti con 458 voti su 539 votanti, neanche la metà dei componenti l'Assemblea costituita nel 2009, che in gran parte non si sono nemmeno presentati all'appuntamento. Inoltre ci sono stati 59 astenuti, tra cui la Puppato, Civati e i prodiani Gozi e Zampa, e 76 schede bianche. In teoria da statuto il segretario avrebbe dovuto avere almeno 700 voti, il che la dice lunga sul caos e l'ingovernabilità che regnano in questo partito. E questo nonostante che l'elezione di Epifani, il candidato proposto dallo stesso dimissionario Bersani, fosse stata concordata preventivamente tra tutte le correnti. Segno evidente che quello sul suo nome è stato solo un accordo di tregua, raggiunto per di più all'ultimo tuffo dopo che per giorni diversi altri nomi erano stati avanzati e via via bruciati dai veti incrociati dei vari capibastone: come Speranza, Finocchiaro, Fassino, Chiamparino, ma soprattutto colui che all'inizio sembrava lanciatissimo per la successione a Bersani: il dalemiano Gianni Cuperlo, ex segretario della FGCI fino al suo autoscioglimento nel 1990, che fu tra i 25 DS che nel 2009 salvarono Cosentino dalla mozione che ne chiedeva le dimisssioni, e sul quale convergevano anche i "giovani turchi" e i popolari, costretto invece a rinunciare alla candidatura perché troppo "divisiva", ma preannunciando già che correrà per la segreteria al congresso di ottobre. A un certo punto la guerra per bande interna, incentrata stavolta sulla segreteria, era ripresa così violenta e incontrollabile, rischiando un'altra paralisi come quella appena passata, che è stato necessario convocare un summit preliminare, il cosiddetto "caminetto" presieduto da Bersani, e nominare una apposita commissione di "sondatori" per un'inchiesta supplementare tra i dirigenti per trovare un accordo sul candidato unico, altrimenti si sarebbe dovuti andare ad uno altro scontro devastante direttamente in Assemblea. Tanto per dire di che clima si trattasse lo stesso Epifani, appena appreso dell'accordo sulla sua candidatura unica, sapendo che la votazione era segreta e pensando a Prodi ha dichiarato: "Io segretario? Calma, calma, aspettiamo l'assemblea, non si sa mai...". D'altra parte più che di un segretario il suo mandato è quello di un "reggente" pro tempore, un "traghettatore" per condurre per mano la sbandata base del PD fino al congresso, dove si dovrà decidere se e in che forma tale partito potrà continuare a sopravvivere oppure sparire del tutto. Un compito oltremodo ingrato, a giudicare dalla riluttanza con cui Epifani se ne è fatto carico: "Stiamo correndo il rischio di toccare il fondo, non potevo sottrarmi", ha spiegato. D'altro canto molti dei sì che ha ricevuto erano tacitamente condizionati all'assunzione di un ruolo di "garante" al di fuori dei giochi di corrente, e quindi alla sua non ricandidatura al congresso, per lasciare le mani libere alle varie tribù di scannarsi ad armi pari per spartirsi quel che reste del partito sotto le sue macerie. Tuttavia su questo è rimasto nel vago, senza prendere nessun impegno ufficiale in tal senso. Pietra sopra alla vergognosa vicenda Quirinale Della resa dei conti coi 101 "traditori" che affondarono Prodi, attesa dai militanti di Occupy PD che manifestavano davanti alla Fiera con magliette e striscioni di contestazione ai dirigenti, non s'è vista neanche l'ombra. Ci ha pensato Bersani, col suo lacrimoso discorso di commiato accolto nella più totale indifferenza dalla platea, a metterci una pietra sopra assumendosi masochisticamente la responsabilità di tutto: "Vi ringrazio per quello di buono che abbiamo fatto. Di quello che non ha funzionato si dia, per carità, a me la colpa: è legge della politica che si vince insieme e si perde da soli. Bisogna dirlo ai giovani che c'è sempre un dispiacere su questa strada qua". Per uno sconfitto uscito di scena ci sono stati ben due vincitori: Renzi e Letta. Renzi, che si è tenuto lontano dai giochi per la segreteria, facendo sapere di essere interessato solo alle primarie per la candidatura a premier, che vorrebbe aperte a tutti così da pescare consensi anche nell'elettorato berlusconiano, ha gigioneggiato atteggiandosi a quello che "i fatti mi hanno dato ragione": "Mi hanno criticato per aver chiesto i voti del PDL, e ora ci siamo presi i suoi ministri", ha ironizzato il berluschino fiorentino, recentemente sponsorizzato anche dal magnate De Benedetti come "unico leader spendibile" del "centro-sinistra"; per concludere che va benissimo così, basta "non subire il governo, ma guidarlo" (sic). Con altrettanta disinvoltura ha rigirato la frittata del dissenso nella base e tra gli elettori del partito: "Più che un Occupy serve un Open PD", ha detto con una battuta, come se per lui il PD non si fosse ancora abbastanza aperto alla destra e a Berlusconi. Stranamente ma non troppo, posizioni molto simili alle sue, cioè stare al governo facendo finta che sia il PD a guidarlo invece che Berlusconi, sono state espresse anche dal teorico dei dalemiani, Cuperlo, per il quale "non ha senso stare al governo con un piede si e uno no, bensì dobbiamo starci con il nostro senso critico". Musica per le orecchie del presidente del Consiglio, venuto a incassare il consenso di Epifani e di tutta la platea al governo. "Letta può contare sul nostro appoggio", aveva detto Epifani. E il premier l'ha incassato, senza ostentare trionfalismi per non irritare l'assemblea, ma recitando pure la parte del "responsabile" costretto a sacrificarsi al compromesso per necessità: "Il governo non è il mio ideale, ho lottato per averne un altro. E se posso dirlo, non lo è neanche il premier", ha detto Letta da quell'abile gesuita che è. Sordità alla rivolta della base Tutto questo avveniva mentre in circa 50 città sparse in tutto il Paese continuavano le occupazioni delle federazioni e delle sezioni da parte del movimento Occupy PD che contesta la partecipazione al governo col PDL. Si segnalano già diversi casi di dimissioni di responsabili di federazione e di sezione, in particolare in Piemonte, Emilia Romagna e Toscana. Ha lasciato, in polemica con la scelta di governo, anche il segretario della sezione della Bolognina, quella dove Occhetto annunciò la fine del PCI revisionista, Raffaele Badrusi: "I nostri iscritti e militanti sono scioccati da questa scelta, in molti sono venuti al circolo a riconsegnare la tessera", ha spiegato. "Sono loro che devono andar via, noi non lasceremo il PD". "Anche i giovani turchi sono stati un bluff. È bastato offrirgli qualche posto di sottosegretario per placarli". "Aspettiamo i congressi per decidere se restare o andare via", sono i commenti riportati dai giornali un po' dappertutto. Per il 19 maggio era annunciata una manifestazione nazionale a Prato del movimento Occupy PD. Ma di tutto ciò all'Assemblea di Roma è giunta appena un'eco affievolita, come se le proteste, i dissensi, le tessere restituite e le contestazioni della base non la riguardassero. A malapena i giovani di Occupy PD che manifestavano davanti alla Fiera di Roma sono riusciti ad ottenere un brevissimo intervento dal palco, in cui hanno presentato le due principali condizioni rivendicate dal movimento: che l'intera classe dirigente del partito sia resettata e che sia fissata una durata breve al governo. Noi ci auguriamo che molti di loro non si fermino all'illusione che i borghesi rinnegati, liberali e democristiani che hanno completamente in mano il PD siano "resettabili" e che l'alleanza col PDL del neoduce Berlusconi possa essere solo temporanea e di natura tattica. Ma che cogliendo invece questa occasione per svolgere fino in fondo un severo bilancio critico e autocritico della loro militanza nel PD, si decidano ad abbandonarlo e a schierarsi risolutamente con l'opposizione di classe che lotta contro il capitalismo e il governo Letta-Berlusconi, per il socialismo. 22 maggio 2013 |