Come risulta dal rapporto annuale 2008 Istat Una famiglia su 5 è in crisi Nel Mezzogiorno il 18,4% della popolazione vive con un reddito insufficiente. 1,7 milioni di disoccupati. Gli uomini di mezza età nuovi precari e disoccupati La spaventosa crisi economica causata dal sistema capitalistico la stanno pagando soprattutto i lavoratori e le masse popolari con il progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, licenziamenti, cassa integrazione e una situazione a dir poco drammatica sul fronte occupazionale. A essere colpiti sono soprattutto i nuclei familiari che risiedono nel Mezzogiorno, i giovani, i precari, le donne e i padri di famiglia, che ora non riescono più a soddisfare nemmeno le esigenze primarie come fare la spesa, curarsi, o pagare le bollette. Questo è lo scenario a fosche tinte tratteggiato dall'Istat nel 17° Rapporto annuale 2008 sulla situazione del Paese illustrato il 26 maggio 2009, presso Montecitorio, dal presidente Luigi Biggeri. Secondo l'Istituto di statistica una famiglia su cinque ha difficoltà economiche crescenti, il 6,3% addirittura non riesce ad arrivare a fine mese e il 22% circa è a forte rischio povertà. Nel dettaglio, l'Istat spiega che del 22% di chi ha problemi a sbarcare il lunario circa 2 milioni e mezzo di famiglie (il 10,4%) segnalano difficoltà economiche più o meno gravi e risultano potenzialmente vulnerabili soprattutto a causa di forti vincoli di bilancio. Spesso non riescono a effettuare risparmi e nella maggioranza dei casi non hanno risorse per affrontare una spesa imprevista di 700 euro. Sono la Sicilia (20,1%) e la Calabria (17,1%) le regioni dove è maggiore la frequenza di questi nuclei familiari. Circa 1 milione 330 mila famiglie (5,5%) incontra difficoltà nel fronteggiare alcune spese. La maggioranza di queste famiglie si è trovata almeno una volta nel corso del 2007 senza soldi per pagare le spese alimentari, i vestiti, le spese mediche e quelle per i trasporti. Dal punto di vista territoriale "le famiglie in difficoltà per le spese della vita quotidiana" risultano relativamente più diffuse nel Mezzogiorno. In particolare Sicilia 12,3%, Calabria 11,6 e Puglia 10,3%. Circa 1 milione e 500 mila famiglie (6,3%) denunciano, oltre a seri problemi di bilancio e di spesa quotidiana, più alti rischi di arretrati nel pagamento delle spese dell'affitto e delle bollette, nonché maggiori limitazioni nella possibilità di riscaldare adeguatamente la casa e nella dotazione di beni durevoli. A livello europeo, l'Italia è uno dei paesi con la maggiore diffusione di situazioni di reddito relativamente basso: una persona su cinque è a rischio di vulnerabilità economica. E forti sono le diseguaglianze nello Stivale, con le maggiori difficoltà nel Mezzogiorno dove il fenomeno arriva a riguardare un individuo su tre. Il 20% della popolazione vive in famiglie che hanno un reddito (equivalente) inferiore del 60% rispetto a quello mediano. Rischi altrettanto elevati si osservano in Spagna, Grecia, Romania, Regno Unito e nei paesi baltici. Questa situazione tocca invece soltanto una persona su dieci nei paesi scandinavi, nei Paesi Bassi, nella Repubblica Ceca e in Slovacchia. Pesano le differenze territoriali: se al nord le persone a rischio sono in media il 9%, al sud si arriva al 30-35%. La percentuale di popolazione a basso reddito nel Paese si attesta al 18,4%, sulla base di valori del 2006; l'incidenza risulta massima in Sicilia (41,2%), Campania (36,8%) e Calabria (36,4%). All'opposto, i valori meno elevati si registrano in Valle d'Aosta (6,8%) e nelle province autonome di Bolzano (6,6%) e Trento (3,8%). Il reddito disponibile medio al Nord è circa 20mila euro mentre nel Meridione scende intorno ai 13mila euro. Confrontando i diversi tipi di famiglia, il rischio di vulnerabilità economica cresce con il numero di figli, soprattutto se minorenni e in presenza di un solo genitore. Anche per effetto delle disparità territoriali (le famiglie numerose sono relativamente concentrate nel Sud e nelle Isole). Tutto ciò fa sì che: in Italia il rischio di vulnerabilità economica per le famiglie con minori risulta tra i più elevati d'Europa. Sul fronte occupazionale le condizioni "peggiorano a causa della crisi in atto". Per la prima volta dal 1995, infatti, la crescita degli occupati nel 2008, che sono aumentati di 183 mila unità rispetto al 2007, è risultata inferiore a quella dei disoccupati, saliti di 186 mila unità sempre rispetto all'anno prima. "Un aspetto preoccupante - rileva il rapporto - è la diminuzione del tasso di occupazione dei padri (dall'83,3% del 2007 all'82,7% del 2008), che contrasta con l'andamento crescente dei precedenti tre anni". La perdita del posto di lavoro per due terzi riguarda gli uomini: la crisi ha prodotto una nuova tipologia di disoccupato. Il suo identikit è, secondo l'Istat: uomo, tra i 35 e i 54 anni, residente al centro-nord, con titolo di studio inferiore alla laurea. E nella maggior parte dei casi ha perso il lavoro nell'industria e si tratta di un padre di famiglia. Cresce in modo esponenziale anche l'insicurezza del posto di lavoro e dilaga il lavoro precario e a termine a discapito di quello con contratti a tempo indeterminato. L'Istat lo riassume in una "minore qualità dell'impiego" e rileva che: tra il 2007 ed il 2008 i padri con una occupazione part-time, a termine o con una collaborazione sono 17 mila in più. Al contrario, quelli con un'occupazione a tempo pieno e con durata indeterminata risultano essere 107 mila in meno (73 mila tra i 35 ed i 44 anni). Anche gli immigrati fanno i conti con la crisi. Accanto al disoccupato italiano spunta, infatti, anche la figura di quello straniero che è uomo ed ha un'età compresa fra i 40 e i 49 anni. Venuti in Italia con la speranza di trovare una vita migliore, gli immigrati, come tutti gli sfruttati e gli oppressi, si ritrovano a lottare e a fare i conti con le "delizie" del capitalismo. Secondo il rapporto, nel 2008 erano 162mila le persone con cittadinanza straniera in cerca di lavoro, 26mila in più rispetto all'anno precedente. Nel quarto trimestre 2008 la quota stranieri disoccupati arriva a superare il 10% del totale dei senza lavoro. Il fenomeno, eccetto l'area del Nord-Ovest, interessa tutto il territorio nazionale. Il principale motivo della perdita del lavoro è la scadenza di un contratto a termine. La perdita del lavoro per licenziamento, tuttavia, registra nel 2008 un incremento del 32% e in due terzi dei casi riguarda gli uomini. Aumentano anche i padri con lavoro part time e atipico. Colpiti anche i lavoratori in proprio. Nella disoccupazione femminile, invece, il gruppo prevalente è quello proveniente dall'inattività. Il principale motivo della perdita del lavoro è la scadenza di un contratto a termine: si stima che a fine 2008 siano scaduti i contratti di circa 350 mila dipendenti a termine e collaboratori. 25 giugno 2009 |