Nell'occhio del ciclone Fastweb e Telecom. C'è di mezzo la 'ndrangheta 56 arresti per riciclaggio di denaro sporco Chiesto l'arresto di Scaglia, fondatore di Fastweb e di Di Girolamo, senatore Pdl. A guidare il network del malaffare il fascista Gennaro Mokbel. Tra le carte dell'inchiesta anche i nomi di Fini, Alemanno e dei loro sostenitori in camicia nera "Una delle più colossali frodi della storia italiana" "Una delle più colossali frodi poste in essere nella storia nazionale": così il 24 febbraio il procuratore della direzione distrettuale antimafia di Roma, Giancarlo Capaldo, ha commentato gli esiti dell'operazione "Phunchards-Bro- ker" in cui sono coinvolti fra gli altri: Nicola Di Girolamo, il senatore del Pdl eletto a Stoccarda, collegio Europa, grazie ai voti della 'ndrangheta che fa capo alla famiglia degli Arena di Isola Capo Rizzuto nel crotonese; esponenti politici e imprenditori legati all'estrema destra eversiva e alla banda della Magliana che fanno capo ad An e al Pdl, accusati di aver fatto da intermediari con la 'ndrangheta e favorito la compilazione delle schede elettorali lasciate in bianco dagli italiani all'estero col nome di Di Girolamo e i massimi vertici di Telecom Sparkle e Fastweb. Un network del malaffare Cinquantadue ordinanze di custodia cautelare in carcere più quattro arresti domiciliari e una sequela di capi d'accusa che vanno dall'associazione a delinquere transnazionale pluriaggravata al riciclaggio, intestazione fittizia di beni, corruzione aggravata, attentato ai diritti politici del cittadino, falso, abuso d'ufficio e reati elettorali con l'aggravante della finalità mafiosa (art.7). Un gigantesco network di politici targati An e Pdl, imprenditori, banditi, spalloni, prestanome e intermediari legati all'estrema destra eversiva, dediti al riciclaggio di denaro sporco e che, attraverso una estesa rete di ramificazioni internazionali messa in piedi a partire dal 2003, gestisce un flusso di denaro tra Singapore, Hong Kong, Lugano, Dubai, Vienna, Cipro, Panama, Milano, Roma e Treviso di oltre due miliardi di euro più 400 milioni di Iva evasa secondo modalità operative che, evidenziano gli inquirenti: "pongono con solare evidenza il problema delle responsabilità degli amministratori e dirigenti della società capogruppo alla quale appartiene Tis, ossia Telecom Italia Spa" che "lavano" il denaro sporco nei paradisi fiscali di mezzo mondo e poi lo reinvestono in quote societarie, crediti bancari, opere d'arte, immobili, imbarcazioni e auto di lusso. I Ros e la Guardia di Finanza hanno sequestrato 247 immobili, per un valore dichiarato di 48 milioni di euro, 133 autovetture, 5 imbarcazioni per un valore di 3milioni e 700mila euro; 743 rapporti finanziari; 58 quote societarie per un valore di un milione e 944mila euro; due gioiellerie; circa 15 milioni di euro di beni localizzati all'estero e crediti nei confronti di Fastweb e Telecom Italia Sparkle, per complessivi 340 milioni di euro. "Il riciclaggio - hanno precisato gli inquirenti - veniva realizzato attraverso la falsa fatturazione di servizi telefonici e telematici venduti nell'ambito di due successive operazioni commerciali a Fastweb e Telecom Italia Sparkle". Le società italiane di partenza erano la Cmc, la Web Wizzard, la I-globe e la Planetarium. Il criminale intreccio politico-mafioso all'ombra di An Al centro dell'inchiesta c'è l'imprenditore romano Gennaro Mokbel, legato agli ambienti della destra eversiva e alla banda della Magliana, fondatore del movimento Alleanza federalista del Lazio e poi del Partito federalista. È lui, sostengono gli inquirenti, che si rivolge alla famiglia Arena per sponsorizzare l'elezione di Di Girolamo al Senato. Una elezione pilotata e pianificata nel corso di alcune riunioni a Isola Capo Rizzuto tra Di Girolamo, Mokbel e gli esponenti della 'ndrangheta calabrese Fabrizio Arena e Franco Pugliese. In cambio dei voti, alla cosca Arena gli viene garantito protezione politica e aiuto finanziario "facendo fare all'organizzazione un vero e proprio salto di qualità". Le "direttive criminali di Mokbel - scrive il gip - venivano perentoriamente eseguite da tutti gli associati pur senza avere cariche nelle varie società del circuito illecito". Il nome di Mokbel figura negli archivi di polizia come "persona eversiva di destra". Arrestato nel 1994 con Antonio D'Inzillo, della banda della Magliana e tuttora ricercato. Dal lavoro di intercettazione risulta che: "Mokbel finanzia in Africa la latitanza di A. D'Inzillo". Ha contatti con la criminalità organizzata romana (Carmine Fasciani e Giampietro Agus). È in contatto, "sia per telefono che di persona" con i neofascisti Francesca Mambro ("indicata come la Dark") e Giusva Fioravanti a cui riserva "anche rilevanti sostegni economici". Un senatore Pdl al servizio della 'ndrangheta salvato dal Pd Dalle carte dell'inchiesta emerge che la rete criminale, in occasione delle politiche del 2008, si è impossessata di un gran numero di schede bianche per l'elezione dei candidati al Senato degli italiani residenti all'estero e le ha riempite con il nome di Nicola Di Girolamo. Da qui l'accusa di violazione della legge elettorale "con l'aggravante mafiosa". Di Girolamo - scrive il Gip - "Unitamente al Mokbel e al Colosimo (penalista romano, ndr) si è recato in Calabria presso Franco Pugliese, legato alla cosca degli Arena, allo scopo di ottenere un appoggio politico presso gli emigrati calabresi in Germania... candidatura assolutamente strumentale agli interessi del sodalizio". In realtà si tratta della seconda richiesta di arresto inviata al Senato dalla procura di Roma sul conto di Di Girolamo. La prima era giunta a Palazzo Madama il 7 giugno 2008. In quella occasione la giunta per le autorizzazioni a procedere, presieduta dal Pd Marco Follini respinse all'unanimità la richiesta di arresto avanzata dalla procura di Roma. A favore di Di Girolamo votarono anche i senatori del Pd con la seguente, ridicola motivazione: "la strada giusta per cacciare Di Girolamo dal parlamento è quella di dichiararlo decaduto dalla carica". Infatti, quando il 20 ottobre 2008, la giunta inoltrò al Senato la richiesta di annullamento dell'elezione di Di Girolamo, i senatori Pdl si fecero una bella risata e il 29 gennaio 2009 hanno votato a maggioranza un ordine del giorno (primo firmatario lo stesso Di Girolamo) che di fatto lo ha salvato ancora una volta. Tirati in ballo Fini e Alemanno A salvare Di Girolamo fu soprattutto il relatore Andrea Augello, l'uomo che ha sostenuto più di tutti la scalata di Alemanno al Campidoglio e che ora sponsorizza a tutta forza Renata Polverini alla presidenza del Lazio. Non solo, nell'ordinanza di custodia cautelare dei giudici figura anche il nome di Stefano Andrini, il mazziere neofascista che Alemanno ha imposto alla guida dell'Ama servizi, la società che si occupa della raccolta rifiuti a Roma e ha in gestione anche 11 cimiteri. Secondo il Gip di Roma Andrini e Gianluigi Ferretti (già segretario del ministro repubblichino per gli Italiani nel mondo Mirko Tremaglia nonché promotore della legge per il voto degli italiani all'estero) sono proprio quelli che con Gennaro Mokbel scelgono Bruxelles come residenza fittizia di Nicola Di Girolamo. La residenza individuata per Di Girolamo è un'abitazione in uso a un giovane borsista pugliese al parlamento europeo, amico di Andrini. I giudici dedicano una buona parte dell'inchiesta alla "Infiltrazione nel sistema politico italiano" e riportano nell'ordinanza molte intercettazioni a sostegno delle tesi accusatorie da cui emergono a più riprese i nomi dei vertici di An. Ad esempio, il 7 febbraio 2008 Mokbel dice al neo candidato Di Girolamo: "Dobbiamo trovare un altro partito dove infilarti perché ieri sera qui è venuto il senatore De Gregorio e l'onorevole Bezzi tutti quanti si sò messi a tarantellà però siccome De Gregorio è l'unico che c'ha l'accordo blindato con Berlusconi, cioè si presenta in una della liste, allora io adesso preferisco vedere se te trovo la strada sempre pe' Forza Italia, t'ho detto non te ce fà la bocca". Il 16 aprile, subito dopo i risultati delle politiche, Mokbel si vanta con Pugliese, l'uomo del clan Arena, di una chiamata di Fini. M: "T'ha chiamato Paolo?". P: "Ma non basta solo Paolo". M: "No, ma io non ci sto, io sto a fa un cul... poi te spiego. Ma ha chiamato Fini, stamattina, Fini, Gianfranco Fini". P: "T'ha chiamato Fini, Gianfranco Fini?". M: "Ha chiamato Nicola, e l'ha convocato...". Gli altri indagati Ai vertici dell'organizzazione anche il fondatore e ex amministratore delegato di Fastweb, Silvio Scaglia, considerato il "mago" della new economy in Italia e oggi proprietario della piattaforma digitale "Babelgum" una web-tv platform completamente gratuita per gli utenti del servizio, di cui è presidente e principale finanziatore, con un investimento stimato in circa 50 milioni di euro. Scaglia è rimasto il principale azionista di Fastweb fino al 9 aprile 2007, quando ha ceduto il suo 18,75% alla Svizzera Swisscom. L'operazione gli frutta plusvalenze per 900 milioni di euro e lui entra di diritto nella classifica di Forbes che valuta il suo patrimonio personale in 1,2 miliardi di dollari e lo colloca al 13mo posto nella classifica dei Paperoni d'Italia, al 92mo nella graduatoria mondiale. Coinvolto anche un ufficiale della Guardia di finanza, il maggiore Luca Berriola attualmente in servizio al Comando di tutela finanza pubblica, un sottufficiale della Dia, F.M., l'avvocato romano Paolo Colosimo, già indagato nelle inchieste del palazzinaro romano Coppola e assolto dalla vicenda legata al fallimento della società Micop. Indagato anche il management di Telecom Italia Sparkle, con Riccardo Ruggiero, presidente del consiglio di amministrazione, Stefano Mazzitelli, amministratore delegato, Carlo Baldizzone, responsabile dell'area Amministrazione e controllo e Massimo Comito, responsabile dell'area "Europe". E l'inchiesta, secondo quanto ha scritto il Gip di Roma, sta sfiorando anche la stessa Telecom Italia: c'è "il problema delle responsabilità degli amministratori e dirigenti della società capogruppo alla quale appartiene Tis, ossia Telecom Italia Spa", scrive il magistrato del Tribunale di Roma. Nell'ordinanza di custodia cautelare il giudizio sulla società è duro e senza equivoci: "È evidente - prosegue il Gip - che o si è in presenza di una totale omissione di controlli all' interno del gruppo Telecom Italia Spa sulle gigantesche attività di frode e riciclaggio o vi è stata una piena consapevolezza delle stesse". 3 marzo 2010 |