L'ennesima "porcata" del ministro fascio-leghista Calderoli Il federalismo fiscale spacca l'Italia e penalizza il Mezzogiorno Il PD, Vendola, Bassolino e Loiero si accodano al governo e a Bossi Probabilmente nemmeno nel più ottimista dei suoi sogni, il ministro fascioleghista Roberto Calderoli avrebbe immaginato un'estate così generosa di consensi da ogni forza politica e istituzione borghese. A luglio è stato ospite d'onore al seminario organizzato dalla fondazione Italianieuropei del rinnegato D'Alema; dopo Ferragosto e la presentazione della sua bozza ha ricevuto i complimenti riconoscenti del rinnegato Napolitano per lo spirito bipartisan del suo lavoro; dopo averlo letto, il ministro ombra per le riforme del PD Sergio Chiamparino ha definito il suo disegno di legge "una base utile di discussione"; grazie alla sapiente regia dei più stretti collaboratori di Silvio Veltroni è perfino riuscito a strappare applausi alla festa di Firenze del PD pur in compagnia del suo caporione Bossi; non ultimi, anche i cosiddetti governatori "rossi" del Sud Vendola, Loiero e Bassolino da cui sarebbe dovuta partire la riscossa del Mezzogiorno hanno finito per calare le braghe ancora prima di incontrarlo. Per noi marxisti-leninisti, invece, soltanto in un Paese dominato dalla borghesia neofascista come l'Italia e con una "sinistra" borghese genuflessa anche di fronte agli spiriti più selvaggi del capitalismo nostrano, uno come Roberto Calderoli, finora passato alla storia della Repubblica soltanto per avere definito una propria legge "una vera porcata", può essere quasi scambiato per fine statista. Come ha fatto? Gli è stato sufficiente presentare, per dirla come il ministro, l'ennesima "porcata", ovvero la bozza per il ddl sul federalismo fiscale, scritta di proprio pugno come compito per le vacanze durante l'estate in collaborazione con una squadra di docenti universitari. Al di là di tanta enfasi sul rigore del suo lavoro e i consensi raccolti in giro anche a "sinistra", la verità è piuttosto che il ministro Calderoli (e non solo lui) sa bene che il proletariato italiano sarebbe pronto a bocciare i suoi progetti federalisti per la seconda volta, tant'è che ha deciso di procedere per legge ordinaria e dunque questa volta non ci sarà il referendum. Altro che federalismo a furor di popolo, come blatera a ogni occasione Bossi paventando fucili e marce di padani a Roma. Al popolo, il regime neofascista ha piuttosto deciso di mettere il bavaglio per il timore di prendersi una seconda pedata nel didietro. Via libera dai governatori "rossi" (di vergogna) L'obiettivo dichiarato della propria bozza è di "cambiare il Paese", sgravando il Nord della "zavorra centralista". L'impianto sovvertitore dell'unitarietà e della centralità dello Stato presente nel ddl l'ha confessato lo stesso Calderoli: "I soldi vanno direttamente alle Regioni, alle Province e ai Comuni. Così ammazziamo la finanza derivata, quel sistema per cui i soldi finiscono a Roma e poi i sindaci vanno con il cappello in mano a chiedere l'elemosina", condannando il Sud, aggiungiamo noi e come dimostreremo, alla bancarotta, con buona pace del trotzkista di destra Vendola, per il quale "la bozza Calderoli non è una barbarie, il Sud deve raccogliere questa sfida come occasione per autoriformarsi, risanare le proprie finanze e rivoluzionare le classi dirigenti. Se la discussione fosse partita dalla bozza di Bossi o della Regione Lombardia non ci sarebbe stata partita. Era più una proposta di secessione fiscale che di federalismo. Quella proposta non c'e' più e i gesti, in politica contano". Da buon cattolico e baciapile dei papi, evidentemente Vendola ha già beatificato Bossi e Calderoli. Più misurato nel suo opportunismo il Bossi del Sud, Bassolino, per il quale grazie a Calderoli ''la discussione sul federalismo fiscale sembra essersi avviata su binari più solidi". C'è anche chi ha avuto, come Loiero, una vera e propria illuminazione leggendo la bozza Calderoli e ha diffuso alle agenzie il suo commento che si concludeva con un invito chiaro a tutti: "facciamolo". Certo, il motivo per cui Loiero non vuole perdere tempo lascia alquanto a desiderare: "Si tratta di un processo ineludibile perché la parte ricca del Paese, con il suo peso nell'economia e nella politica, lo vuole". Ecco quel che si chiama una vera calata di braghe! Scardinati i servizi essenziali e i diritti di cittadinanza Il primo cardine del ddl fascioleghista è l'autonomia fiscale del territorio. Ciascun livello (Regione, Provincia, Comune) deve potersi autofinanziare con un'imposta alle competenze più proprie: la casa per il Comune, le auto e i trasporti per le Province e i servizi alla persona, la formazione e la scuola per le Regioni. Questa ripartizione delle competenze rivela come il federalismo fiscale, anziché responsabilizzare come dichiarato le varie autonomie, si appresti in realtà a costruire una sorta di centralismo regionale, più confacente agli interessi delle forti borghesie del Nord, non interessate a disperdere i centri di potere in mille rivoli. I Comuni, infatti, chiamati dal ddl a partecipare alla lotta contro l'evasione fiscale, sono destinati a svolgere fondamentalmente il ruolo di esattori, privi di reali competenze nella gestione dei servizi sociali alle persone. Il secondo cardine è il passaggio dalla "spesa storica" alla premialità e agli incentivi agli enti "virtuosi", principio introdotto per "responsabilizzare" le autonomie. In realtà, con questo nuovo sistema verranno per la prima volta stabiliti dei costi standard anche per quelle materie (ad esempio scuola e sanità) fino a oggi garantite dalla Costituzione repubblicana. Le regioni che staranno sopra la media di quelli che sono stati calcolati come costi standard, dovranno tirare la cinghia andando a tagliare i servizi sociali forniti, a grave danno della qualità della vita delle masse. L'alternativa è ridurre drasticamente i servizi essenziali oppure di aumentare le tasse a carico dei cittadini. In pratica, con il sistema dei costi standard (chi può fornisce servizi, chi non può s'arrangia) si scardinano i diritti fondamentali di cittadinanza (sanità, assistenza...), rompendo l'unità d'Italia in venti staterelli. Valutando la differenza tra tasse pagate e servizi procapite, si scopre che a guadagnarci sarebbero esclusivamente le grandi regioni del Nord: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, più la Toscana. In terzo luogo, come soluzione soprattutto per il Sud, si parla di "fiscalità di sviluppo" e "perequazione". Due principi che secondo Calderoli dovrebbero dimostrare quanto "la riforma serva più al Sud che al Nord", come ha dichiarato sfacciatamente al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. In realtà, leggendo la bozza, ci si rende subito conto che con il metodo del tutto arbitrario individuato da Calderoli soltanto la Lombardia risulta in grado di dare un contributo al "fondo perequativo" che servirebbe, ma soltanto all'inizio, per pagare l'uguaglianza tra le regioni e far così quadrare i conti anche in quelle più povere. Questo significa che il modello secessionista lombardo, checché ne dica Vendola, è uscito dalla finestra ma è rientrato dalla porta. Anzi, con la bozza Calderoli la Lombardia diventerà pure il burattinaio delle autonomie locali del Mezzogiorno, consegnando alla borghesie del Nord un potere diretto sul Sud finora sconosciuto. L'ossigeno al Sud potrà arrivare semmai dai fondi strutturali (si tratta di qualche centinaio di miliardi) dell'Unione europea, continuando così ad alimentare quel mortifero cordone ombelicale tra chi gestisce i soldi pubblici (i partiti borghesi) e la malavita. Il Mezzogiorno definitivamente regalato alle mafie Ma il peggio, se può esservi un peggio in questo naufragio totale, è il concetto di "fiscalità di sviluppo", da sempre richiesta insieme all'autonomia dalla borghesia più reazionaria del Sud e che va a realizzare, guarda un po' il caso, un progetto portato avanti da Cosa Nostra con personaggi dell'establishment borghese fin dai tempi della crisi politica aperta da Tangentopoli. Infatti, per salvarsi dalla bancarotta, le borghesie e i gruppi dirigenti del Sud reazionari, grazie all'accoglimento della loro più che decennale richiesta di una fiscalità di vantaggio e dell'autonomia politica e amministrativa, s'appresteranno a fare del Mezzogiorno in generale e della Sicilia in particolare la Singapore del Mediterraneo, un paradiso offshore defiscalizzato, alimentando così sotto nuove forme lo sfruttamento che costringe le masse meridionali alla miseria. Del resto fu lo stesso costituzionalista craxiano doc Gianfranco Miglio, allora nei panni di ideologo del secessionismo fascio-leghista, in un'intervista a Il Giornale del 20 marzo 1992, a dichiarare sfacciatamente: "Io sono per il mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta... io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica..." La posizione del PMLI Il federalismo, in qualsiasi forma esso si presenti, bozza Calderoli o meno, non ha nulla a che vedere con gli interessi della classe operaia e delle masse popolari, men che meno del Settentrione, che anzi sono già state chiamate con l'inganno pure dai vertici di PRC, PdCI, SD e Verdi del Nord a sostenere le esigenze di liberismo selvaggio della ricca borghesia padano-alpina, attualmente impegnata, come proclamato ai quattro venti perfino nel nuovo Statuto regionale lombardo (al quale neppure il PRC, PdCI e Verdi hanno osato votare contro in Consiglio lo scorso marzo), a costruire tra Torino e Trieste una sorta di macro-regione con al centro Milano, sede dell'Expo 2015. Il federalismo è nemico della classe operaia italiana, del Nord come del Centro e del Sud, in quanto rompe la solidarietà e l'unità di classe, mette lavoratori contro lavoratori, ne indebolisce la forza contrattuale, ideologica e politica e li lega ai vari carri delle singole borghesie locali in feroce concorrenza tra di loro. Da questa situazione non si esce, come propongono i falsi partiti comunisti, difendendo le vecchie istituzioni e la vecchia Costituzione, ormai divenuta carta straccia, bensì: a) scrollandosi di dosso una volta per tutte il revisionismo, il riformismo, l'opportunismo, il parlamentarismo e il pacifismo di PRC, PdCI, Verdi, SD, Sinistra Critica, PCL e Pdac, tutti guidati da vertici ultrariciclati; b) denunciando e combattendo senza sosta mediante i comitati e e le assemblee popolari la natura neofascista della seconda e della nascente terza repubblica di Berlusconi e Veltroni; c) sviluppando la lotta di classe nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di studio per dischiudere le porte al socialismo. 3 settembre 2008 |