Landini e Camusso, fischiata, si piegano al diktat del neopodestà di Roma: niente corteo, solo un sit-in in Piazza del Popolo Operai Fiat e Fincantieri in piazza per difendere posti di lavoro, rilancio produttivo e diritto a manifestare I mass-media di regime minimizzano e oscurano la manifestazione Lo sciopero di 8 ore del 21 ottobre dei lavoratori del gruppo FIAT, della componentistica auto e del gruppo industriale della Fincantieri era stato indetto dalla FIOM-CGIL per rivendicare occupazione e diritti, piani industriali, riconquistare il contratto nazionale di lavoro e chiedere l'immediata cancellazione dell'articolo 8 contenuto nella manovra Finanziaria del governo. A questi motivi se n'è aggiunto un altro altrettanto importante: la difesa del diritto democratico di manifestare, peraltro garantito costituzionalmente. Sì perché il governo tramite il prefetto e il questore, ma sopratutto il sindaco di Roma, il neopodestà fascista Gianni Alemanno, strumentalizzando gli incidenti e le violenze verificatesi nella manifestazione del 15 ottobre hanno posto il divieto per 30 giorni allo svolgimento di qualsiasi manifestazione nel centro della capitale; compresa quindi quella programmata dalla FIOM per i lavoratori metalmeccanici. Un divieto che solo parzialmente e in modo assai insoddisfacente è stato rimosso. La trattativa intavolata dal vertice FIOM col sindaco e prefetto è andata incontro a tanti no e non ha dato risultati apprezzabili. Persino la proposta di un percorso alternativo, fuori dal centro storco, quindi "compatibile con le regole dettate dal Comune di Roma", che andava da piazzale Flaminio fino alla RAI è stato negato. L'accordo alla fine è stato trovato per una "manifestazione stanziale" che è un altro modo per dire presidio, sit-in, a piazza del Popolo. Con questo risultato in mano, davvero misero, sia Maurizio Landini, che Susanna Camusso rispettivamente segretari generali FIOM e CGIL, dal palco hanno gridato: "abbiamo salvaguardato il diritto a manifestare", "ci siamo ripresi la piazza". In realtà è passato né più né meno il diktat fascista del governo e della giunta comunale di "centro-destra" romana. Giudichiamo inaccettabile che "ai lavoratori Fiat e Fincantieri - aveva detto il segretario della FIOM - che rischiano il posto di lavoro, sia negato il diritto di manifestare. È evidente il tentativo da parte del governo di utilizzare un fatto grave per impedire le libertà e ridurre gli spazi democratici". Giusto! Allora perché accettare il divieto al corteo? Nonostante questo sabotaggio liberticida, la manifestazione si è comunque tenuta ed ha avuto, considerando le circostanze, un successo di partecipazione e di adesioni anche giovanili e di lavoratori precari. Con 100 pullman, 12 mila lavoratori (è la stima ufficiale della FIOM) si sono dati appuntamento in Piazza del Popolo, dopo aver improvvisato un breve corteo a Villa Borghese, per portare le proprie ragioni, per rilanciare le loro rivendicazioni. In prima fila gli operai della FIAT di Termini Imerese, Pomigliano, e Mirafiori, dell'Irisbus e Bertone di Grottaminarda, CNH di Imola, Iveco di Brescia e Torino, Sevel dell'Abruzzo, Magneti Marelli di Bologna, Maserati di Modena. E ancora i lavoratori Fincantieri di Sestri Ponente e Riva Trigoso (Genova) e Castellammare di Stabia (Napoli). Il PMLI ha portato la propria solidarietà di classe ai manifestanti attraverso un cartello assai apprezzato (vedi servizio in altra pagina). Corretta la decisione di far parlare dal palco i delegati di fabbrica, oltre ai comizi della Camusso che si è beccata anche dei fischi, e di Landini per fare il punto delle vertenze in atto, per contestare la linea e i comportamenti dell'amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne, e di quello di Fincantieri, Giuseppe Bono, per denunciare il divieto al corteo, per rivendicare la cancellazione dell'art. 8. "Marchionne, FIM e UILM, il governo - ha detto un delegato di Brescia - devono fare i conti con questa piazza, questa è fabbrica Italia, non i piani Fiat ed è Marchionne l'estremista non noi che vogliamo solo lavorare in modo dignitoso. La fabbrica è di chi lavora - ha aggiunto - e che sta subendo più cassa integrazione, licenziamenti, turni massacranti, e peggioramento delle condizioni di lavoro". Le vertenze di FIAT e Fincantieri, di livello nazionale per la dimensione dei gruppi e per la posta in gioco, hanno caratteristiche analoghe: sotto il peso della crisi, per scelta delle rispettive direzioni aziendali e a causa di un'assenza totale di politica industriale e di un piano nazionale sulla mobilità e sui trasporti da parte del governo rischiano un forte ridimensionamento, la chiusura di stabilimenti e il licenziamento di migliaia di lavoratori. Per evitare questo sciagurato epilogo, il coordinamento nazionale della FIOM rivendica per Fincantieri un vero piano industriale fondato sulla diversificazione produttiva per scongiurare il pericolo di ridimensionamento di un settore industriale strategico per il Paese e della perdita di migliaia di posti di lavoro; ottenere dal governo politiche della mobilità e del trasporto merci e persone adeguati al rilancio dei settori interessati; un intervento verso l'Europa che finanzi la rottamazione delle vecchie navi; l'immediato avvio di commesse pubbliche; un piano industriale che confermi la capacità produttiva e l'unitarietà del gruppo Fincantieri. Più complicata la vicenda della FIAT. I lavoratori proseguono da almeno due anni nella loro richiesta di un vero piano industriale che definisca per ogni stabilimento investimenti, modelli di produzione e volumi produttivi in modo da salvaguardare siti e livelli occupazionali. Chiedono inoltre il rispetto del contratto nazionale di lavoro. Ma si scontrano con le false promesse del piano "Fabbrica Italia" di Marchionne, rivelatosi nel tempo come un piano di dismissioni, di cassa integrazione e licenziamenti. Con tre stabilimenti (Termini Imerese, Irisbus e CNH) chiusi o in procinto di chiudere, e con altri stabilimenti, Mirafiori in testa, che rischiano molto. Basti dire che da gennaio a settembre del 2011 nel sito torinese si è lavorato solo 35 giorni, a Pomigliano 37, il resto in cassa integrazione. Si scontrano con il modello Marchionne che ha portato la FIAT ad uscire da Confindustria e che, tramite accordi aziendali imposti col ricatto occupazionale, elimina il contratto nazionale, distrugge diritti e libertà sindacali, peggiora enormemente le condizioni di lavoro. Dei 20 miliardi di euro d'investimento e della messa in produzione di 17 nuovi modelli di auto vagheggiati dal nuovo Valletta non c'è praticamente traccia. Se la prospettiva della FIAT è il sostanziale abbandono dell'Italia il governo dovrebbe pensare seriamente alla sua nazionalizzazione. Vergognoso il trattamento riservato alla manifestazione dai mass-media di regime sia quelli di riferimento della destra borghese, sia quelli di influenza della "sinistra" borghese, che nella stragrande maggioranza hanno relegato la notizia nelle pagine interne con poche righe, sminuendo l'importanza dell'evento e falsificando le cifre della partecipazione. 26 ottobre 2011 |