Con la fiction Rai "Pane e libertà" Il regime esalta il riformista e revisionista Di Vittorio Il gerarca Fini: "La sua opera fa parte del patrimonio ideale della Repubblica e della nazione" Una sporca operazione per screditare Stalin e il socialismo e per normalizzare la Cgil La fiction "Pane e libertà" sulla vita del sindacalista e dirigente della Cgil Giuseppe Di Vittorio, andata in onda su Raiuno il 15 e 16 marzo scorsi, è solo l'ultimo esempio di manipolazione e revisione della storia ad uso e consumo del regime neofascista imperante. Perché formuliamo questo giudizio così netto su un'opera televisiva di successo, che è stata unanimemente salutata come una "novità" per aver fatto conoscere alle nuove generazioni e al largo pubblico la vita e le gesta di un personaggio della "sinistra" quasi dimenticato, ma considerato tanto importante per la storia sindacale e politica del '900? Lo facciamo per almeno tre motivi. Innanzi tutto per chi ha ideato e diretto questa fiction, il regista Alberto Negrin, non nuovo a questo genere di operazioni, avendo già diretto per la Rai altri lavori di marcato intento revisionistico, anticomunista e di riabilitazione del fascismo, come "Io e il duce" (1985), "Il cuore nel pozzo" (cfr. Il Bolscevico del 9/2/2005), in cui trasportò di peso in una fiction le menzogne anticomuniste e antipartigiane sulle foibe, e come "Perlasca, un eroe italiano" (2001), che esaltava la figura di un funzionario fascista salvatore di ebrei dalla persecuzione nazista in Ungheria prima dell'arrivo dei sovietici, non a caso presentati come i nuovi persecutori. In secondo luogo per il diretto e sfacciato appoggio politico e istituzionale "bipartisan" riservato a questa operazione mediatica, che ha ricevuto gli elogi di Napolitano ed è stata proiettata in anteprima alla Camera su richiesta di Fini, alla presenza dei segretari di Cgil, Cisl, Uil e Ugl e finalizzata a ricondurre la Cgil all'ovile del patto sociale già accettato dagli altri sindacati di regime. Infine, per il contenuto stesso della fiction, che contrappone continuamente la figura di Di Vittorio, sempre pronto al compromesso e alla conciliazione, al "dogmatismo" e alla storia del movimento comunista internazionale, all'Unione sovietica, a Stalin e al socialismo, in modo da screditarli e dall'esaltare viceversa il riformismo, il revisionismo e il liberalismo di cui il sindacalista di Cerignola era il portatore: cioè l'anticomunismo oggi trionfante tanto nella destra quanto nella "sinistra" borghese e di cui egli è dipinto come un antesignano e un profeta. Esempi di ciò ve ne sono parecchi in questa fiction. In particolare quello che con una ricostruzione a dir poco puerile e grottesca mostra l'incontro di Di Vittorio e Togliatti con Stalin, in cui il protagonista è costretto a subire una "lezione dogmatica sul socialfascismo" e una critica al suo conciliazionismo verso di essi, mentre il cinico e opportunista Togliatti tace e non lo difende per non contrariare Stalin. O come quello in cui un Di Vittorio indignato condanna il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop, definendolo un "patto di alleanza" tra Stalin e Hitler e subendo per questo la destituzione da tutte le sue cariche, mentre ancora una volta Togliatti si allinea opportunisticamente alla politica dell'URSS. Naturalmente gli autori si guardano bene dallo spiegare che quella posizione di Di Vittorio, di matrice socialdemocratica e trotzkista, risultò errata e sconfitta dalla storia, e anzi la esaltano al punto che il protagonista continua ad affermarla e rivendicarne la giustezza anche dopo la seconda guerra mondiale e pur conoscendo benissimo il ruolo decisivo di Stalin e dell'URSS nella sconfitta del nazifascismo. Per non parlare poi dell'esaltazione del Di Vittorio che condanna la repressione della controrivoluzione del 1956 in Ungheria, schierandosi apertamente con Cisl e Uil (i sindacati gialli di allora democristiano e socialdemocratico che nel dopoguerra si erano scissi dalla Cgil), con le forze reazionarie italiane e con l'imperialismo mondiale. Il revisionismo incallito di Di Vittorio viene così regolarmente innalzato in chiave anticomunista per screditare e condannare Stalin e l'URSS, e più in generale il socialismo e l'intera storia del movimento operaio internazionale. Mentre il suo incallito riformismo, che si esprime nella ricerca a tutti i costi dell'"unità" con Cisl e Uil e dell'"indipendenza" della Ccgil dal PCI revisionista, nonché nel patto sociale cogestionario e nazionalistico tra lavoro e capitale (di cui fu un antesignano col suo "piano per il lavoro" del 1949), viene altrettanto regolarmente esaltato dalla fiction con un evidente riferimento all'attualità: cioè alla normalizzazione della Cgil, a cui si vuole imporre l'accettazione del nuovo modello di contratto nazionale corporativo e padronale già firmato separatamente da Cisl, Uil e Ugl, la legge antisciopero, gli ulteriori tagli alle pensioni e al welfare e altre nefandezze nell'agenda del governo neofascista Berlusconi. Per capire appieno lo scopo di questa sporca operazione basti pensare che essa è nata 15 anni fa da un'idea del fascista defunto Tatarella, concittadino di Di Vittorio, e che viene realizzata oggi che il gerarca Fini è arrivato alla presidenza della Camera e ne è diventato il suo principale sponsor, tanto che ne ha voluto la proiezione in anteprima alla Camera, alla presenza dei segretari di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, del direttore di Raiuno, il berlusconiano Del Noce e del governatore della Puglia, il trotzkista Nichi Vendola. Un'operazione, quindi, che come quella sulle foibe è nata dalla destra ma da realizzare con la complicità della "sinistra" borghese e dei falsi comunisti. Si veda a questo proposito il grande spazio (2 pagine) e il tono apologetico che Liberazione del 17 marzo, ma anche l'Unità e la Repubblica hanno dedicato alla trasmissione di Raiuno. È nel quadro di questo disegno di patto sociale neocorporativo (non a caso il fascista Secolo d'Italia ha definito la fiction "un film sul sindacalista che piaceva a destra"), che Fini ha potuto dichiarare che l'opera di Di Vittorio "fa parte del patrimonio ideale della Repubblica e della nazione". Aggiungendo poi a ulteriore argomentazione che il suo è "un messaggio valido ancora oggi, oggi che sono fortunatamente lontane le idee del conflitto di classe, oggi che la necessità di fronteggiare le conseguenze della crisi economica internazionale deve vedere l'impegno corale delle istituzioni, delle parti sociali e delle forze politiche". Collaborazione tra le classi e collaborazionismo sindacale nel quadro del capitalismo e del nazionalismo neofascista: questa è dunque la morale indigeribile che si è voluto propagandare con la fiction su Di Vittorio. 8 aprile 2009 |