Col voto favorevole dei fascisti ripuliti, MPA e transfughi di partiti di "opposizione" Berlusconi rilancia il programma piduista neofascista Il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, addirittura si augura che il governo vada avanti poche ore prima che ricevesse la fiducia dalla Camera Il nuovo Mussolini va abbattuto dalla piazza Sia pure indebolito nella sua leadership assoluta e indiscussa sul "centro-destra" dal lungo e aspro scontro con Fini, e in uno scenario parecchio diverso rispetto al trionfale discorso di insediamento di due anni fa, per via dell'attuale frammentazione e instabilità della sua maggioranza, il neoduce Berlusconi è riuscito comunque a ottenere la seconda fiducia del parlamento nero al suo governo e al suo programma neofascista, piduista, presidenzialista, federalista, liberista e interventista, che ha rilanciato integralmente con l'ambizione di durare fino alla fine naturale della legislatura. Una fiducia tutt'altro che effimera e "avvelenata", come appare perlopiù nei commenti della stampa vicina alla "sinistra" borghese, ma confermata da 342 sì contro 275 no e 3 astensioni nella votazione del 29 settembre alla Camera, che gli ha permesso di vantarsi il giorno dopo al Senato - dove peraltro con 174 voti a favore contro 129 contrari ha ottenuto una maggioranza ancor più netta - di avere oggi "una maggioranza più ampia ed articolata rispetto alla fiducia ottenuta nel 2008"; una "maggioranza più forte", ha aggiunto, che permetterà al suo governo "di completare la legislatura e il progetto di profonda trasformazione del Paese, votato e voluto dagli italiani nel 2008". Anche se non è trascurabile, come si vedrà meglio più oltre, che in quell'aggettivo "più articolata" si nasconde il riconoscimento di fatto - dopo aver tentato di negarlo fino all'ultimo - della dipendenza della sua maggioranza anche dai voti del gruppo finiano, che proprio in questa occasione ha annunciato l'avvio del processo di costituzione in un nuovo partito del "centro-destra". Una fiducia, inoltre, auspicata e benedetta anche dal nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, che da Parigi, ancor prima della votazione, si è speso a favore della prosecuzione della legislatura e del governo Berlusconi, esortando il parlamento nero a rinnovargli la fiducia per "garantire la stabilità delle istituzioni e la continuità della vita istituzionale". Una fiducia, infine, ottenuta anche grazie alla sostanziale arrendevolezza dell'imbelle "opposizione" parlamentare, più spaventata dalla prospettiva di elezioni anticipate che dalla riconferma del nuovo Mussolini, e che infatti lo ha contestato più che altro sfidandolo "a governare il Paese", invece di fare solo "promesse risapute" (Bersani), o un "elenco di buone intenzioni" (Casini). Eccezion fatta per l'intervento a testa bassa di Di Pietro, che però lo ha attaccato solo sul piano della moralità e dei suoi sporchi interessi personali, in quanto detentore di 64 società off-shore, piduista, "stupratore delle democrazia", ecc.; e che per questo si è guadagnato due o tre rampogne di Fini, ma senza entrare in merito al suo programma che peraltro anche lui e la "sinistra" borghese condividono in molte parti anche se in forme diverse. Conciliante nei toni, tracotante nella sostanza Berlusconi non ha "volato basso" come è stato detto da molti, ma si è presentato con un discorso solo apparentemente conciliante e misurato nei toni, mentre invece ha riproposto con inflessibile tracotanza tutti i cavalli di battaglia del suo programma di legislatura. Dapprima, infatti, si è preparato il terreno esordendo con arie da "statista", preoccupato del clima di "troppo odio" e ansioso di "ritessere il filo della coesione nazionale", fino a strappare abilmente l'applauso bipartisan di tutta la Camera esaltando "lo spirito unitario con cui questo parlamento ha dato sempre unanime sostegno ai militari impegnati nelle missioni all'estero, che sono il fiore dell'Italia migliore". Poi si è profuso in un "breve accenno ai risultati dell'azione di governo", dove si è lanciato in un'esaltazione dei suoi "successi" su tutti i fronti, dalle misure per far fronte alla crisi economica e occupazionale, alle "riforme" della scuola e delle pensioni, all'avvio del federalismo, alla sua politica estera, con la quale ha fatto diventare l'Italia "protagonista sulla scena internazionale" (al Senato si è addirittura vantato, senza tema di ridicolo, di aver salvato la pace mondiale grazie alla sua decisiva opera di mediazione tra Usa e Russia e la finanza internazionale dal crollo totale convincendo Bush a varare il piano di salvataggio delle banche). E così via, però guardandosi bene, chissà perché, dal nominare due importanti "successi", come la "soluzione" del problema della spazzatura a Napoli e quello della "ricostruzione" in Abruzzo, che erano sempre citati in cima alla sua lista fino a pochi mesi fa. Infine è arrivato ai famosi 5 punti del suo programma di governo da rilanciare e attuare nel resto della legislatura: federalismo fiscale, fisco, giustizia, sicurezza e Mezzogiorno. Del primo, dopo aver rammentato che esso è stato votato anche "da quasi tutte le forze di opposizione", ha decantato le virtù a dir poco miracolose, perché non solo non prevede "la benché minima ipotesi di divaricazione tra Nord e Sud d'Italia", ma addirittura rafforza lo Stato, perché - parola sua, e chi non ci crede si arrangi - "uno Stato federale è, infatti, più forte di uno Stato centralizzato". Sul secondo ha riproposto per la miliardesima volta la stucchevole litania sulla "riduzione della pressione fiscale" come obiettivo primario del governo, in particolare riguardo alla tassazione - udite udite - "sulle famiglie, sul lavoro e sulla ricerca". Strizzando l'occhio all'UDC e alla chiesa ha messo nel cesto natalizio anche il "quoziente familiare", il "sostegno diretto alla libertà di educazione" (da leggersi finanziamenti alle scuole private e cattoliche), nonché "l'approvazione di norme a tutela della vita", sulle quali, ha voluto sottolineare, "esiste in questo parlamento un consenso non limitato alle forze di governo". Punire e sottomettere la magistratura, salvarsi dai processi Sul terzo punto, che poi è quello che gli preme più di tutti, ha ripetuto che "la riforma della giustizia è una priorità per il Paese" (cioè per lui). E a questo proposito ha rilanciato il pacchetto di provvedimenti piduista per punire e sottomettere la magistratura al controllo del governo: dallo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura alla separazione delle carriere di pm e giudici, dalla "normativa sulla responsabilità dei magistrati che sbagliano" alla - guarda caso - "legge a tutela delle alte cariche dello Stato all'esame del parlamento". Cioè il nuovo Lodo Alfano per salvarlo dai processi da approvare con una modifica alla Costituzione, che ha voluto richiamare proprio per vincolare i finiani alla loro promessa di approvarlo in blocco con tutto il programma. Inoltre non ha affatto rinunciato a inserire anche "il tema della ragionevole durata dei processi", ossia il famigerato "processo breve" per cancellare definitivamente le sue pendenze giudiziarie, che ha riproposto ostinatamente dopo aver rievocato il tema demagogico dell'"uso politico della giustizia" e del "dovere della politica di ristabilire il primato (sulla giustizia, ndr) che le viene non dai privilegi di casta ma dalla volontà popolare". Una dichiarazione di guerra ai magistrati che riconfermerà più esplicitamente a distanza di poche ore davanti a un capannello di suoi fans presso Palazzo Grazioli, definendo i magistrati "un'associazione a delinquere" e invocando una commissione d'inchiesta per accertarlo. Sulla "sicurezza" il neoduce ha suonato la solita solfa attribuendo al suo governo la presunta "svolta cruciale nel contrasto al fenomeno mafioso", ha esaltato l'impiego delle forze armate nel controllo delle città e dei quartieri e ha pagato un tributo alla Lega neofascista, secessionista, razzista e xenofoba di Bossi che tiene in piedi il suo governo, vantando i successi "sul fronte dell'immigrazione clandestina" grazie alla "politica dei respingimenti e degli accordi internazionali". Infine sul Mezzogiorno ha riproposto come panacea di tutti i suoi mali il ponte sullo Stretto e una manciata di strade e autostrade, ripescando anche la tremontiana Banca del Sud e condendo il tutto con la previsione degli effetti miracolistici del federalismo fiscale che, ha assicurato, "metterà il Sud alla pari del Nord". Ma poiché i 5 punti non potevano esaurire tutto il suo programma neofascista, piduista, presidenzialista, federalista, liberista e interventista, ne ha aggiunti altri di suo, come il completamento della "riforma liberale" in base al principio antistatalista e ultraliberista che Tremonti ha copiato da Reagan del "tutto è consentito, tranne ciò che è vietato"; come la sua entusiastica adesione alla nuova dottrina antioperaia e antisindacale inaugurata dal nuovo Valletta, Marchionne, "per superare - ha detto - un sistema produttivo fondato su un modello spesso anacronistico di relazioni sociali che ancora richiama un presunto conflitto capitale-lavoro"; come il ritorno al nucleare e il ritorno a una scuola di classe meritocratica sul modello fascista gentiliano. La legislatura della controriforma costituzionale E infine è arrivato al piatto forte che è in cima ai suoi pensieri: la controriforma costituzionale piduista da terza repubblica, a cui vuol dedicare i prossimi tre anni della legislatura. Quest'ultima, ha rimarcato il neoduce, "deve continuare ad essere la legislatura delle riforme, compresa la riforma istituzionale per la quale esiste una larga convergenza su alcuni punti essenziali: il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo, il superamento del bicameralismo perfetto, la diminuzione del numero dei parlamentari, la riforma dei regolamenti delle Camere". Tutte "riforme" che guarda caso tolgono potere al parlamento per aumentarlo al premier, così da completare il cambiamento già in pieno corso della forma dello Stato da Repubblica unitaria e parlamentare a federale e presidenziale. Un obiettivo tanto importante ed ambizioso da spingere il nuovo Mussolini, dati i rapporti di forza parlamentari e seguendo le esortazioni di Napolitano, a rivolgersi "non solo alla maggioranza, ma all'intero parlamento, al di là di ogni schieramento", lanciando un appello peloso "a tutti i moderati e a tutti i riformatori", esteso anche "alle forze più responsabili dell'opposizione". L'esito della votazione alla Camera fotografa esattamente il nuovo assetto di questi rapporti di forza. La frenetica campagna acquisti di deputati che il neoduce aveva messo in atto nel tentativo di assicurarsi una maggioranza sufficiente a fare a meno dei voti finiani per ora è fallita. Nonostante sia riuscito a reclutare diversi "cani sciolti" e transfughi dalle file dell'"opposizione", tra cui ben 5 dall'UDC (facendo infuriare Casini che ora nicchia sul Lodo Alfano) e persino un paio dal PD (tra cui l'ex capolista alle regionali del Veneto, l'industriale Calearo, già transitato prima nel partito di Rutelli, e che poi, in un tentativo in extremis di salvare la faccia ha finito per astenersi), Berlusconi non è riuscito a totalizzare i 316 voti al netto del gruppo di Futuro e libertà di Fini e dell'MPA di Lombardo necessari per avere una sua maggioranza sicura alla Camera. E siccome ha rinunciato per ora alle elezioni anticipate, vuoi per i sondaggi attualmente sfavorevoli, vuoi per l'incombere delle sue pendenze giudiziarie che richiedono interventi ad personam urgenti, vuoi per l'insofferenza sempre più manifesta dei "poteri forti" nei confronti della sua concentrazione esclusiva sulle sue vendette personali e politiche anziché affrontare le urgenze della crisi economica, ha dovuto abbassare i toni con i finiani e accettare di fatto la tregua che il presidente della Camera gli aveva offerto alla vigilia del confronto parlamentare. Anzi ha fatto il finto tonto fingendo sorpresa per le "divergenze sorte all'interno della maggioranza" e al Senato ha persino finto di prendere grottescamente le distanze dalla campagna dei suoi giornali contro Fini dicendo che "ci fanno più male che bene". E quindi ha fatto buon viso a cattivo gioco dicendosi sicuro che anche i parlamentari di FLI "svolgeranno una loro azione parlamentare e politica con lo spirito costruttivo e leale di sempre". Abbattere il nuovo Mussolini con la piazza Da parte loro i fascisti ripuliti di Fini non hanno alcun interesse a far cadere ora il governo, e soddisfatti di aver consolidato il loro spazio alla "sinistra" del "centro-destra" e del loro peso determinante nel sostegno al governo, preferiscono guadagnare tempo per dedicarsi alla costruzione del loro nuovo partito per rafforzarsi in previsione delle elezioni che a questo punto sono rimandate quantomeno a marzo dell'anno prossimo. Un segnale sintomatico di questa tregua nella guerra di posizione tra i due galli della destra borghese è rappresentato dall'improvvisa attenuazione della campagna scandalistica de Il Giornale della famiglia di Berlusconi sulla casa di Montecarlo del cognato di Fini. In ogni caso, che questa tregua regga o si vada alle elezioni anticipate tra pochi mesi, per gli operai, i precari, i pensionati, gli studenti, i migranti e tutte le masse lavoratrici e popolari la musica non cambia. Finché il nuovo Mussolini resta in sella il suo governo neofascista continuerà a portare avanti la macelleria sociale, l'assalto ai diritti dei lavoratori, la politica razzista e xenofoba, la militarizzazione delle città e del territorio, la devastazione ambientale, la disgregazione secessionista del Paese, la fascistizzazione delle istituzioni e la politica estera e militare interventista. Perciò occorre chiamare le masse a scendere in piazza al più presto per abbattere il nuovo Mussolini e il suo governo neofascista, corrotto, piduista e mafioso. Occorre un nuovo 25 Aprile per liberarsi del nuovo Mussolini! Pur avendone la volontà, il PMLI non ha la forza sufficiente per farlo, chi la possiede lo faccia senza indugio, altrimenti si assumerà una responsabilità storica che non sarà mai cancellata. Berlusconi va abbattuto dalla piazza. Al più presto, senza aspettare le elezioni. Anche se non è certo che possa essere sconfitto per via elettorale e parlamentare. In ogni caso solo se viene cacciato dalla piazza a furor di popolo si può costringere il governo che lo sostituirà a cancellare il regime neofascista e tutte le misure istituzionali, legislative, economiche, sindacali e sociali che lo hanno instaurato. Diversamente si cambia solo il governo, da quello della destra borghese si passa a quello della "sinistra" borghese che lascerà in piedi il regime di Berlusconi. 4 ottobre 2010 |