Tra le più pesanti di tutti i tempi La finanziaria è una stangata per l'università e la ricerca pubbliche Finanziamenti al palo. Assunzioni con il contagocce. Blocco del turn-over. Nessuna soluzione per i 60mila precari. Cresce lo sdegno e la rabbia per il "tradimento" dell'Unione Il ministro Mussi deve dimettersi! Nella lunga campagna elettorale e nel testo del Programma, l'Unione di Prodi aveva solennemente ribadito che le spese per università e ricerca, lungi dall'essere "spese inutili", erano da giudicare assolutamente "indispensabili per il futuro del paese", per questo prometteva un sostanziale aumento dei fondi per le università e gli Enti Pubblici di Ricerca, lo sblocco immediato delle assunzioni negli Enti Pubblici di Ricerca, "un congruo numero di nuovi concorsi" nelle Università e negli Enti di Ricerca ed il pieno recupero del turn-over, il riconoscimento della terza fascia della docenza per i ricercatori e la diminuzione del precariato, processi trasparenti di riassetto degli enti, "per eliminare i disastrosi effetti dello spoil system effettuato dal governo delle destre" e "che garantiscano competenza e rappresentatività della comunità scientifica nella gestione degli Enti", l'esenzione degli Enti Pubblici di Ricerca da processi di soppressione e scorporo al solo fine del risparmio e una contemporanea verifica della effettiva validità dei cosiddetti "centri di eccellenza" istituiti negli ultimi cinque anni. Nient'altro che chiacchiere elettorali, per imbonire e strappare il voto ai lavoratori del settore, che si sono sciolte come neve al sole, prima con il decreto Bersani e poi con le stangate contenute nella finanziaria di lacrime e sangue che, accanto ai drastici tagli alle Regioni ed agli enti locali, allo scippo del Tfr, all'aumento dei ticket sanitari e delle spese militari, contiene una lunga serie di misure contro l'università e la ricerca pubbliche. Tagli alla ricerca Per quanto riguarda la ricerca pubblica nazionale il quadro è desolante, poiché a fronte di un finanziamento statale pari ad appena l'1,1% del Pil, che colloca l'Italia agli ultimi posti d'Europa, non c'è traccia di quel massiccio investimento nel settore "strategico della conoscenza, dell'innovazione e della ricerca", cui pure l'Italia si è impegnata a Lisbona nel 2000. Le risorse stanziate sono infatti del tutto insufficienti e concentrate sul finanziamento di attività di ricerca industriale ed innovazione comunque mai valutate e controllate, le assunzioni sono ancora bloccate ed erogate con il contagocce, mentre una varietà di norme, da un lato accentuano l'aziendalizzazione in senso privatistico degli Enti di ricerca, dall'altro riportano sotto il controllo diretto del governo l'attività di ricerca, come e peggio di quanto aveva fatto la Moratti. Gli artt. 42 e 47 prevedono la rivisitazione del sistema di governo degli enti sostituendo presidenti e CdA con un direttore generale (manager) ed un comitato di gestione costituito dai dirigenti apicali di ciascun ente, affiancato da un comitato scientifico "per la definizione degli indirizzi e dei programmi di ricerca", costituito "con criteri di pari opportunità" (sic), ma senza alcun riferimento né alla competenza scientifica né alla rappresentanza del personale di ricerca. Gli Enti di Ricerca non solo non sono esentati dai processi di soppressione e scorporo al solo fine del risparmio, ma vengono decapitati (di nuovo) qualora non adeguino la propria organizzazione del lavoro a parametri astrattamente stabiliti per il complesso delle Agenzie e degli enti pubblici non economici (art.39). Inoltre l'art. 106 istituendo il FIRST, fondo costituito presso il Ministero dell'Università e della Ricerca unificando FAR, FIRB e parte del Fondo per le aree sottoutilizzate, concentra sulla burocrazia ministeriale il potere, ad esempio, di spostare risorse dalla ricerca di base a quella competitiva senza nemmeno passare per una discussione parlamentare. Sempre per quanto riguarda le risorse si richiede che il fabbisogno dei principali enti di ricerca non cresca per ciascuno degli anni del triennio più del 4% del consuntivo dell'anno precedente, vincolo che nella sostanza implica una diminuzione dell'investimento complessivo, considerando cioè l'effetto combinato dell'inflazione e dei tagli degli anni precedenti. Non si lesina invece sulle risorse destinate ad attività incontrollate di presunta ricerca industriale: dalla deducibilità per le imprese delle spese per gli addetti alla ricerca e sviluppo (art. 18) al credito di imposta per i costi dell'attività di ricerca industriale e precompetitiva (art. 20), dal finanziamento degli interventi a sostegno dell'industria militare ad "alto contenuto tecnologico" per più di 1,5 miliardi di euro (art. 113) ai 100 milioni di euro per la promozione della competitività nei settori industriali ad alta tecnologia (art. 110) fino ai microfinanziamenti per fantomatici progetti per la società dell'informazione (art. 112). Come se non bastasse il prosciugamento dei fondi per il 2007, l'art. 47 rinnova la validità della norma che permise l'ultima sciagurata controriforma degli enti di ricerca prefigurando gli obiettivi di risparmio per il triennio in 200, 300 e 400 milioni di euro. Permane il blocco delle assunzioni (art. 70) ed il fatto che alle poche assunzioni (vincolate comunque al turn-over e la cui decorrenza slitta all'1.1.2008) si aggiunga un "piano straordinario" per l'assunzione di circa duemila giovani ricercatori nel triennio 2007-2009 per il complesso di università ed enti pubblici di ricerca è evidentemente meno che una goccia nel mare della precarietà, se si considera che nell'università si contano non meno di cinquantamila precari, e negli enti di ricerca circa 15mila precari. Anche se Mussi promette 3.500 assunzioni, il risultato non cambia, si tratta di un piatto di lenticchie persino più misero di quello dell'odiato tandem Berlusconi-Moratti che negli ultimi tre anni ha bandito 6.500 posti da ricercatore. Anche il recupero di una quota del turn-over è affidato ad una complicata formula che comunque produce un numero di assunzioni lontanissimo dal 100% dei cessati, e dunque una perdita secca di posti di lavoro. Per quanto riguarda poi la stabilizzazione dei lavoratori "a tempo determinato" è prevista solo per coloro che "hanno superato procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge e lavorato almeno tre anni anche non continuativi nell'ultimo quinquennio", mentre "i lavoratori assunti con procedure diverse da quelle concorsuali possono essere stabilizzati solo previo superamento di prove". Ciò significa in sostanza che, a fronte dei circa 15.000 precari che attualmente operano negli Enti di Ricerca con contratti di varia natura, dai tempi determinati ai contratti di collaborazione e gli assegni di ricerca, solo una piccolissima parte sarà assunta a tempo indeterminato. Tagli all'università L'istruzione universitaria risulta un altro dei settori più penalizzati dalla Legge di bilancio, dato che i finanziamenti stanziati non copriranno nemmeno gli aumenti dell'inflazione, per cui sarà difficile persino tenere in piedi l'attuale situazione di emergenza. A fronte di un finanziamento statale pari ad appena lo 0,8% del Pil, il Fondo di finanziamento ordinario è stato aumentato dello 0,95% (sic!), 70 milioni di euro in tutto, ferme restando le decurtazioni del 10% delle "spese intermedie" degli Atenei già decise con il decreto Bersani-Visco, mentre il reclutamento straordinario, necessario a riavviare un'alimentazione virtuosa dell'accesso agli Atenei e a intervenire sul ridimensionamento del precariato, si riduce a pochi soldi per pochi posti di ricercatori "ministeriali" per i quali (e solo per loro) si cambierebbero le regole concorsuali (commi 5 e 6 dell'art. 70), con l'assunzione mediante attribuzione dell'idoneità scientifica nazionale. Si tratta di una delega in bianco che il governo si assegna in materia di concorsi universitari, con l'attivazione di un canale di reclutamento a ricercatore diverso da quello che continuerebbe ad applicarsi per i posti banditi dagli Atenei, un'assurdità legislativa di dubbia costituzionalità. Nonostante la richiesta delle Organizzazioni universitarie di non inserire tale questione nello strumento legislativo più blindato (la Finanziaria), il governo, con il pieno assenso del ministro diessino Fabio Mussi, ha previsto la costituzione dell' "Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)" nel Decreto legge che l'accompagna. Si tratterebbe di un organo "indipendente" di valutazione della qualità dei singoli Atenei ai fini della ridefinizione dei finanziamenti statali. Visto l'andazzo non si fa peccato a definirla un'agenzia sullo stato di avanzamento dei lavori di demolizione in corso. Nell'ambito dell'intervento sulle retribuzioni dei dipendenti non contrattualizzati l'art. 64 della Finanziaria stabilisce, "in attesa di una specifica disciplina intesa alla revisione delle relative strutture retributive", il dimezzamento degli scatti di anzianità biennali automatici dei quali godono i professori e i ricercatori universitari, procurando grave danno in particolare ai ricercatori giovani, la cui progressione stipendiale, la cui liquidazione e le cui pensioni saranno fortemente tagliate. Come per gli Enti di Ricerca anche nell'Università le assunzioni devono comunque avvenire nel 2008 e nei limiti dell'80% del bilancio consuntivo dell'anno precedente, ed entro il limite delle cessazioni dei rapporti di lavoro. Solo "i tempi determinati" verranno, ma è tutto da vedere, stabilizzati nella misura del 40% dei pensionamenti. Infine, nel comma 12 dell'art. 57, si prevede che l'utilizzo di contratti a tempo determinato e collaborazioni non debba superare il limite del 40% della spesa sostenuta nel 2003. La finanziaria dell'anno scorso prevedeva il limite del 60%. La finanziaria esclude da questi vincoli le assunzioni a tempo determinato e la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co e co.co.pro) "per l'attuazione di progetti di ricerca o finalizzati al miglioramento di servizi anche didattici per gli studenti, i cui oneri non fossero a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle università". La parola alla piazza Se il ministro Mussi, con buona pace di chi ha creduto potesse essere un ministro diverso da quelli dei governi precedenti, insieme a gran parte della cosiddetta "sinistra radicale" si dice "soddisfatto" della finanziaria, rilascia interviste scimmiottando la Moratti ("Il sistema deve essere pubblico, dopodiché ben venga se ci investono i privati: magari! Ma ci investono pochissimo, fra sponsorizzazioni e contratti. Nel campo della ricerca, per ogni euro dello Stato ce n'è mezzo, non due di privati" ha detto al quotidiano trotzkista "il manifesto", non prima di aver annunciato che "in vista dell'incontro di Londra del 2007" farà "la legge sulla governance universitaria" e convocherà "gli stati generali dell'università") non dello stesso avviso possono essere i lavoratori, precari e non, e gli studenti, che devono scendere in piazza uniti contro la finanziaria dei tagli e della precarietà, e contro un governo che mira alla privatizzazione e allo smantellamento dell'istruzione e della ricerca pubbliche, proseguendo sulla stessa identica scia delle controriforme varate dal precedente governo del neoduce Berlusconi. Mussi deve dimettersi! 11 ottobre 2006 |