E' il dodicesimo inquisito della maggioranza lombarda di "centro-destra" Formigoni indagato per corruzione aggravata transnazionale Il governatore lombardo ha intascato 8,5 milioni Deve dimettersi Dal nostro corrispondente della Lombardia Il 25 luglio la procura di Milano ha notificato un avviso di garanzia con contestuale invito a comparire al governatore lombardo, il dittatore ciellino Roberto Formigoni (PDL), facendo così salire a dodici il numero degli indagati della maggioranza di "centro-destra" del Pirellone. L'accusa è di corruzione, con l'aggravante della transnazionalità del reato, nell'ambito dell'inchiesta sulla Fondazione Maugeri la quale, attraverso quindici delibere regionali riguardanti le cosiddette funzioni sanitarie non tariffabili, ovvero quelle concesse in via discrezionale dal Pirellone, in dieci anni ha ottenuto rimborsi di circa 200 milioni di euro. I magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco elencano, in un documento di tre pagine, a uno a uno tutti i benefit che Formigoni avrebbe incassato per riservare una corsia preferenziale alle delibere, per un totale di 8,5 milioni di euro. I pm sono arrivati a ipotizzare nei confronti del governatore lombardo la corruzione anche analizzando una serie di provvedimenti che hanno ritoccato al rialzo i cosiddetti "DRG" (Diagnosis-Related Group), i raggruppamenti omogenei di diagnosi che definiscono il sistema di retribuzione degli ospedali per l'attività di cura. In concorso con il governatore lombardo sono indagati il faccendiere Pierangelo Daccò, l'ex assessore regionale DC Antonio Simone, il patron dell'omonima fondazione Umberto Maugeri e l'ex direttore amministrativo della Maugeri Costantino Passerino i quali, secondo gli inquirenti, avrebbero creato un'associazione a delinquere che, tramite conti in Svizzera e a Malta riconducibili allo stesso Daccò e al suo fiduciario Grancarlo Grenci, avrebbero trasferito indebitamente all'estero fondi dell'istituto privato, movimentando quasi 70 milioni di euro. Nell'inchiesta figura poi l'amico fidato di Formigoni Alberto Perego, con il quale condivide l'affiliazione alla lobby clericale politico-affaristica Comunione e Liberazione (CL) e, in essa, l'appartenenza all'associazione "memores domini", ossia coloro che hanno fatto voto di castità e di povertà. Perego, alla faccia della povertà, ha acquistato da Pierangelo Daccò, poco prima che il faccendiere finisse in manette lo scorso 15 novembre per il crac del San Raffaele, una villa in Costa Smeralda pagandola 3 milioni di euro anziché i 7 del suo valore commerciale e per la quale Formigoni, che dichiara redditi per meno di 100 mila euro all'anno, gli ha versato un milione e centomila euro nella primavera del 2011 per consentirgli l'accensione del mutuo. Si ipotizza che Perego sia solo un prestanome di Formigoni, ritenuto il vero padrone della villa, che viene pertanto fatta rientrare nel computo dei benefit vari che avrebbe ottenuto. Gli inquirenti mettono in relazione l'acquisto della villa a prezzi di saldo con un favore immediato a Daccò, ossia la nomina ai vertici della sanità di Alessandra Massei, ciellina, una sua fedelissima con la quale ha in comune alcuni affari immobiliari e edilizi in Argentina e che, una volta entrata nei piani alti, gli ha consentito di espandere al massimo il suo controllo sulla sanità pubblica lombarda. Formigoni si è aggrappato con le unghie alla sua poltrona strillando "Rimango al mio posto", lanciando invettive contro i magistrati e i giornalisti che ha definito "gazzettieri dei magistrati" e tergiversando sull'invito a presentarsi davanti ai pm dicendo che ha "bisogno di tempo". Come da tempo denunciano i marxisti-leninisti, il dittatore ciellino non può restare un solo giorno di più alla guida della regione Lombardia, deve dimettersi ed essere cacciato a pedate assieme a tutta la sua giunta neofascista e ai suoi collaboratori responsabili di ogni sorta di ruberie ai danni delle masse lavoratrici e popolari a cui oltretutto continuano a chiedere sacrifici. 1 agosto 2012 |