Al contrario di quanto affermato a Rio+20, la conferenza dell'Onu sull'ambiente e lo sviluppo "Il futuro che vogliamo" non è il capitalismo rivitalizzato dalla green economy I danni del capitalismo non si risolvono né si mitigano con più capitalismo. Bilancio fallimentare degli impegni presi negli ultimi venti anni, stesse promesse per il futuro Gli obiettivi di Rio+20, il summit organizzato dall'Onu nella stessa città brasiliana vent'anni dopo la "Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo" del 1992. che si è svolto dal 20 al 22 giugno a Rio de Janeiro alla presenza di delegazioni di 193 paesi, sarebbero stati quelli di rilanciare la lotta al cambiamento climatico e di cercare nuove strategie per il perseguimento di uno sviluppo sostenibile, non in conflitto con l'ambiente. Fermo al palo il primo, la conferenza ha messo al centro il tema della cosiddetta green economy come unico volano della sostenibilità. Una economia tutt'altro che "verde", più attenta a garantire opportunità di affari e di profitti ai capitalisti che "rispettosa" dell'ambiente e delle popolazioni. Molte organizzazioni ambientaliste, comprese diverse di quelle che pure hanno partecipato ai lavori istituzionali del vertice, hanno parlato di fallimento del summit: "Rio passerà alla storia come il vertice della beffa. Sono venuti, hanno parlato, ma non hanno agito". Financo il segretario delle nazioni Unite, Ban Ki-Moon, non ha potuto fare a meno di commentare che "personalmente, mi aspettavo un documento finale più ambizioso''. Il documento finale di Rio+20, intitolato "Il futuro che vogliamo", denunciano le organizzazioni ambientaliste, è un documento ponderoso ma mentre i mari si spopolano non contiene l'obiettivo della convenzione per la protezione degli oceani; mentre aumenta l'inquinamento dei gas serra non ci sono nemmeno gli impegni per eliminare i sussidi pubblici ai combustibili fossili (petrolio e carbone) che ne sono i principali responsabili; la creazione di un fondo chiesto da molti paesi poveri del Sud del mondo per aiutare lo sviluppo di una loro economia "sostenibile" è stata rimandata a data da destinarsi. "I delegati arrivano a Rio per celebrare vent'anni dove non è successo niente, dopo un vertice Onu dove non era successo niente", ha commentato un ambientalista americano sottolineando che quanto messo in campo dal vertice di Rio del '92 era del tutto insufficiente per affrontare il tema sviluppo economico-rispetto dell'ambiente. D'altra parte era impossibile l'obiettivo della "sinistra" borghese che monopolizzò la conferenza seminando l'illusione che fosse possibile coniugare la crescita economica capitalista con il rispetto del pianeta e la "redistribuzione globale" della ricchezza. Nel frattempo sono diventati circa 6 milioni l'anno le persone costrette a lasciare il proprio territorio a causa dei cambiamenti climatici, un dato stimato dall'organismo dell'Onu per i rifugiato (Unhcr) e che stima possano diventare almeno 200/250 milioni di persone entro il 2050. Profughi ambientali, nuovi migranti costretti a fuggire da effetti del riscaldamento globale, desertificazioni e inondazioni, da eventi naturali come i terremoti ma anche per decisioni di governi che impongono la costruzione di dighe o di impianti industriali. Il Summit del 1992 produsse la Convenzione sui cambiamenti climatici (Unfccc), la Convenzione sulla biodiversità (Cdb) e quella sulla desertificazione (Unccd). Nessuno, tra gli obiettivi più importanti, è stato raggiunto. Neppure i più piccoli impegni come quello fissato dal vertice di Copenaghen alla fine del 2009 di impegnare 30 miliardi di dollari per opere di mitigazione e adattamento climatico entro il 2012; obiettivo praticamente fallito. Nel sito del ministero per l'Ambiente italiano si afferma che uno dei temi principali della conferenza è "un'economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e riduzione della povertà: da intendersi come transizione verso un'economia verde adattata al contesto nazionale, che non sia solo un miglioramento ambientale ma un nuovo paradigma che cerchi di alleviare minacce globali come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la desertificazione, l'esaurimento delle risorse naturali e al tempo stesso promuovere un benessere sociale ed economico". Sembra la presentazione del vertice del '92, sbandierati gli stessi obiettivi, risultati zero. La conferenza Rio+20 era stata convocata con la risoluzione Onu 64/236 del 23 dicembre 2009 che aveva anche nominato un Comitato preparatorio, formato dai rappresentanti di dieci paesi, che ha iniziato a lavorare nel maggio 2010 e prodotto la bozza di risoluzione finale nel gennaio scorso. Sui lavori di stesura del documento hanno pesato i "contributi" forniti fra gli altri dalla Business Action for Sustainable Development, un gruppo lobbystico dell'industria, dalla Camera di Commercio Internazionale e da rappresentanti di altre associazioni vicine alle multinazionali. Presenti nei lavori preparatori e al summit. Era stato invitato a Rio dagli amici anche Stephan Schimdheiny, magnate svizzero dell'inquinamento e della cementificazione, poi riciclatosi quale fondatore del World Business Council on Sustainable Development in occasione del vertice del 1992 e che lo scorso febbraio è stato condannato a 16 anni di reclusione dal tribunale di Torino per la strage dell'Eternit. I negoziati ufficiali avviati a inizio 2012 si sono conclusi con atto d'imperio della presidente brasiliana Dilma Rousseff che il 18 giugno, alla vigilia dell'inizio del summit, ha chiuso la discussione togliendo i punti di contrasto con la scusa di dover portare il documento al vertice del G20 in Messico per farlo vidimare dai capi di Stato e di governo là presenti ma che non sarebbero venuti a Rio. Da Obama, alla Merkel a Monti; d'altra parte il tema dello sviluppo economico oggi più che nelle loro mani è in quelle di Cina, India e Russia, oltre al padrone di casa Brasile. E Obama avrebbe avuto più di una difficoltà a spiegare come abbia fatto a passare dalle promesse di sviluppo di un'economia verde ai permessi concessi alle società petrolifere di cercare il petrolio a maggior profondità nella crosta terrestre. Il testo definito dal governo brasiliano è stato poi approvato tale e quale dai rappresentanti dei paesi presenti. Un testo che assegna alla cosiddetta green economy il compito dello sviluppo rispettoso dell'ambiente ma che tale non può essere nel caso dell'economia capitalista rispettosa casomai della legge del massimo profitto e della logica di mercato. Come conferma la distruzione delle foreste favorita dal governo della "sinistra" borghese brasiliano per ampliare le zone di produzione dei biocarburanti, un biologico che non produce cibo per gli affamati ma profitti per i capitalisti del settore. Un altro esempio in piccolo. Fra i padiglioni allestiti nella sede del vertice vi era quello dell'Eni che magnificava il suo "sistema unico di capacità, soluzioni e tecnologie per lo sviluppo sostenibile in termini di produzione e supporto ai processi politici internazionali e adozione di soluzioni innovative" mentre rivendicava il diritto a trivellare liberamente i mari anche all'interno del limite delle 12 miglia dalle coste. Anche se si chiama green economy, sempre di economia capitalista si parla e non è possibile risolvere i problemi generati dal capitalismo con più capitalismo; come non può farlo, nelle nuove ipotesi della "sinistra" borghese, la compresenza di forme "plurali" di economia (pubblica, privata, sociale, cooperativa, solidaria) che a parte in qualche misura quella solidaria si basano sempre sulle leggi del capitalismo. L'unica vera alternativa all'inferno del capitalismo è il socialismo. 27 giugno 2012 |