Al G20 di Seul I governanti imperialisti non riescono a trovare un accordo sulla guerra delle monete e sugli squilibri commerciali Approvate nuove regole per la finanza Compromesso tra gli Usa e la Cina Il vertice dei capi di Stato e di governo del G20, i maggiori paesi industrializzati che rappresentano quasi il 90% dell'economia globale, che si è svolto nella capitale sudcoreana Seul dall'11 al 12 novembre aveva sul tavolo due importanti questioni, la guerra delle monete e gli squilibri commerciali, sui quali i governanti imperialisti non sono riusciti a trovare un accordo lasciando di fatto aperte le principali questioni che li vedono l'un contro l'altro armati. Ne è un esempio il compromesso raggiunto tra Usa e Cina che conferma le difficoltà della potenza imperialista egemone, gli Usa di Obama, a continuare a dettare legge e il potere sempre maggiore della sua principale concorrente, la Cina di Hu Jintao. Un vertice che ha confermato la debolezza dell'Europa tranne la Germania, accentuata dal riacutizzarsi del rischio fallimento di Irlanda e Portogallo, e la crescita del peso degli altri paesi capitalisti emergenti, dall'India al Brasile. I leader imperialisti mondiali si sono impegnati a contrastare le "tensioni e le vulnerabilità" dell'economia globale attraverso politiche monetarie e azioni sui tassi di cambio che dovrebbero assicurare la stabilità dei prezzi per contribuire alla ripresa e di evitare il ricorso alle svalutazioni competitive delle rispettive monete. Si sono impegnati a favore del libero scambio e dei flussi di investimento astenendosi dall'introdurre misure commerciali protezionistiche di qualsiasi genere. Fino alle affermazioni generiche sui modi di intervento non ci sono stati problemi che invece sono emersi nel momento in cui dovevano essere concretizzate con misure precise. Gli Usa, attraverso il segretario al Tesoro Geithner, in una precedente riunione del G20 a livello di ministri economici, avevano proposto di fissare un tetto pari al 4% del Pil per gli attivi commerciali e i disavanzi commerciali delle nazioni. Non era stato precisato se ci sarebbero state sanzioni per chi sforava il tetto né chi avrebbe dovuto farlo rispettare ma serviva almeno per poter accusare i paesi inadempienti. Una norma bocciata dai paesi esportatori, Cina e Germania in testa. Il compromesso raggiunto incarica i ministri delle Finanze di indicare in collaborazione con il Fondo monetario internazionale (Fmi) le "linee guida basate su diversi indicatori", per segnalare in anticipo gli squilibri eccessivi e indicare le terapie per ridurli; i dettagli sulle modalità di intervento sono rimandati alla discussione prevista nel primo semestre del 2011. Quanto alla guerra delle monete il comunicato del vertice sostiene che "occorre muoversi verso parità di cambio determinate dai mercati, in modo che i cambi flessibili riflettano la forza fondamentale delle economia". Come dire che la moneta cinese dovrebbe essere lasciata fluttuare liberamente al rialzo per ridurre l'attuale vantaggio competitivo alle esportazioni delle merci cinesi ma può essere letto anche come un richiamo agli Usa e agli interventi della Federal Reserve che inietta liquidità sui mercati indebolendo artificialmente il dollaro rispetto le altre monete. Certamente alla politica monetaria degli Usa si riferisce il richiamo a chi "gestisce una moneta di riserva (il dollaro, ndr) affinché vigili contro la volatilità eccessiva e i movimenti disordinati". Un passaggio voluto esplicitamente dalla cancelliera Angela Merkel che ha affermato: "dobbiamo dare insieme una segnale positivo per la crescita mondiale senza ricorrere a protezionismi commerciali camuffati in manovre politiche". L'unico risultato concreto del vertice resta l'approvazione delle nuove norme per la sicurezza del sistema bancario sulla base del lavoro svolto dal Financial Stability Forum guidato dall'italiano Mario Draghi, con l'obiettivo di prevenire un collasso del sistema creditizio quale quello del 2007-2008, anticamera della crisi. Il vertice di Seul non era iniziato nel migliore dei modi per il presidente americano Barack Obama che nell'incontro bilaterale col presidente sudcoreano Lee Myung Bak aveva dovuto incassare uno stop al progettato accordo commerciale per la creazione di un'area di libero scambio fra i due paesi, che doveva aprire il mercato coreano alle auto e alla carne made in Usa, dato per fatto e già rimandato un anno fa. Neanche al fidato alleato sudcoreano l'America può oggi dettare le sue regole, una missione che diventa impossibile con la principale concorrente Cina. Inevitabile il compromesso sugli esiti del vertice tra Obama e Hu Jintao, definito nell'incontro bilaterale, nel cosiddetto G2. Hu Jintao ha evitato che nel documento finale venisse esplicitamente menzionato il renminbi come moneta sottovalutata e si è così sottratto al ruolo di imputato designato del G20 per la manipolazione della moneta a scopi competitivi. La Cina ha fatto la sua parte, un modesto apprezzamento della sua moneta, ha sostenuto e ha rilanciato l'accusa verso gli Usa e alla decisione della Federal Reserve americana di comprare titoli di stato e immettere così nel mercato 600 miliardi di dollari di nuova liquidità per tenere il dollaro debole. Obama ha comunque ottenuto di dare il via alla definizione delle linee guida per spingere i paesi con forte attivo commerciale a ridurre il loro avanzo, come la Cina. 17 novembre 2010 |