Al vertice di Roma Il G7 contrario al protezionismo a parole ma la realtà lo sconfessa L'immagine del ministro delle Finanze giapponese, Shoichi Nakagawa, ubriaco alla conferenza stampa al termine del G7 che si è tenuto il 13 e 14 febbraio a Roma è emblematica dello stato di difficoltà in cui si trovano i governi dei maggiori paesi imperialisti nell'affrontare la sempre più pesante crisi economica. A mandare in tilt il ministro giapponese saranno stati i dati usciti nello stesso giorno sul crollo del prodotto interno lordo (pil) del suo paese, un meno 12,7% su base annua nell'ultimo trimestre del 2008 ma anche la situazione degli altri paesi non è meno grave. Il rifugio cercato al momento dai governi imperialisti è quello del protezionismo, della trincea stesa a difesa degli interessi delle borghesie nazionali. Lo conferma nei fatti il risultato del vertice dei sette maggiori paesi industrializzati di Roma. Anche se i richiami al libero mercato e allo sviluppo della globalizzazione continuano a fare presenza sui comunicati, con una repentina giravolta i paesi imperialisti li hanno mollati. Andavano bene quando l'economia tirava e servivano a garantire lo strapotere delle multinazionali e il supersfruttamento dei lavoratori e delle risorse dei paesi più deboli, adesso è un'altra musica. Afferma il comunicato del G7: "Un sistema aperto del commercio e degli investimenti è indispensabile per la prosperità globale. Il G7 rimane impegnato a evitare misure protezionistiche che avrebbero solo l'effetto di esacerbare la recessione, a contrastare la crescita di nuove barriere e a lavorare per una conclusione rapida e ambiziosa dei negoziati del Doha Round", il giro di negoziati sulla liberalizzazione dei mercati fermo al palo dall'estate scorsa. Una decina di giorni prima, a margine del vertice di Davos, i ministri del commercio di una ventina di paesi fra i quali quelli di Usa, Ue, Cina, India, Giappone e Brasile si erano detti impegnati a rilanciare i negoziati del Doha Round e a non alzare nuove barriere agli scambi di beni e servizi o ad adottare misure contrarie alla Wto, l'organizzazione mondiale del commerico, per stimolare le esportazioni. La realtà li sconfessa. Al tavolo del G7 nessuno ha contestato al nuovo segretario al Tesoro americanoTim Geithner il piano di stimolo all'economia da 787 miliardi di dollari presentato da Obama con la clausola del "compra americano". Un clausola protezionista che Obama aveva promesso di ritirare ma che è rimasta inalterata nel testo finale della manovra di spesa approvato dal Congresso. Che anzi vi ha aggiunto la clausola "assumere americani" che impone alle aziende che ricevono aiuti o commesse pubbliche di sospendere le assunzioni di personale straniero anche se provvisto di regolari visti di lavoro. Nessuno ha contestato il piano dei maxiaiuti forniti al settore dell'auto dal governo francese con l'obbligo imposto a Peugeot e Renault di acquistare componenti solo da produttori francesi. E con il presidente Nicholas Sarkozy che ha invitato le società automobilistiche a non licenziare gli operai francesi ma a cominciare a cacciare quelli degli stabilimenti all'estero. Il piano approvato a Parigi è simile a quello svedese mentre il governo inglese di Gordon Brown ha appena alzato un ciglio di fronte ai sindacati inglesi che manifestavano contro i lavoratori italiani. In barba tra l'altro alle regole del mercato comune europeo della Ue. Alcune misure protezionistiche si sono aggiunte di recente anche nei rapporti delle altre due grandi potenze imperialiste che non fanno parte del G7, Cina e India. Il governo di Nuova Delhi ha aperto 17 indagini ufficiali contro altrettanti prodotti importati dalla Cina, gran parte delle quali sono procedure antidumping, e un insieme di restrizioni per un valore di 2 miliardi di dollari di prodotti fra i quali tessili, petrolchimici e acciaio. Sollevando le proteste del ministero del Commercio di Pechino che ha minacciato ritorsioni sull'interscambio bilaterale. L'adozione di misure protezionistiche per contrastare la recessione potrebbe produrre al contrario un effetto valanga come è già successo nella precedente grande crisi del 1929 quando la china della cosiddetta Grande Depressione fu imboccata non con il crac di Wall Street ma dalle successive guerre protezioniste che fecero crollare gli scambi mondiali. D'altra parte anche il G7 di Roma ha sottolineato che il protezionismo "avrebbe solo l'effetto di alimentare la recessione" e "esacerbare la fase negativa" che secondo loro durerà "quasi tutto il 2009". Ma sarà impresa ardua per i paesi del G7 affrontare la "priorità più alta", la stabilizzazione dei mercati e dell'economia, dato che hanno scelto di combattere il protezionismo solo a parole. 18 febbraio 2009 |