Il premier giapponese Abe vuole "un esercito non azzoppato", ossia d'attacco Nel mirino del governo la modifica dell'articolo 9 della Costituzione, che vieta al Giappone di attaccare un altro Paese Dopo il recente attacco al campo petrolifero algerino di In Amenas dove hanno perso la vita dieci giapponesi che lavoravano per la società nipponica di costruzione di siti petroliferi Nikki il primo ministro Shinzo Abe ha affermato che "non perdoneremo i terroristi" rilanciando il tema della necessità per l'imperialismo giapponese di avere mano libera nell'impiego dello strumento militare per intervenire fuori dei confini nazionali. E quindi della necessità di modificare la costituzione che lo vieta. "Per il bene dei giapponesi è necessario avere un esercito non azzoppato" è il ritornello bellicista che Abe ripete dal suo insediamento nel dicembre scorso, un esercito che possa intervenire in situazioni di crisi come quelle che si prospettano per il controllo delle isole Senkaku e Takeshima, contese rispettivamente con la Cina e la Corea. In particolare l'obiettivo immediato dell'imperialismo giapponese è quello di poter mostrare i muscoli al rivale cinese Nel mirino del primo ministro giapponese ritorna un suo vecchio pallino, la modifica dell'articolo 9 della costituzione imposta al Giappone dopo la fine della Seconda guerra mondiale che così recita: "Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull'ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, ed alla minaccia o all'uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. Per conseguire l'obiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell'aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto". Tokyo non può in nessun caso attaccare un altro paese ma solo difendere i confini nazionali in caso di attacco, può avere solo forze di autodifesa. Una limitazione che nel corso degli anni i precedenti governi dei liberaldemocratici, compreso quello precedente di Abe nel 2006, hanno cercato di modificare. Nel suo intervento in parlamento ai primi di febbraio Abe ha sottolineato la necessità di modificare l'articolo 96 della Costituzione, quello che prevede la maggioranza dei due terzi del parlamento per cambiarla. La coalizione di governo tra i liberaldemocratici di Abe e il partito del Nuovo Komeito conta su 325 parlamentari sui 480 dell'assemblea, una maggioranza appena sufficiente per le modifiche costituzionali che potrebbe essere messa in pericolo da pochi singoli casi di pacifisti all'interno della coalizione alla Camera bassa. Maggioranza che non basta invece nell'altro ramo del parlamento. Quindi il primo bersaglio di Abe diventa l'articolo 96 per rendere più facile le successive modifiche che permettano al Giappone di avere un esercito pronto all'attacco. Nello steso senso vanno varie iniziative del governo Abe fra le quali quelle illustrate in parlamento sul rafforzamento dell'esercito in tutti i settori e sulla costituzione di una nuova cabina di regia politica e militare delle forze armate nazionali sul modello del Consiglio di sicurezza nazionale americano. Intanto nell'anno finanziario 2013-14 il Giappone ha aumentato gli stanziamenti al bilancio militare fino a 38,7 miliardi di euro. Le motivazioni di Shinzo Abe sono quelle classiche imperialiste: "è inevitabile che noi rafforziamo il Giappone con misure di sicurezza per proteggere i nostri interessi nazionali e garantire la sicurezza del nostro popolo in una situazione internazionale sempre più complessa". Un Giappone sempre alleato dell'imperialismo americano ma che cerca anche uno spazio per conto proprio. Non a caso Abe ha interrotto la tradizione che vuole il capo del governo nipponico effettuare la prima visita all'estero negli Stati Uniti; dal 16 al 19 gennaio Abe ha visitato Vietnam, Thailandia e Indonesia, paesi la cui alleanza è necessaria a Tokyo per contrastare lo sviluppo dell'influenza dell'imperialismo cinese nella regione. 20 febbraio 2013 |