Tra i reati contestati il concorso esterno in associazione camorristica Arrestati a Napoli 16 giudici tributari Coinvolti imprenditori, commercialisti, avvocati e professori universitari Redazione di Napoli Una vera e propria bufera si è scatenata a Napoli nell'ambito di un'inchiesta che ha coinvolto la Campania e la Lombardia relativamente ad alcuni membri delle Commissioni Tributarie provinciale e regionale di Napoli, un membro del Garante del Contribuente della Campania e un funzionario dell'Agenzia delle entrate di Napoli. In manette sono finiti addirittura 16 giudici tributari a cui la Direzione Distrettuale Antimafia contesta una serie di reati che vanno dall'associazione per delinquere di stampo mafioso al riciclaggio, dalla corruzione (anche in atti giudiziari) alla truffa. Si tratta di gravissimi affari illeciti di esponenti di rilievo del clan Fabbrocino, clan che ha coinvolto, dapprima, imprenditori operanti nei settori della commercializzazione del ferro, della compravendita immobiliare e della gestione di alberghi e infine ha chiamato in causa anche giudici tributari e funzionari pubblici. In particolare l'indagine, coordinata a Napoli dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho e dai pm Francesco Curcio, Alessandro Milita e Ida Teresi, si è concentrata sulle attività degli imprenditori Ragosta (finiti tutti in carcere) che, attivi nel settore siderurgico, nel corso degli anni hanno messo in piedi un vero e proprio impero economico, anche grazie all'acquisto delle Acciaierie Sud, di alberghi a Taormina e a Vietri sul Mare, un palazzo storico a Roma e il biscottificio Lazzaroni. Secondo quanto emerso dalle indagini, i Ragosta avrebbero reimpiegato denaro del clan Fabbrocino che opera nella zona vesuviana. Tutto è partito da un ricorso alla commissione tributaria, in seguito a un accertamento sui Ragosta, che avrebbero dovuto versare 146 milioni di euro all'erario. Dalle indagini è emerso "un sistema di corruttela nella commissione": ci sarebbe stato un inquietante scambio di favori nella gestione delle pratiche relative ai ricorsi. La procura napoletana ha sequestrato, in varie regioni, beni per oltre un miliardo di euro tra quote societarie, titoli azionari, fabbricati, conti correnti, terreni ed automobili. Nella carte dell'inchiesta spunta il nome anche del padre dello scrittore Roberto Saviano che sarebbe stato segnalato, in relazione a un ricorso, da Corrado Rossi uno dei giudici tributari arrestati nel corso del blitz. La circostanza è riportata nell'ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. In un'intercettazione ambientale risalente all'8 aprile 2009 nella stanza della seconda sezione della Commissione tributaria provinciale di Napoli, un uomo non meglio identificato e "la signora Manzillo parlavano del ricorso del padre di Roberto Saviano segnalato da Corrado Rossi". In particolare così risulta dall'intercettazione: "(...) è raccomandato da Corrado Rossi! perché il padre di Roberto Saviano vive, anche Roberto Saviano è originario di Frattamaggiore, il padre di Roberto Saviano è un medico di base ha fatto la combine con i centri medici, le radiologie e mo ha il fascicolo da me e poi Corrado Rossi mi ha raccontato tutta la storia, i genitori di Roberto Saviano si sono separati ed il padre è mezzo imbroglioncello". Non risultano dichiarazioni di Saviano né di suo padre sulla vicenda; inoltre il padre stesso non risulta iscritto nel registro degli indagati. Forte il grido della magistratura togata che ha chiesto l'aggiornamento dell'ormai desueta legge sulla composizione delle commissioni tributarie da giudici onorari, come ha affermato il pm anticamorra Raffaele Cantone, mentre Alessandro Pennasilico, procuratore reggente di Napoli, ha ribadito che ormai la "corruzione è un fenomeno più diffuso di quanto si immagini e per fronteggiarla occorre mettere la giustizia in grado di funzionare investendo risorse e adeguando gli organici, in primo luogo quello del personale amministrativo". 26 aprile 2012 |