Golpe bianco imbastito da PDL, PD e Terzo polo Varato l'inciucio istituzionale: poteri mussoliniani al presidente del Consiglio Il parlamento ridotto a mero organo di ratifica dei provvedimenti governativi L'inciucio istituzionale abbozzato il 7 febbraio nello studio dell'ex presidente della Camera Luciano Violante, dalle delegazioni dei tre principali partiti della maggioranza, PDL, PD e Terzo polo, è stato siglato ufficialmente dai rispettivi segretari in persona, Alfano, Bersani e Casini, in un vertice di un'ora tenutosi il 17 febbraio a Montecitorio. I tre caporioni hanno confermato il pieno accordo su tutte le "riforme" costituzionali già iscritte in agenda, e soprattutto hanno fissato la road map per arrivare in tempi super rapidi alle modifiche costituzionali necessarie alla loro realizzazione: entro due-tre settimane la presentazione di un testo comune in parlamento, nella forma di emendamenti alle proposte già in esame al Senato per accorciare i tempi; testo che era già pronto da consegnare ai tre segretari per la firma finale già il 1° marzo. Entro l'estate la prima lettura, in autunno la seconda e subito dopo, possibilmente entro dicembre, la terza e l'ultima, quella definitiva, delle quattro previste dall'articolo 138 per le modifiche costituzionali. I presidenti di Camera e Senato si sono prontamente messi a disposizione per spianare la strada al golpe, assicurando che "ce la possiamo fare". "Pensiamo davvero di potercela fare", ha dichiarato soddisfatto Alfano, dal quale a nome e per conto di Berlusconi era partita tutta l'iniziativa. "Mi pare che parecchi fondamentali ci siano, se son rose fioriranno", gli ha fatto eco il liberale Bersani. Per l'UDC il commento è stato affidato all'ex "comunista" Ferdinando Adornato, che ha esultato per il "momento storico" rappresentato dall'accordo. Se si pensa che il primo atto pubblico da cui tutto è partito è stata una dichiarazione di Berlusconi al quotidiano fiancheggiatore Libero del 5 febbraio, in cui manifestava l'intenzione di proporre un "dialogo" al PD sulla nuova legge elettorale da estendere "anche alle altre riforme istituzionali", c'è di che rimanere sbalorditi dalla rapidità con cui nel giro di neanche due settimane si è arrivati a siglare un inciucio ufficiale tra PDL e PD proprio sui temi, i contenuti e i tempi invocati dal nuovo Mussolini. In realtà incontri riservati tra il suo tirapiedi Quagliariello e il rinnegato Violante, plenipotenziario del PD per le "riforme istituzionali", erano in corso già da tempo per preparare il terreno al grande inciucio. D'altra parte non va dimenticato il vecchio vizio del PD di correre in soccorso del neoduce ogni volta che costui è costretto a mollare Palazzo Chigi e sembra apparentemente in difficoltà e in declino, come è successo nel 1997 con la Bicamerale golpista di D'Alema e nel 2007 con il dialogo sul bipolarismo e sulle "riforme istituzionali" offertogli da Veltroni. Lo stesso copione si sta ripetendo oggi con il liberale Bersani, che abbocca prontamente e volentieri all'amo del cavaliere piduista, che per l'occasione ha messo momentaneamente da parte la maschera feroce del "caimano" per indossare quella suadente dello "statista" disponibile al dialogo con il PD, sotto lo sguardo protettivo e compiacente del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, e nella cornice di "concordia nazionale" garantita dal governo Monti della grande finanza, della Ue e del massacro sociale. Spostamento di poteri per la repubblica presidenziale Sta di fatto che quello che non riuscì allora ai rinnegati D'Alema e Veltroni rischia di riuscire con la complicità attiva del liberale Bersani, vista la piena convergenza su queste "riforme" dal carattere marcatamente neofascista e presidenzialista e i tempi rapidi stabiliti per la loro attuazione. Con questo inciucio siamo infatti già molto oltre l'intesa sui principi fissati nella "bozza Violante" raggiunta al termine della scorsa legislatura, ma si tratta invece di proposte specifiche e dettagliate che quando saranno attuate produrranno d'un colpo un netto spostamento di poteri dal parlamento al governo, dalla repubblica ancora formalmente parlamentare verso una repubblica presidenziale a tutti gli effetti, che è il vero obiettivo, anche se non formalmente dichiarato, di questa "riforma". Ciò avverrebbe da una parte attraverso l'indebolimento del parlamento e la riduzione delle sue attuali funzioni e prerogative, con la riduzione dei parlamentari da 630 a 500 deputati e da 315 a 250 senatori, l'abolizione del "bicameralismo perfetto", ossia della doppia lettura e approvazione delle leggi da parte dei due rami, e la modifica dei regolamenti parlamentari. E dall'altra con l'attribuzione di poteri mussoliniani al presidente del Consiglio, come il potere di nominare e revocare i ministri, potere che formalmente è oggi prerogativa del capo dello Stato, e il potere di proporre a quest'ultimo lo scioglimento delle Camere. Se Berlusconi avesse avuto questi poteri, per esempio, avrebbe potuto far fuori Tremonti a suo piacimento e rimanere in sella impedendo la formazione di un altro governo con la minaccia di chiedere lo scioglimento del parlamento. A ciò si aggiunge il meccanismo della sfiducia costruttiva, secondo il quale il governo non può essere sfiduciato se chi ne chiede le dimissioni, con una mozione sottoscritta da almeno un terzo dei componenti di ciascuna camera e che venga approvata a maggioranza assoluta (mentre per la fiducia basta la maggioranza semplice), non è anche in grado di indicare una nuova maggioranza e un nuovo premier, pena lo scioglimento delle Camere e il rinvio alle urne. Parlamento alla frusta Oltre a questo rafforzamento diretto dei poteri del premier e del suo governo c'è anche un rafforzamento indiretto, perché la funzione legislativa è affidata in pratica ad una sola camera anziché due. Infatti, intanto è prevista una divisione delle leggi per materia tra le due camere: quelle di competenza statale vanno a Montecitorio, quelle di competenza regionale o concorrente vanno a Palazzo Madama. Nei casi dubbi decidono d'intesa i presidenti di Camera e Senato. Una volta approvata in un ramo del parlamento, l'altro ramo ha solo 15 giorni di tempo, a richiesta di un terzo dei suoi componenti, per richiamare eventualmente la legge e apportare modifiche, se no la si intende approvata definitivamente. Dopo 30 giorni la legge richiamata deve comunque essere riconsegnata al primo ramo che la approva in via definitiva. Si avrebbe così di fatto l'abolizione del "bicameralismo perfetto" voluto dai costituenti come garanzia contro possibili abusi, con un taglio drastico dei tempi di approvazione dei provvedimenti che in tutta evidenza è volto ad agevolare quelli del governo. Come se non bastasse c'è anche la modifica dei regolamenti parlamentari, che prevede corsie preferenziali per i provvedimenti del governo, con la fissazione di tempi certi per l'approvazione. In pratica, riducendo il parlamento a mero organo di ratifica dei provvedimenti governativi, verrebbe istituzionalizzata e legalizzata la pratica anticostituzionale del ricorso massiccio ai decreti legge con successivo voto di fiducia tipica dei governi Berlusconi e ripresa anche del governo Monti. Solo sulla legge elettorale non c'è ancora un'intesa operativa, anche se c'era una convergenza di massima tra PD e PDL su un sistema misto con collegi uninominali alla spagnola e proporzionale alla tedesca con soglia di sbarramento di entità da stabilire. Anche perché il neoduce non vuole legarsi le mani tagliando definitivamente i ponti con la Lega, che non vuol sentirne parlare, e perciò ha imposto al PD uno stop almeno fino a dopo le amministrative, per vedere che aria tira e decidere cosa gli converrà di più. Il PD sente puzzo di bruciato e teme uno sgambetto da Berlusconi, che incassata la controriforma costituzionale potrebbe scegliere di andare alle prossime elezioni con l'attuale legge "porcellum" e con la Lega. Ma il partito di Bersani ormai è dentro fino al collo nel gioco del nuovo Mussolini e non può che correre il rischio. Nel frattempo cerca di tirarci dentro anche i suoi alleati a "sinistra", Di Pietro e Vendola, rassicurandoli sulla soglia di sbarramento: sarà "solo" del 4 o 5%, e in ogni caso promette per quelli che non riusciranno ad entrare in parlamento un "diritto di tribuna". Cosa questa che fa molto gola anche ai trotzkisti Ferrero, Diliberto e Rizzo, che non a caso hanno accettato ben volentieri di partecipare alle tornate di incontri sulla "riforma" elettorale, coprendo così a sinistra l'intero inciucio istituzionale. 7 marzo 2012 |