Sul "caso Mastrogiacomo" Il governo cede agli Stati Uniti D'Alema nega di aver trattato per liberare il giornalista e annuncia che l'Italia invierà in Afghanistan più soldati e "mezzi adeguati" Non erano ancora passate 48 ore dalla liberazione di Daniele Mastrogiacomo, che una dichiarazione fortemente polemica dell'amministrazione Usa, seguìta da altre di analogo tenore di fonte britannica, olandese e tedesca, spegnevano come una doccia gelata l'euforia di Prodi e D'Alema nel rivendicare al governo italiano il merito di aver riportato a casa il giornalista sequestrato in Afghanistan. "Gli Stati Uniti - dichiarava infatti una fonte anonima del governo Bush il 21 marzo, poche ore dopo l'intervento di D'Alema all'Onu in cui il ministro degli Esteri aveva avanzato la proposta di una "conferenza internazionale" per l'Afghanistan - esprimono preoccupazione e disappunto per il modo in cui è stata ottenuta la liberazione. Sono stati colti di sorpresa per le concessioni che sono state fatte ai Taliban e pensano che queste aumenteranno i rischi per i soldati della NATO, e per la popolazione e l'esercito afgano". Poche ore dopo, da Londra, con perfetto tempismo, il Foreign Office esprimeva "preoccupazione per le implicazioni della liberazione di Taliban; un messaggio sbagliato a coloro che pensano di prendere ostaggi". Subito dopo era il governo olandese ad avanzare analoghe critiche a quello italiano, e perfino il governo tedesco, tramite una fonte citata dallo Spiegel online, faceva sapere che la liberazione dei cinque prigionieri Taliban scambiati con Mastrogiacomo era un "errore enorme", tale da aumentare i pericoli per gli stranieri in quel paese. Le pesanti critiche dei governi alleati per come era stata gestita la liberazione del giornalista rompevano il clima idilliaco che era regnato tra le forze politiche borghesi durante il sequestro e spingevano la Casa del fascio a chiedere conto al governo Prodi di aver trattato con dei "terroristi" e di essersi messo nelle mani di Gino Strada e di Emergency. Il neoduce Berlusconi, mentre si dichiarava "felice per la liberazione" di Mastrogiacomo, si diceva anche "molto preoccupato" per il "danno d'immagine" che fa del nostro paese un partner "inaffidabile" per gli alleati, e affacciava la possibilità di non votare al Senato il decreto governativo sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Da parte sua D'Alema definiva le critiche degli Usa e degli altri partner della Nato un "fulmine a ciel sereno", ricordando che neanche nella cena con Condoleezza Rice se ne era fatto cenno; anzi il segretario di Stato aveva espresso "comprensione" per l'operato del governo italiano, pur ribadendo che quello americano ha una linea diversa e non ha mai accettato di negoziare con i terroristi. In sostanza il ministro degli Esteri faceva capire che gli americani erano perfettamente al corrente di tutte le fasi della vicenda e che avevano tacitamente approvato la soluzione della liberazione dei cinque prigionieri Talebani dando il via libera al governo Karzai che li deteneva in custodia. Lo stesso fantoccio Karzai, mentre era in visita a Parigi, lo aveva praticamente ammesso, dichiarando: "E' stato liberato, abbiamo aiutato i nostri amici italiani per la sua liberazione". Perfino il New York Times lo confermava, scrivendo che "l'Italia non ha - e non avrebbe potuto - agire da sola in uno scambio di prigionieri". E questo per il semplice motivo che sono "il governo afgano e gli Stati Uniti ad avere il controllo del Paese". E allora perché questo improvviso irrigidimento dell'amministrazione Usa? Il fatto è che quest'ultima non ha potuto negare all'alleato italiano lo scambio di prigionieri, consapevole che se Mastrogiacomo fosse stato ucciso le ripercussioni in Italia sarebbero state molto gravi e tali da aprire una crisi tra le due sponde dell'Atlantico ben più seria che nel caso Calipari. Di sicuro il governo Prodi ne sarebbe uscito con le ossa rotte e la permanenza del contingente italiano in Afghanistan si sarebbe fatta estremamente difficile. Ma nel momento stesso in cui gli Usa hanno fatto questo "favore" obbligato al governo Prodi, gli hanno anche presentato il conto. Lo hanno cioè messo sotto accusa e con le spalle al muro, intimandogli di non riprovarci una seconda volta e pretendendo da esso un maggiore e più convinto impegno politico e militare a fianco della Nato nell'offensiva contro i Talebani in Afghanistan. Per soprammercato hanno anche colto l'occasione per liquidare come una "orribile sciocchezza" l'idea di una partecipazione dei Talebani alla "conferenza di pace" avanzata da Fassino e appoggiata dalla "sinistra radicale". Una manovra, questa dell'amministrazione Usa per rimettere in riga il governo Prodi, che è sostanzialmente riuscita, visto il precipitarsi del rinnegato D'Alema dall'ambasciatore Spogli col cappello in mano e poi a telefonare alla Rice per concordare insieme una via d'uscita all'improvviso gelo diplomatico: "Noi non abbiamo mai trattato con i Talebani. Il nostro unico interlocutore è stato Karzai, che nella sua piena autonomia ha deciso e compiuto i passi che hanno portato al rilascio di Mastrogiacomo", dichiarava ipocritamente il titolare della Farnesina per correggere le sue incaute dichiarazioni sulla "comprensione" degli americani che li avrebbe indotti a "chiudere un occhio" sulle trattative per la liberazione del giornalista de La Repubblica. Dopo la telefonata di "chiarimento" col segretario di Stato Usa che ha chiuso l'"incidente" diplomatico, è stato emesso un comunicato congiunto in cui in pratica si ammonisce il governo italiano a non trattare più per la liberazione di eventuali altri ostaggi ("ci aspettiamo che in futuro non vengano fatte concessioni"), e in cambio D'Alema ha potuto dichiarare che "pur nella diversità di approccio" al problema "non c'è stata una rottura con gli Stati Uniti". Ma il prezzo più importante pagato al governo Bush è stato senz'altro l'impegno a fornire più uomini e mezzi per la guerra in Afghanistan. Il rinnegato D'Alema lo aveva già annunciato in pratica nella conferenza stampa al Palazzo di Vetro, quando rispondendo a una precisa domanda di un giornalista americano sulla volontà delle truppe italiane di impegnarsi nei combattimenti, aveva risposto che pur rimanendo nella zona ovest del paese "i militari italiani non sono in vacanza" e del resto "la guerriglia sta arrivando anche lì, e noi lì rimaniamo". Dopo la telefonata con la Rice, incontrando il ministro della guerra Parisi e il capo di Stato maggiore Di Paola, D'Alema ha aggiunto che "il governo fornirà alle Forze armate tutti i mezzi che riterranno necessari per la sicurezza dei nostri militari e del territorio". Inoltre ha sottolineato che "non ci sono regole di ingaggio italiane in Afghanistan perché le regole di ingaggio sono comuni per tutti". Il che conferma che le truppe italiane sono già impiegate in azioni di guerra, e non c'è bisogno di cambiare il loro mandato per questo. Il rinnegato Fassino alzava poi ulteriormente l'asticella aprendo alla possibilità di votare in Senato a favore dell'Ordine del giorno che l'UDC aveva in preparazione per rafforzare l'armamento e le regole d'ingaggio dei militari: "Nel merito - dichiarava infatti il segretario della Quercia - bisogna vedere cosa c'è scritto: se ci sono cose condivisibili, lo voteremo, altrimenti no". 28 marzo 2007 |