Voto bipartisan alla Camera Governo e "opposizione" uniti per bombardare la Libia Contrari IDV e una pattuglia di deputati PD Pressioni del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, per un accordo tra governo e "opposizione" A poco più di un mese dall'approvazione bipartisan dell'intervento militare in Libia la Camera nera ha approvato, sempre con voto bipartisan, anche la partecipazione "ufficiale" ai bombardamenti sul suolo dell'ex colonia nordafricana. Questo il risultato della votazione del 4 maggio a Montecitorio, che ha visto l'approvazione di ben tre mozioni, una firmata dal PDL, dalla Lega e dai mercenari del gruppo dei "Responsabili", una del PD e una del Terzo polo (UDC, FLI e API), contenenti tutte in varie forme e motivazioni l'assenso ai bombardamenti decisi e annunciati dal neoduce Berlusconi il 25 Aprile; mentre è stata bocciata l'unica, quella dell'IDV, che li disapprovava esplicitamente. Non soltanto il risultato finale, ma anche il modo con cui si è arrivati a questo voto denota il suo carattere bipartisan, perché se è vero che la mozione del governo è stata approvata con 309 sì contro 294 no, cioè con i soli voti della maggioranza, è anche vero che quest'ultima si è astenuta sia sulla mozione del PD che su quella del Terzo polo, permettendo così anche l'approvazione di entrambe e dando con ciò la prova provata che esse non si discostavano in modo sostanziale dalla sua. PD e Terzo polo si sono inoltre votati le loro mozioni in maniera incrociata, salvo una pattuglia di deputati del PD dissenzienti (Vita, Gasbarra, Nerozzi, Grassi, Sabina Rossa, Silvana Amati, Di Giovanpaolo, Samperi, Ginoble, Bossa), che si sono astenuti sulla mozione del proprio partito e hanno votato contro su quella terzopolista. Dove invece la sintonia bipartisan tra governo e "opposizione" è apparsa pressoché unanime è stato nella votazione sulla mozione dei dipietristi, respinta con soli 20 sì e ben 381 no (governo e Terzo polo), mentre il PD si è ipocritamente astenuto per non dover dire no ai bombardamenti e risultare quindi in contraddizione con la sua stessa mozione. Mozione che invece riconfermava il pieno sostegno alla risoluzione ONU che aveva dato il via alla guerra imperialista e il voto favorevole ad essa già dato in parlamento lo scorso 24 marzo, con in più stavolta il riferimento all'uso di "tutte le risorse aggiuntive necessarie ai conseguenti obiettivi assegnati": cioè, appunto, dei bombardamenti. Le manfrine elettorali della Lega e l'"opportunismo" del PD E pensare che questo ulteriore passaggio parlamentare era nato da un presunto quanto clamoroso "dissenso" della Lega, irritata dalla decisione di Berlusconi di far partecipare anche l'aviazione italiana ai bombardamenti in Libia senza prima aver consultato Bossi e Maroni, e che minacciava la stabilità della maggioranza se non fossero state accolte le sue richieste, tra cui: fissazione di una data certa per la fine dei bombardamenti, no ad ogni aumento delle tasse per finanziare la guerra, blocco alle immigrazioni di "clandestini" e condivisione dei flussi di profughi con gli altri paesi dell'Unione. Richieste che la Lega annunciava di essere pronta a portare anche da sola in parlamento con una propria mozione, se il PDL non le avesse accolte prima. Quanto ai partiti dell'"opposi-zione", il PD aveva cercato di inserirsi per allargare la crepa nella maggioranza chiedendo una votazione parlamentare e presentando una propria mozione, che semplicemente confermava il pieno appoggio alla risoluzione 1973 dell'ONU e il voto favorevole alla guerra già espresso in parlamento. Ad un "dissenso" all'escalation bellica tutto in chiave strumentale ed elettoralistica da parte della Lega, il PD rispondeva cioè con una posizione più guerrafondaia e a destra della Lega stessa. A netto favore dei bombardamenti si esprimeva anche la risoluzione preparata dal Terzo polo, mentre al contrario l'IDV, fallito l'accordo col PD per una risoluzione comune, decideva invece per il no ai bombardamenti. In questa situazione caotica si è inserito pesantemente anche Napolitano, preoccupato per la "figuraccia" per le indecisioni dell'Italia di fronte agli alleati della NATO e per la sopravvivenza stessa del governo Berlusconi, una priorità per lui assoluta finché il Paese è in guerra. Da qui le pressioni che il nuovo Vittorio Emanuele III ha fatto sui partiti, e soprattutto sul PD, prima per cercare di evitare il nuovo voto in parlamento, e poi fallito questo tentativo, almeno per cercare di arrivare a un voto il più possibile bipartisan. Si è detto addirittura di una sua telefonata in questo senso a Bersani, che l'inquilino del Quirinale è stato costretto a smentire con un comunicato ufficiale assai sdegnato. Alla fine è andata come era intuibile che andasse: Bossi e Berlusconi, ben consapevoli di essere indispensabili l'uno all'altro, hanno trovato come sempre "la quadra" e si sono accordati per un compromesso su una risoluzione comune che riprendeva formalmente i temi di quella della Lega, ma con espressioni ancor più generiche e sfumate e soprattutto senza fissare una data precisa per la cessazione dei bombardamenti. Così il caporione leghista ha potuto cantare vittoria e rassicurare i suoi elettori che "la Lega ce l'ha ancora duro", e il nuovo Mussolini ha potuto rassicurare gli alleati della NATO che i bombardamenti dureranno tutto il tempo necessario, dato che la risoluzione PDL-Lega-Responsabili parla di un "termine temporale certo", ma da concordare appunto "con le organizzazioni internazionali e i Paesi alleati". Le "bombe intelligenti" di Bersani A questo punto era il PD a restare col cerino in mano, e per non fare la figura del "partito dei bombardieri", come lo metteva in guardia il rinnegato D'Alema, era costretto a cambiare in corsa la sua secca risoluzione tutta appiattita sulle decisioni dell'ONU e della NATO, aggiungendoci interi paragrafi per addolcire il sì ai bombardamenti con proposte di iniziative diplomatiche e umanitarie: come quella per arrivare "ad un effettivo cessate il fuoco", per la "convocazione, non appena le condizioni lo renderanno possibile, di una conferenza di pace", per "misure di sostegno straordinario nell'ambito della cooperazione civile", e così via. Una posizione vergognosamente ipocrita e opportunistica che il leader liberale del PD Bersani ha così teorizzato nel suo intervento in aula: "Ecco qua il ruolo dell'Italia: in Afghanistan, in Libia, essere fedeli ai mandati internazionali dell'ONU ed essere leali con gli Alleati, ma avere una propria strategia (sic) per accelerare le soluzioni politiche e diplomatiche con proprie idee e proprie iniziative. Questo deve essere l'Italia in tali contesti: fedele, sì, alla Costituzione, che vuole la pace e riconosce la sovranità legittima delle organizzazioni internazionali, anche per l'uso della forza a fini di legalità e di pace". Una posizione, fra l'altro, in piena contraddizione con quella del suo principale alleato politico, Di Pietro, il quale non solo ha ribadito invece di ritenere "sul piano sostanziale, che con le azioni di guerra non si possa perseguire la pace, né si possa arrivare ad una pace duratura"; ma ha ricordato altresì, applaudito solo dai suoi deputati e nel silenzio gelido e bipartisan di tutti gli altri partiti del parlamento neofascista, che "se c'era e c'è un Paese a cui dovrebbe suonare inopportuno ed ingiusto andare in Libia siamo proprio noi, ci siamo già andati una volta e li abbiamo già massacrati una volta, credo che basti. Credo che bastino le violenze che abbiamo commesso". 11 maggio 2011 |