Con la complicità dei vertici sindacali, anticipata la controriforma previdenziale Maroni Il governo Prodi mette le mani sul Tfr dei lavoratori Per le imprese esenzione sotto i 50 dipendenti e generose compensazioni per le altre. Damiano: "Accolte le richieste della Confindustria" No alla rapina delle liquidazioni Con l'accordo raggiunto il 19 ottobre e sottoscritto il 23 ottobre a Palazzo Chigi governo, confindustria e segreterie Cgil, Cisl e Uil, Prodi mette le mani sul Tfr (Trattamento di fine rapporto dei lavoratori) e anticipa di un anno l'entrata in vigore della controriforma previdenziale varata dal precedente governo del neoduce Berlusconi. Già con l'approvazione della legge finanziaria 2007 il consiglio dei ministri aveva incluso lo scippo delle liquidazioni nel modo seguente: tutte le aziende avrebbero dovuto versare in un fondo dell'Inps il 50% del Tfr "inoptato", cioè non destinato dai lavoratori interessati a un fondo per le pensioni integrative. L'Inps poi avrebbe dovuto passare questi soldi al ministero del Tesoro il quale a sua volta lo avrebbe impiegato per finanziare la costruzione di infrastrutture pubbliche. Le intenzioni del governo avevano scatenato le proteste, curiosamente non dei sindacati dei lavoratori, ma delle associazioni padronali grandi e piccole, sia del settore industriale e agricolo, che di quelli commerciale, artigianale e della cooperazione. È così iniziata una trattativa sotterranea tra governo, confindustria e sindacati confederali per discutere finalità e modalità di una cosa che non è di nessuno di loro ma esclusivamente dei lavoratori; perché è necessario ricordarlo, la maturazione del Tfr altro non è che salario indiretto accantonato. Trattativa che è sfociata nel suddetto accordo che prevede: l'anticipazione di un anno della "riforma" previdenziale (legge 243/2004) che così entrerà in vigore il 1° gennaio 2007. Questo significa che entro sei mesi e non oltre giugno del prossimo anno i lavoratori dovranno scegliere se lasciare il proprio Tfr in azienda o destinarlo alla previdenza integrativa. C'è la clausola del silenzio-assenso, in caso di mancata decisione la liquidazione del lavoratore andrà automaticamente ai fondi pensione. Nelle aziende con più di 50 dipendenti (sono 23 mila in Italia) il Tfr dei lavoratori che hanno detto no ai fondi pensione sarà trasferito tutto all'Inps. Questa disposizione sarà riesaminata nel 2008 per la sua riconferma o per la sua revisione. Sono escluse da questa disposizione le aziende (sono 3,7 milioni) con meno di 50 dipendenti. Pertanto, il Tfr dei lavoratori che rifiutano l'adesione ai fondi rimarrà nelle aziende dove sono occupati. Il governo si è impegnato a varare contestualmente misure di compensazione, nel campo del credito e degli oneri sociali, e a rivedere il trattamento fiscale dei fondi integrativi, attualmente all'11%, per ridurne il peso e mettersi in linea con quanto applicato negli altri paesi europei. Il governo ha deciso inoltre di costituire un fondo di garanzia per soccorrere quelle aziende che si trovassero in difficoltà nell'accesso al credito. Soddisfatti governo, padroni e sindacalisti collaborazionisti ma non i lavoratori L'accordo è stato commentato con entusiasmo dai rappresentanti del governo: il ministro per l'Economia, Padoa Schioppa, ha parlato addirittura di "accordo storico"; mentre il presidente del Consiglio, l'economista democristiano Romano Prodi, l'ha giudicato come "un'altra tappa della concertazione verso una legge finanziaria al passo con le esigenze di un Paese che deve ripartire". Un entusiasmo giustificato quello del governo perché è riuscito ad incamerare i 6 miliardi di euro del Tfr che si era prefisso, lo ha fatto con il consenso dei sindacati confederali ed è riuscito ad ammortizzare la protesta della parte padronale. Inoltre perché l'intesa sul Tfr si aggiunge al "memorandum" sottoscritto dalle segreterie sindacali con l'impegno di "riformare" le pensioni entro la primavera prossima, elevando l'età pensionabile e riducendo ulteriormente il meccanismo di calcolo delle pensioni. Le associazioni padronali possono dirsi soddisfatte del compromesso strappato, anche se, come i pescecani, non sono mai sazi. Hanno strappato, infatti, l'esenzione per le imprese sotto i 50 dipendenti, che sono il 99,5% delle aziende, con circa la metà degli occupati complessivi. Per loro non è previsto l'obbligo di versare il Tfr non versato nei fondi pensione. Hanno ottenuto contestuali misure di compensazione sul lato del credito e sul lato fiscale per quelle che il Tfr dovranno versarlo. Hanno ottenuto la possibilità di poter rimettere in discussione il provvedimento, prevedendo una verifica nel 2008. Per non dire della valanga di miliardi di euro che incasseranno entro due anni, attraverso la riduzione di 5 punti del cuneo fiscale. Insomma non possono certo lamentarsi dato che l'intesa "soddisfa in modo pieno le richiese dell'impresa", ha confessato apertamente il ministro del Lavoro, Cesare Damiano. L'intesa sta bene anche ai vertici sindacali confederali collaborazionisti e cogestionari. Intanto perché essa è stata raggiunta attraverso la concertazione, poi perché prevede l'anticipazione di un anno dell'entrata in vigore della "riforma" Maroni, in particolare per quanto riguarda lo smobilizzo del Tfr e favore dei fondi pensione, infine perché il governo ha promesso un taglio della pressione fiscale su di essi. Le dichiarazioni dei segretari di Cisl, Cgil e Uil vanno proprio in questa direzione. "Il governo aveva scavalcato le parti sociali sul Tfr - ha detto Raffaele Bonanni - abbiamo raggiunto un accordo soddisfacente che mette un punto su tanta incertezza". "Abbiamo chiesto a Padoa Schioppa - ha precisato Epifani - di valutare un trattamento fiscale in discesa rispetto a quello attuale". "È un accordo importante - sostiene Angeletti - cambia l'impostazione del governo su questo tema". Ma i lavoratori dipendenti, sono contenti di questo inciucio tra governo-Confindustria e sindacati? A loro nessuno chiede niente. Eppure si sta parlando delle loro liquidazioni, del loro salario accumulato da riscuotere quando lasciano il lavoro. Anzi non possono che essere arrabbiati e tanto, per vari motivi: perché non sono stati consultati né hanno dato la loro approvazione al trasferimento del Tfr all'Inps; la clausola del silenzio-assenso per trasferire il Tfr nei fondi pensione, oppure nelle casse dell'Inps per utilizzi impropri è assolutamente inaccettabile, qualcuno dice anti-costituzionale; il diritto di volontarieta è più formale che reale, dato che il valore della pensione pubblica è stata drasticamente tagliata del 30% circa, specie per le nuove generazioni; trasferire il Tfr, anche se solo il nuovo flusso (13 miliardi di euro l'anno) nei fondi significa procedere verso una sempre più ampia privatizzazione delle pensioni, significa mettere a rischio i soldi dei lavoratori che dai fondi saranno investiti in borsa, significa fornire grossi capitali alle banche e alle società finanziarie per le loro operazioni speculative. Con una posizione di dissenso è intervento il leader di "Rete "28 aprile", Giorgio Cremaschi, che ha giudicato inaccettabile quanto sta avvenendo sul Tfr. "Si sta andando a una riforma strutturale del suo utilizzo, senza che i lavoratori siano stati minimamente coinvolti". Il passaggio del Tfr all'Inps "per finanziare la spesa pubblica, è un modo per far cassa da parte dello stato, con i soldi dei lavoratori, senza alcun compenso sul terreno delle pensioni". Per il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, "è bene ricordare che il Tfr è di proprietà dei lavoratori" pertanto, qualsiasi ipotesi che non prevedesse la "libera scelta da parte di lavoratrici e lavoratori, oltre che sbagliata, sarebbe di dubbia costituzionalità". Anche gli esponenti del PRC e del PdCI hanno criticato l'accordo come un regalo alla Confindustria, ma sono critiche ipocrite, opportunistiche, per coprirsi verso i propri militanti ed elettori, visto che stanno al governo e hanno approvato, con il resto della coalizione, la legge finanziaria ora parzialmente "contestata". 25 ottobre 2006 |