Nessuna discontinuità con la politica estera di Berlusconi Il governo rifinanzia la missione di guerra in Afghanistan La "sinistra radicale" si astiene ma non lascia il governo. Rinnovate tutte le missioni D'Alema: "ritirarsi è impensabile" Il 26 gennaio, a notte fonda, al termine di un'estenuante trattativa con i tre ministri della "sinistra radicale" Pecoraro Scanio (Verdi), Ferrero (PRC) e Bianchi (PdCI), che per non compromettersi con un sì o con un no hanno preferito alla fine non partecipare al voto, Il decreto che rifinanzia per tutto il 2007 la missione di guerra in Afghanistan e gli altri interventi militari all'estero è stato approvato dal Consiglio dei ministri, in tempo affinché il ministro degli Esteri D'Alema potesse volare al vertice Nato di Bruxelles con la liete novella per la sua "amika" Condoleezza Rice. E così un altro miliardo e passa di euro, che potrebbe essere speso per pensioni, scuole, ospedali, trasporti e altri interventi per migliorare la vita delle masse italiane e anche per veri aiuti ai Paesi più poveri, viene inghiottito dal pozzo senza fondo delle sempre più numerose e costose operazioni di guerra travestite da "missioni di pace" internazionali, a cui l'imperialismo italiano smania di partecipare per guadagnarsi il suo "spazio vitale" tra le grandi potenze mondiali. A fare la parte del leone è la neonata missione in Libano, con 386 milioni di spese militari e 30 per la cooperazione, seguita a ruota dalla missione Isaf (Nato) in Afghanistan, aumentata a 313 milioni per le spese militari e 30 per la cooperazione. E la sproporzione tra gli stanziamenti per la guerra e quelli per la cosiddetta cooperazione la dice lunga sulla vera natura di tali "missioni di pace"! Altri 170 milioni di euro vanno a rifinanziare le diverse missioni nei Balcani (Kosovo, Bosnia, Albania), mentre malgrado il recente ritiro oltre 10 milioni andranno ancora a finanziare i militari italiani rimasti in Iraq ad addestrare il personale militare e di polizia, più altri 30 miliardi per la cosiddetta cooperazione col governo fantoccio di Baghdad. Ci sono persino 10 milioni stanziati per finanziare la "forza internazionale di pace" in Somalia, pur di rimettere un piede anche in quella ex colonia italiana. Continuità della politica interventista italiana Se a tutto questo si aggiunge il consistente aumento delle spese militari inserito nella Finanziaria e il regalo di Vicenza agli Usa per farne la loro più grande base europea avanzata verso il Medio Oriente e l'Africa (e già circolano voci sull'ampliamento anche di Sigonella), dovrebbe ormai essere chiaro anche ai sassi che in politica estera e militare (ma non solo), non c'è nessuna "discontinuità" tra il governo dell'Unione della "sinistra" borghese e il governo Berlusconi. La cui politica militarista, interventista e guerrafondaia il governo Prodi sta proseguendo in pieno, e anzi accelerando, tanto da aver portato il rifinanziamento di tutte le missioni di guerra da semestrale ad annuale. Lo ha riconosciuto anche il caporione fascista Fini davanti alla Rice a Washington, esaltando la "continuità" della politica estera italiana che "si è sempre mossa - ha detto il predecessore di D'Alema - su tre grandi filoni principali: multilateralismo, europeismo e atlantismo", e ammettendo che "l'unica differenza tra noi e la sinistra" è consistita nella scelta di "assumersi responsabilità" anche quando l'Onu, come sull'Iraq, "andava in direzione diversa". Ma per quanto questa continuità tra i due poli del regime neofascista risulti evidente, la "sinistra radicale" finge di non vederla, non ne trae le debite conseguenze uscendo dal governo, e continua invece a coprirlo a sinistra limitandosi a implorare da Prodi, D'Alema e Parisi uno straccio di "segnale di discontinuità" che possa giustificare in qualche modo la sua permanenza in un governo che ha già tradito tutte le promesse di cambiamento e si è ben meritato il titolo di "governo di guerra" da parte della sua stessa base elettorale. La stessa decisione dei tre ministri di non partecipare al voto, dopo che D'Alema aveva battuto i pugni sul tavolo sentenziando che "ritirarsi in modo unilaterale dall'Afghanistan è impensabile in tutte le sedi internazionali", è stato solo un espediente opportunista per salvarsi in qualche modo la faccia senza causare veri pericoli per la stabilità del governo. "Non si prepara un dissenso o contrarietà in parlamento, e dai ministri che non hanno partecipato al voto sono arrivate dichiarazioni di completa solidarietà alla politica del governo", ha dichiarato infatti Prodi soddisfatto alla fine della riunione. "Non c'è lacerazione. La posizione dei tre ministri è stata costruttiva, c'è una riserva ma l'intenzione di arrivare a un punto di consenso finale in parlamento, magari con un ordine del giorno", gli ha fatto eco D'Alema. "C'è qualche passo in avanti. Per questo non abbiamo votato no, adesso si tratta di continuare a lavorare", ha convenuto con loro il ministro Ferrero. "Il decreto non è una fotocopia di quello di luglio perché altrimenti non l'avremmo votato. Manca però l'exit strategy, una svolta che costruiremo in parlamento", ha ripetuto con lui Pecoraro Scanio. Le ridicole "condizioni" della "sinistra radicale" Il "passo avanti" che a detta dei due ministri farebbe di questo decreto di rifinanziamento non una fotocopia di quello passato col voto di fiducia lo scorso luglio, sarebbe costituito dall'aumento dei fondi per la cooperazione in Afghanistan (stornando una parte di quelli per l'Iraq) e dalla cancellazione del riferimento alla missione "Enduring freedom", per cui tutti i soldi ora andrebbero alla missione Isaf, guidata dalla Nato ma "per conto" dell'Onu. Ma a parte il fatto che rimangono ancora oltre 8 milioni di euro per la partecipazione alla missione aero-navale Nato "Active endeavour", decisa nel 2001 da Usa e Gran Bretagna senza copertura Onu, non si capisce dove mai starebbe il "passo avanti", visto che la catena di comando dell'Isaf fa capo comunque ai generali del Pentagono e a Bush. I quali, per di più, hanno già fatto sapere ai loro alleati della Nato di volere altre truppe e finanziamenti per una grande offensiva militare contro i ribelli per "vincere" la guerra sul terreno: altro che "cooperazione" e "iniziative politiche"! D'altra parte è completamente naufragata nel ridicolo anche l'altra condizione che la "sinistra radicale" aveva posto a Prodi e D'Alema per approvare il rifinanziamento della missione, e cioè la "conferenza internazionale" sull'Afghanistan che il ministro degli Esteri aveva promesso di sostenere in sede Nato: cosa che ha provato svogliatamente a fare incontrando l'indifferenza generale dei suoi colleghi europei, impegnati semmai a fronteggiare le pretese americane di maggior impegno militare e finanziario, e ottenendo solo la cortese quanto gelida "attenzione" della Rice. Per cui non gli è rimasto da portare a casa altro che un ridicolo: "non ha reagito negativamente", a proposito dell'accoglienza riservata dal segretario di Stato americano alla sua proposta di conferenza. Dunque, stando così le cose, di quali "modifiche", di quali "miglioramenti" del decreto in parlamento, di quale "exit strategy" va blaterando la "sinistra radicale"? Il rinnegato D'Alema è stato chiarissimo: "Abbiamo fatto il massimo, possiamo apportare qualche modifica minima ma l'impianto del provvedimento non può cambiare. Con la politica estera non si scherza", ha tagliato corto avvertendo gli alleati della "sinistra radicale" a non tirare troppo la corda. Del resto quest'ultima se ne guarderà bene, e avrebbe già capitolato volentieri, come ha ammesso candidamente Diliberto con Prodi, se non ci fosse di mezzo la manifestazione nazionale a Vicenza del 17 febbraio e la paura delle conseguenti contestazioni della piazza. Tutte le dichiarazioni dei leader della "sinistra radicale" lasciano capire che, sia che si trovi un accordo preventivo, sia che Prodi ricorra al voto di fiducia, essi non si sognano neanche lontanamente di far cadere il governo per Kabul. Neanche se questo dovesse salvarsi coi voti della destra, che ha già annunciato che darà il suo sì al provvedimento purché non ci sia il voto di fiducia; Bossi e Casini hanno detto che lo darebbero addirittura anche in quest'ultimo caso. Che si assisterà ad un altro calabrache della "sinistra radicale" e relativo inciucio della maggioranza con l'"opposizione" lo ha auspicato in maniera chiara anche l'imbroglione trotzkista Bertinotti: "Non sempre si può vincere, e io preferisco vincere sul sociale", ha raccomandato ai suoi il nuovo guardiano della Camera. E Russo Spena, sulla sua scia, gli ha subito fatto eco: "Non sarebbe un dramma se il decreto passasse con maggioranze variabili". Persino il trotzkista del PRC Turigliatto, che ha annunciato voto contrario al Senato per rispettare la promessa fatta a luglio che quella era l'ultima volta che votava la missione in Afghanistan, ha convenuto con la capogruppo dell'Ulivo, Finocchiaro, che "se l'Unione ottiene qualche voto della Cdl non è un dramma". 31 gennaio 2007 |